Gen 31 2019

PROF. SINAGRA. SECONDO IL DIRITTO INTERNAZIONALE LE NAVI DELLE ONG SONO NAVI PIRATA

 

 

NAVIGAZIONE. RIFLESSIONE TECNICO-GIURIDICA DI DIRITTO INTERNAZIONALE

 

 

Riportiamo una riflessione esclusivamente tecnico-giuridica di diritto internazionale del prof. Augusto Sinagra, docente di diritto dell’Unione europea presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma, già docente di diritto internazionale presso diversi atenei italiani.

 

Secondo quanto sostenuto dal prof. Sinagra le navi delle ONG navigano in regime di illegalità essendo vere e proprie navi pirata e mercanti di schiavi.

Per questo motivo viene impedito l’attracco nei porti italiani con la minaccia del sequestro delle imbarcazioni e l’arresto dell’equipaggio.

 

“Cercherò di fare una riflessione esclusivamente tecnico-giuridica di diritto internazionale di cui sono stato Professore Ordinario nell’Università.

 

  1. Le navi che solcano i mari battono una Bandiera. La Bandiera non è una cosa meramente folkloristica o di colore. La Bandiera della nave rende riconoscibile lo Stato di riferimento della nave nei cui Registri navali essa è iscritta (nei registri è indicata anche la proprietà pubblica o privata).

 

  1. La nave è giuridicamente una “comunità viaggiante” o, in altri termini, una “proiezione mobile” dello Stato di riferimento. In base al diritto internazionale la nave, fuori dalle acque territoriali di un altro Stato, è considerata “territorio” dello Stato della Bandiera. 
    Dunque, sulla nave in mare alto si applicano le leggi, tutte le leggi, anche quelle penali, dello Stato della Bandiera.

 

  1. Il famoso Regolamento UE di Dublino prevede che dei cosiddetti “profughi” (in realtà, deportati) debba farsi carico lo Stato con il quale essi per prima vengono in contatto. A cominciare dalle eventuali richieste di asilo politico.

 

  1. Non si vede allora quale sia la ragione per la quale una nave battente Bandiera, per esempio, tedesca, spagnola o francese, debba – d’intesa con gli scafisti – raccogliere i cosiddetti profughi appena fuori le acque territoriali libiche e poi scaricarli in Italia quando la competenza e l’obbligo è, come detto, dello Stato della Bandiera.

 

  1. Da ultimo è emerso che due navi battenti Bandiera olandese e con il solito carico di merce umana, non si connettano giuridicamente al Regno di Olanda e né figurino su quei registri navali, come dichiarato dalle Autorità olandesi.   Allora, giuridicamente, si tratta di “navi pirata” le quali non sono solo quelle che battono la bandiera nera con il teschio e le tibie incrociate (come nei romanzi di Emilio Salgari).

 

  1. Ne deriva il diritto/dovere di ogni Stato di impedirne la libera navigazione, il sequestro della nave e l’arresto del Comandante e dell’equipaggio.

 

Molti dei cosiddetti “profughi” cominciano a protestare pubblicamente denunciando di essere stati deportati in Italia contro la loro volontà. Si è in presenza, dunque, di una nuova e inedita tratta di schiavi, di un disgustoso e veramente vomitevole schiavismo consumato anche con la complicità della UE, che offende la coscienza umana e che va combattuto con ogni mezzo.”

 

Invitiamo all’approfondimento “L’ASPETTO GIURIDICO NAZIONALE (DIRITTO MARITTIMO E PENALE)” pubblicato sul sito della Marina Militare italiana

 

Fonte: srs di  Augusto Sinagra – docente di diritto internazionale; da Facebook, IO SO, 

 28 gennaio 2019

Link: https://www.facebook.com/io-so-243527245027/

 

 


Gen 28 2019

UNA CERTA IPOCRISIA AFFARISTICA DIETRO LA GIORNATA DELLA MEMORIA

 

 

Di Mondo Informazione Geopolitica, 27 Gennaio 2018

 

Il 27 gennaio 1945 il campo di concentramento di Auschwitz fu liberato dalle truppe sovietiche durante la loro rapida avanzata invernale dalla Vistola all’Oder. Il primo reparto che entrò nel campo faceva parte della LX Armata del generale Kurockin del 1° Fronte Ucraino del maresciallo Ivan Konev.

