Nov 26 2017

EDOARDO AGNELLI ERA UN SUFI, MA CON PARENTI NEL B’NAI B’RITH’

Edoardo Agnelli  (New York, 9 giugno 1954 – Fossano, 15 novembre 2000)

 

 

Edoardo Agnelli era un Sufi: lo scomodo figlio dell’Avvocato, morto il 15 novembre del 2000, era approdato all’ala mistica dell’Islam. Una mosca bianca, nell’impero Fiat, oggi retto da una famiglia «il cui capostipite fa parte del B’nai B’rith», cioè dell’élite massonica del sionismo più reazionario.

 

Lo afferma l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, che pubblica su Facebook una foto del giovane Agnelli raccolto in preghiera: «Se le fonti sono giuste», scrive Carpeoro, la foto è stata scattata a Teheran il 27 marzo 1981 durante la Preghiera del Venerdì, condotta dall’ayatollah Seyyed Khamenei, “guida suprema” della repubblica islamica. Edoardo, in prima fila sulla destra, prega insieme a un Imam «che è famoso per aver avuto forme di collaborazione anche con Battiato». Si tratta di un religioso musulmano che, «appartenendo alla parte sciita dell’ambiente islamico, era anche uno dei capi del movimento Sufi».

 

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Nov 22 2017

LUIGI BERTAGNA: L’ULTIMO «RAGAZZO DELLA FOLGORE» RACCONTA LE BATTAGLIE DI EL ALAMEIN

Foto d’epoca del caporale Maggiore dei paracadutisti Luigi Bertagna

Il tesserino militare di Luigi Bertagna all’età di vent’anni

 

 

STORIA. Il reduce veronese d’Africa era del famoso 5° Battaglione; oltre a lui un altro sopravvissuto risiede in Friuli. Luigi Bertagna, 88 anni: «Si combatteva anche contro mosche, pidocchi e dissenteria»

 

È un ragazzo di 88 anni: ragazzo, perché Luigi Bertagna – classe 1922 – conserva lo spirito del «folgorino» che combatté eroicamente a El Alamein, tra il luglio e il novembre del 1942.

Dal 1986 – dopo esser stato direttore del parco-giardino Sigurtà, a Valeggio – vive a Verona, ed è uno dei due «leoni della Folgore» (ma preferisce «ragazzi», come li chiamavano pure i tedeschi e gli inglesi) reduci ancora viventi del 5° Battaglione, 15ma Compagnia di quella divisione che – come ricordò Paolo Caccia Dominioni – fu all’epicentro del grande ciclone bellico, e il cui sacrificio è stato alto.

L’altro reduce vivente del 5° Battaglione è Pino di Giusto (vive a Pordenone, e il Comune gli ha conferito recentemente la cittadinanza onoraria); del 9° Battaglione, invece, è vivente soltanto il generale Marcello Berloffa.

 

Luigi Bertagna – una memoria eccezionale – ricorda commosso quegli anni, mostrandoci nel contempo una straordinaria documentazione che testimonia la vita di un ragazzo senza dubbio avventurosa. Soprattutto dal 1942 al 1945, fra prima linea prigionia e fughe dai campi concentramento.

 

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Nov 21 2017

BRUNO GIOVANNI LONATI: IL PARTIGIANO CHE UCCISE MUSSOLINI

Bruno Giovanni Lonati, born June 3 1921, died November 13 2015

 

 

Secondo la sua ricostruzione fu lui a sparare al Duce il 28 aprile 1945 nell’ambito di una missione voluta dal governo inglese. Le sue dichiarazioni smentirono la versione ufficiale data dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia

 

IL 12 novembre 2015 moriva Bruno Giovanni Lonati, il partigiano che nel 1994 si assunse la responsabilità della  uccisione di Mussolini, smentendo la versione ufficiale del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. Lonati, aveva 94 anni, e si è spento domenica nella sua casa di Brescia, dove si era ritirato dopo la pensione, e i funerali si sono tenuti lunedì 16 novembre 2017 mattina nella chiesa bresciana di Sant