 

Furono trovati circa 7.000 prigionieri ancora in vita. Inoltre, furono trovati migliaia di indumenti abbandonati, oggetti vari che possedevano i prigionieri prima di entrare nel campo e otto tonnellate di capelli umani imballati e pronti per il trasporto. Si svelò, quello che molti già conoscevano.

 

Continua a leggere”UNA CERTA IPOCRISIA AFFARISTICA DIETRO LA GIORNATA DELLA MEMORIA”


Gen 23 2019

SIRIA: LA GUERRA CHE NON HAN VOLUTO DIRCI

La democrazia era la scusa; la guerra, l’obiettivo.

( prima parte)

 

Quartier deserté. Photo Guillaume Briquet

 

 

Il conflitto nel paese mediorientale è basato su bugie: le grandi potenze difendono i loro interessi politici ed economici. Il popolo subisce.

 

di Alberto Rodrìguez

traduzione di Gb.P.  per OraproSiria

 

In Siria nel 2011 non ci sono state rivoluzioni.  

 

La guerra in Siria è il risultato di un conflitto tra due sistemi; la laicità socialista del partito Baath contro l’islamismo – liberale nell’aspetto economico- dei Fratelli Musulmani.

Si tratta di un confronto che dissangua la Siria a partire dagli anni Sessanta, quando i baathisti presero il potere per la prima volta, e che si è intensificato quando gli islamisti in tutto il mondo nel 2012 hanno risposto alla chiamata alla jihad fino a provocare un conflitto che, tra lotte di potere e fuoco incrociato, ha trasformato la Siria in un puzzle di centinaia di milizie, organizzazioni e interessi che si reggono sulla morte.

 

Fin dall’inizio, la guerra si è basata sulle bugie. L’America cerca di mantenere l’egemonia dei suoi alleati nella regione in modo che le sue società continuino a operare nel mercato delle risorse. Insieme agli Stati Uniti, Francia, Qatar e Arabia Saudita avevano bisogno di manipolare l’opinione pubblica a loro favore in modo che questa supportasse l’intervento diretto in Siria fornendo supporto logistico, militare e finanziario ai ribelli. In nessun momento ci si domandò quale fosse la percentuale della popolazione locale favorevole al proprio governo e quale percentuale fosse favorevole a rovesciarlo, perché semplicemente non aveva importanza.

 

Continua a leggere”SIRIA: LA GUERRA CHE NON HAN VOLUTO DIRCI”


Gen 21 2019

LA STELE VENETICA DI ISOLA VICENTINA….ANCA ISOLA ’NTE ’A PREISTORIA

Stele di Isola Vicentina

 

 

Da Isola Vicentina (VI)

 

La xe stà proprio ’n avenimento stòrico sta scoperta; a no xe da tuti i dì tirar sù da soto tera na pria de tanti sècoi fà, co su scrito ’n po’ de ’a so storia. ’Lora, tornando indrìo ’tel tenpo, serchemo de saèrghene na s-cianta de pi.

 

Sirca diesemila ani fà, la nostra rejon veneta la jera ’ncora prijoniera rento na enorme grosta de giasso (Era Glaciale) ma pinpian, grassie a l’aiuto de ’n caldo e umido ventesèo, el giasso ga scumissià desfarse, provocando ’n cataclisma che ga roersà sotosora le montagne, canbiàndoghe parfin la facia a l’imensa pianura e fasendo sì che se formasse coline, lagheti e na distesa palude de sassi e paltan che faséa védare na desolassion che solo i raji del sole faséa ’ncora slúsare.

Xe passà i ani, xe passà i sècoli e soto ’a magia de ’a man del mistero xe sorta la vita, mace de fili de erba, maciuni de piantine carghe de foje e fiuri, e le montagnole xe deventà boscheti indóe ga catà rifujo animài come camossi, stanbechi e caprioli.

 

Continua a leggere”LA STELE VENETICA DI ISOLA VICENTINA….ANCA ISOLA ’NTE ’A PREISTORIA”


Gen 20 2019

LE DROGHERIE, LA PEARA’ E LA CITTA’ SCOMPARSA

La storica insegna: oggi c’è un negozio di abbigliamento

 

 

VERONA- Se, nel Medioevo, con il pepe, i veneziani pagavano il dazio ai longobardi, questa, che resta la più famosa delle droghe orientali, è una protagonista della nostra cucina. Dalla leggenda alla storia, con il pepe, grazie al libro di Andrea Brugnoli dal titolo Magna e tasi.

 

Curiosamente, ricorda Brugnoli che la prima attestazione del nome «pearà» riguarda un possidente di nome Ato, soprannominato Pearà, appunto, che, nel 1141, aveva terreni al Boschetto, fuori Porta Vescovo.

La pearà, definita piperata, nella Verona medioevale, è citata, come ci ricorda sempre Brugnoli, negli statuti del 1319: doveva essere fatta con il pepe,a cui andavano aggiunti zafferano, cannella e zenzero.

 

Continua a leggere”LE DROGHERIE, LA PEARA’ E LA CITTA’ SCOMPARSA”


Gen 19 2019

LA MELA ROSSA, LA MELA GIALLA …….

Category: Alimentazione e gastronomia,Natura e scienzagiorgio @ 04:59

Golden Delicious Apple Tree, Clay County. From Printers’ Ink Monthly

 

 

Per quale motivo questo albero di mele e’ in gabbia?

 

Ed ecco spiegata la foto:

Tu non potrai mai, in tutta la tua vita, piantare i semi di una mela rossa nel tuo giardino, guardare l’albero che cresce, e un bel giorno sperare di mangiare una mela rossa, figlia di quella che avevi piantato anni prima.

 

Mai. Impossibile.

Neanche se tu vivessi mille anni e avessi un giardino sterminato in cui piantare centinaia di mele rosse per far crescere centinaia di alberi.

 

Continua a leggere”LA MELA ROSSA, LA MELA GIALLA …….”


Gen 18 2019

CESARE BATTISTI. DA TRADITORE A TRADITO

 

 

Il deputato austriaco CESARE BATTISTI, di Trento, tradì il Tirolo dei suoi avi e il parlamento di Vienna scrivendo il 22 ottobre del 1914 a Roma, al Ministero della Guerra, quando il Regno d’Italia era ancora neutrale. In quella lettera si legge: 

«Per il caso di guerra con l’Austria mi metto a completa disposizione del Ministero della Guerra, chiedendo di essere arruolato nell’esercito regolare…», firmandosi «Dott. C. Battisti, Deputato al Parlamento Austriaco per la Città di Trento». 

 

Venti mesi più tardi venne tradito dai suoi superiori del Regio Esercito Italiano che lo lasciano andare in prima linea, perfettamente consapevoli dei rischi della trincea e di cosa gli poteva accadere se, come poi gli avvenne, fosse stato preso prigioniero dagli austriaci. 

Sarebbe bastato un semplice ordine per tenere Battisti fra le solide mura di Forte San Procolo a Verona. Ma quell’ordine non venne dato. Anzi.

 

Continua a leggere”CESARE BATTISTI. DA TRADITORE A TRADITO”


Gen 17 2019

NIKOLA TESLA: INTERVISTA ALLA RIVISTA “IMMORTALITY”

Category: Persone e personaggigiorgio @ 06:28

Ritratto. Muzej Nikole Tesle

 

 

L’intervista rivoluzionaria a Nikola Tesla che i  media non hanno mai fatto conoscere al mondo, realizzata nel suo laboratorio a Colorado Springs nel 1899 .

 

“Volevo illuminare tutta la terra. C’è abbastanza elettricità per diventare un secondo sole. La luce apparirà intorno all’equatore, come un anello intorno a Saturno”.

 

Queste le parole di Nikola Tesla, considerato uno degli uomini più innovativi e misteriosi che hanno mai vissuto sulla Terra. Era un uomo che stava davanti al suo tempo ed è responsabile della maggior parte della tecnologia che utilizziamo oggi.

 

Infatti, se Tesla non avesse inventato e studiato tutto ciò che ha fatto nella sua vita, la nostra tecnologia oggi sarebbe notevolmente peggiore, ma purtroppo quasi nessuno riconosce i suoi meriti.

 

Le invenzioni di Tesla sono andate ben oltre l’elettricità. Ha fatto scoperte innovative come le comunicazioni radio wireless, i motori a turbina, gli elicotteri (anche se era Leonardo Da Vinci che aveva avuto l’idea), le luci fluorescenti e neon, i siluri e i raggi X. Al momento della sua morte, Tesla deteneva quasi 700 brevetti mondiali.

Di seguito vi mostriamo un’intervista molto rara di Nicola Tesla per la rivista “Immortality” Realizzata nel suo laboratorio a Colorado Springs nell’anno 1899,  nascosta per quasi 116 anni.

 

 

NIKOLA TESLA: L’INTERVISTA

 

Continua a leggere”NIKOLA TESLA: INTERVISTA ALLA RIVISTA “IMMORTALITY””


Gen 12 2019

LA PACE? PER I PRIGIONIERI BASCHI, QUELLA DEI CIMITERI

 

 

by Gianni Sartoridel 11/01/2019

 

Chiamatela resa, chiamatela scelta consapevole, chiamatela come vi pare… ma dalla definitiva rinuncia alle armi di ETA non sembra sortire granché. O almeno per gli etarras prigionieri. Basta fare un confronto con quanto era avvenuto nel secolo scorso prima in Sudafrica e poi in Irlanda, dove almeno le porte delle celle si erano aperte e gli ex combattenti avevano potuto rientrare a casa loro.

 

Ma non in Spagna. Sarà la cultura cattolica dell’espiazione, sarà che lo Stato spagnolo è geneticamente fascista e vendicativo… non so. Resta il fatto che l’idea di lasciarli crepare dietro le sbarre (a guerra finita, ricordo) a Madrid pare non dispiacere.

 

In prigione il tempo passa lentamente, ma passa. E si invecchia.

 

Per questo le condizioni di salute dei prigionieri sono andate via via peggiorando. Al punto che molti di loro sono in pericolo di vita. Una percentuale, quella di chi è afflitto da malanni fisici o psichici, notevolmente aumentata negli ultimi anni. Con conseguenze immaginabili.

 

Senza retrocedere troppo nel tempo (i casi sarebbero decine), l’anno scorso nel carcere di Puerto si era suicidato Xabier Rey (rappresentante sindacale del LAB, sottoposto a tortura), mentre a Badajoz, in giugno, era morto Kepa del Hoyo (a causa di una precedente crisi cardiaca non adeguatamente diagnosticata né tantomeno curata).

 

Continua a leggere”LA PACE? PER I PRIGIONIERI BASCHI, QUELLA DEI CIMITERI”


Gen 11 2019

SI È SPENTO L’ARCHEOLOGO ANGLO-VERONESE PETER HUDSON

8  GENNAIO 2018, Ci rattrista l’improvvisa scomparsa del collega Peter Hudson, figura di riferimento non solo per l’archeologia urbana. Esprimiamo le nostre condoglianze ai familiari. I funerali si terranno alle 15,15, sabato 12 gennaio nella sala evangelica presso il cimitero monumentale di Verona.

SAP società archeologica srl.

 

Peter Hudson in foto del 2002

 

 

E’ MORTO  ALL’OSPEDALE DI NEGRAR L’ARCHEOLOGO INGLESE, MA VERONESE DI ADOZIONE, PETER HUDSON.

 

8  GENNAIO 2018 –  Si è spento all’ospedale di Negrar l’archeologo inglese, ma veronese di adozione, Peter Hudson, nato a Manchester il 26 settembre 1954. Ne ha dato notizia su Twitter la Soprintendenza di Verona: «A lui si devono tutte le maggiori conoscenze sull’altomedioevo veronese. La Soprintendenza lo ricorda come uomo di grande cultura e conoscenza archeologica e come persona e di notevoli vedute e umanità».

Peter Hudson, per citare alcuni dei suoi molteplici interventi, ha diretto gli scavi nel Cortile del Tribunale, ha lavorato agli scavi scaligeri, ha diretto gli scavi archeologici durante i lavori del sottopasso di Porta Palio, in occasione dei Mondiali ’90, e poi la Postumia in corso Cavour.

 

IL LUTTO. IL RICORDO DELL’ARCHEOLOGO CHE SI È SPENTO A 64 ANNI: È STATO IL PROTAGONISTA DELLE PIÙ IMPORTANTI CAMPAGNE DI SCAVO TRA GLI ANNI OTTANTA E NOVANTA IN CITTÀ

 

L’inglese che ci ha fatto scoprire Verona

 

Peter Hudson, nato a Manchester, si era stabilito qui dopo aver lavorato per Porta Palio, la via Postumia, il cortile del Tribunale

  

 

 

Peter Hudson fotografato nel 1997 al lavoro negli scavi di via Mazzini 

 

Alto, barba e capelli rossi, mani grandi da portiere: era inconfondibile Peter Hudson da Manchester, l’archeologo inglese che ha fatto scoprire Verona ai veronesi guidando le più importanti campagne di scavo in città tra gli anni Ottanta e Novanta insieme con la sovrintendente di allora Giuliana Cavalieri Manasse.

 

Se n’è andato in poche settimane all’età di 64 anni (come anticipato ieri da L’Arena), lasciando la compagna Gabriella e il figlio Thomas, all’ospedale di Negrar dove era ricoverato da alcuni giorni e lasciando una enorme mole di ricordi e di testimonianze in chi ha vissuto con lui quella stagione che il suo amico e collega Simon Thompson, pure lui di Manchester, compagno di studi di Peter, che come tanti altri inglesi ha scelto di stabilirsi nella nostra città, chiama «periodo d’oro».

Peter Hudson, una laurea in archeologia all’università di Lancaster, ha avuto meriti enormi: grazie a lui, a un inglese che amava il calcio e il cricket, sono state riportate alla luce le pagine più interessanti del passato di Verona, chiudendo definitivamente l’era degli scavi fatti con le ruspe per sostituirli con campagne di scavo certosine, da quelle romane a quelle altomedievali, con pennello e pazienza.

 

 

 

1991: Peter Hudson con Giuliana Cavalieri Manasse nell’area di scavi per il sottopasso di Porta Palio

 

«Negli anni Ottanta e Novanta eravamo in pochi ad occuparci di archeologia in quel modo», racconta Simon Thompson, compagno di scuola, collega di tante avventure archeologiche di Peter Hudson. «Peter arrivò in Italia cominciando da alcuni lavori di scavo a Pavia, poi si trasferì a Verona per gli scavi condotti dalla soprintendente Cavalieri Manasse. Cominciò alla Rocca di Rivoli. Poi si spostò in città per gli scavi del Cortile del Tribunale, ora Scavi Scaligeri, insieme con l’architetto Libero Cecchini e fu un apripista nel Nord Italia».

Con quegli interventi di recupero archeologico infatti si aprì, spiega Thompson, una nuova epoca: «Cambiò completamente il metodo di lavoro perché si cominciò a lavorare in modo stratigrafico, nel rispetto delle varie epoche, sotto la direzione degli esperti. Si chiuse il periodo delle ruspe che scavavano tutto e degli operai che buttavano via qualunque cosa. Questo fu uno dei suoi grandi contributi all’archeologia: il metodo stratigrafico».

 

Peter Hudson non si sposterà più da Verona e dal suo centro storico. «Dopo il cortile del Tribunale, lavorammo insieme per gli scavi del Campidoglio cittadino, sotto Palazzo Maffei e Corte Sgarzerie dove ora gli scavi sono visitabili».

 

Arrivarono i Mondiali di calcio del 1990 e gli scavi dei sottopassi in circonvallazione. «Ricordo la campagna di scavo per il sottopasso di Porta Palio con la soprintendente Cavalieri Manasse. Vennero trovati tantissimi resti medievali e tombe. Per non parlare poi del lastricato della via Postumia, riportato alla luce sotto corso Cavour».

 

1999:  Peter Hudson   al lavoro sulla   Postumia in corso Cavour 

 

Che cosa resta di tutto questo? «È stato trovato tantissimo materiale interessante e prezioso, di epoca romana e medievale; servirebbe ora per la città il museo archeologico nazionale, ma non si riesce ad andare avanti, è ancora fermo».Una Verona che rischia di dimenticare queste pagine della sua storia e i suoi protagonisti. «Io spero che la città trovi il modo di ricordare il lavoro prezioso di Peter Hudson. Lui non era solo un archeologo da campo ma un vero studioso, un grande appassionato del periodo Longobardo e altomedievale, si immergeva negli studi in biblioteca, cercava e studiava documenti, ceramiche, testimonianze. Ha dato un contributo enorme alla storia di Verona e del Nord Italia. Il modo migliore per ricordarlo sarebbe riaprire in suo onore gli Scavi Scaligeri, con il suo nome, una foto. E magari la cittadinanza onoraria alla memoria….».

 

 

LA «CAMPAGNA DI RIVOLI». NEL 1978 SULLA ROCCA COMINCIÒ L’AVVENTURA VERONESE DELLO STUDIOSO

 

Il giovane Peter con gli amici alla riscoperta del Castello

 

Banterla: «Fu “adottato” dalla gente e tanti giovani diedero un aiuto»

 

Un legame speciale unisce Peter Hudson e Rivoli. Proprio qui, infatti, a partire dal 1978 l’archeologo anglo veronese diresse la campagna di scavi ai resti del castello medievale sulla Rocca a picco sulla Chiusa su incarico della pro loco del paese. E qui fece le sue prime, importanti scoperte.

 

«A Rivoli ebbe inizio il brillante percorso scientifico di Hudson, che divenne uno dei più importanti ricercatori di archeologia medievale e urbana, fino ad allora non molto considerata in Italia per il “primato” dell’archeologia classica» svela l’amico Gino Banterla, allora presidente della pro loco e oggi consigliere comunale. «Me lo aveva indicato il suo professore all’università di Lancaster, Hugo Blake, con cui si laureò in archeologia medievale. Da allora diventammo amici».

Il segno distintivo di quegli scavi fu la grande partecipazione della popolazione locale e gli studiosi inglesi furono “adottati” dalla gente. A tal punto che l’esperienza della campagna medievale alla Rocca è ancora viva nella memoria collettiva, a Rivoli. «Hudson conquistò la simpatia della gente con il suo carattere espansivo e ironico» continua Banterla. «Al gruppo di archeologi inglesi si affiancarono alcuni volontari rivolesi e le donne si diedero da fare per garantire a tutti un buon pasto ogni giorno».

Gli scavi condotti dall’esperto archeologo misero bene in rilievo l’importanza strategica di quel castello, in cui nell’Ottocento venne ambientato il romanzo storico di Osvaldo Perini “La Castellana di Rivoli”, e portarono alla luce una serie di manufatti che furono poi oggetto di una mostra.

 

«Quei reperti, che non si sa bene dove siano finiti, nei progetti del Comitato Rivoli ’97 avrebbero dovuto costituire una sezione medievale di un grande museo del territorio da istituire al Forte» conclude Banterla. E rivela: «Con Peter ne avevamo parlato più volte. Purtroppo non c’è stato il tempo di realizzare insieme a lui quel sogno».

Negli anni Settanta la pro loco di Rivoli, guidata da Banterla insieme a Dario Testi e Giorgio Zerbini, era una realtà giovane, battagliera e all’avanguardia sotto molti aspetti. Chiedeva un rinnovamento e promuoveva iniziative culturali di valorizzazione sia delle testimonianze storiche, archeologiche e monumentali sia dei prodotti locali. Combatté anche dure battaglie per difendere il territorio dalle lottizzazioni selvagge, dall’apertura indiscriminata di cave e dagli insediamenti industriali.

 

Fonte: srs di MAURIZIO BATTISTA, da L’Arena di Verona del 10 gennaio 2018

 

 

PETER JOHN HUDSON, L’ARCHEOLOGO CHE AVEVA VERONA NEL CUORE

 

Foto in alto: Peter John Hudson a Verona con alcuni suoi giovani collaboratori (Paola Fresco).

 

CON LUI I VERONESI PERDONO UN TESTIMONE IMPORTANTE DELL’EVOLUZIONE DELLA CITTÀ DALLA SUA FONDAZIONE, UN INNOVATORE DELLA TECNICA DI SCAVO STRATIGRAFICO, CHE SI POI SI È DIFFUSA IN TUTTA ITALIA.

 

Una dedizione indefessa al lavoro di scavo archeologico e un approfondito studio della storia della nostra città: ecco i tratti distintivi della figura dell’archeologo Peter John Hudson che ci ha lasciato improvvisamente martedì 8 gennaio. L’archeologo inglese, nato a Manchester il 26 settembre 1954, era arrivato a Verona nel 1981, per dedicarsi con uno straordinario lavoro agli Scavi Scaligeri dell’ex tribunale, purtroppo oggi chiusi al pubblico. Si trattò del primo scavo urbano così esteso fatto in una città italiana con l’utilizzo del metodo stratigrafico: circa 1500 metri quadrati per una profondità di 3,5 m. che hanno attestato l’evoluzione della storia di Verona dal suo primo insediamento romano nell’ansa del fiume, intorno al 48 a.C., fino al periodo scaligero. Ciò che colpiva in lui era la capacità di sintesi e di interpretazione del dato archeologico che sapeva collocare e datare con grande competenza.

 

Nel ’90 entra, come socio fondatore e direttore tecnico, nella cooperativa veronese Multiartacquisendo l’importante commessa del sottopasso di Porta Palio, al quale parteciparono anche vari studenti inglesi. Quindi a Povegliano diresse lo scavo della Madonna dell’Uva Secca da cui emersero tombe pre-romane e longobarde, lavorando sempre in collaborazione con la direttrice del nucleo operativo della Soprintendenza del Veneto Giuliana Cavalieri Manasse.

 

1988:  Gli scavi davanti a Porta Borsari 

 

Tra il 1997 e il 1999, durante gli scavi Agsm in via Mazzini, fu il protagonista della scoperta delle mura che Gallieno costruì nel 265 d.C. intorno all’Arena affinché non rimanesse baluardo nelle mani dei barbari: nell’area della farmacia Due Campane egli scoprì il tratto che le collegava all’allineamento di via Alberto Mario. Emersero tra gli altri i resti di una bella scalinata di un tempio che fu demolito per far spazio alle mura. L’anno dopo fu la volta degli scavi in Corso Cavour dove mise in luce, in tutta la sua maestosità, la via Postumia che denominò “autostrada dell’antichità” larga 14 m fino ai 16 m dell’area di Castelvecchio.

 

Fu poi la volta di Palazzo Maffei e quindi della Basilica romana in fondo a via Mazzini, dove oggi un tratto di pavimentazione più scuro ricorda la presenza dell’abside sottostante, solo per citare i suoi lavori più eclatanti. I problemi burocratici che incontrava sugli scavi e che ne ostacolavano il lavoro affliggevano il suo cuore di leone appassionato, dalla criniera fulva e dalla corporatura imponente, sempre pronto all’azione: alla città rimane l’esempio della sua figura dal carattere sensibile, umile e generoso, e tutti i dati storici che sono stati raccolti ed elaborati grazie al suo amore profondo per l’archeologia.

 

Con lui Verona perde un testimone importante dell’evoluzione della città dalla sua fondazione, un innovatore della tecnica di scavo stratigrafico, che da Verona poi si è diffusa in tutta Italia. A lui il mondo accademico, che poco frequentava per la sua predilezione al lavoro sul campo, deve molto.

 

Giulia Cortella

 

Fonte: Srs di Giulia Cortella  da Verona -in, del  10 gennaio 2019-01-10

Link: https://www.verona-in.it/2019/01/10/peter-john-hudson-larcheologo-che-aveva-verona-nel-cuore/?fbclid=IwAR2tfuhCDdr4hBioXuUnVW2Gr_FQfcGUzqQpeaKf8V66EtJBTIYtFCAs2IE

 

 


Gen 05 2019

LESSINIA. QUANDO LE NEVICATE ERANO UN AFFARE SERIO PER I NOSTRI MONTARI DEL PASSATO

Category: Lessinia,Veneto e dintorni,Verona storia e dintornigiorgio @ 08:07

Velo Veronese – Eccezionale nevicata del febbraio 2014 – Fotografia fornita dalla sig.ra Dal Castello Nicoletta

 

 

” CUAN LE FIOCADE I’ERA N’AFAR SERIO PAR I NOSTRI MONTANARI DE N’OLTA”

 

Tanti anni fa la neve, anche sui nostri monti Lessini, era un “affare” serio e poteva durare per mesi e mesi, isolando i paesi e soprattutto le contrade (specialmente le più sperdute) dal resto del mondo. Non era affatto insolito che i nostri montanari di un tempo andassero la sera a letto con il cielo stellato, per poi svegliarsi al mattino sotto una spessa coltre di manto bianco.

 

Si capiva subito che c’era la neve dal silenzio ovattato e innaturale che avvolgeva l’ambiente circostante, poi arrivava il rumore delle “sbaìle” (badilate) che aprivano le vie per poter uscire.

 

In ogni casa, dietro la porta, che rigorosamente doveva aprirsi all’interno per evitare di rimanere intrappolati nell’abitazione, insieme alla “spassaora” (scopa) c’era sempre almeno una “baìla” (pala) in legno e quando la nevicata era stata veramente abbondante si era costretti ad uscire dalle finestre dei piani superiori perché la neve aveva coperto anche la porta d’entrata. Gli spazzaneve meccanici non esistevano di certo e quindi per aprire le vie di comunicazione con i paesi vicini e le contrade vi provvedevano gli uomini del paese che utilizzando il cosiddetto “ojo de gombio” (la fatica corporale), badilata dopo badilata, si facevano strada tra la spessa coltre bianca.

 

Continua a leggere”LESSINIA. QUANDO LE NEVICATE ERANO UN AFFARE SERIO PER I NOSTRI MONTARI DEL PASSATO”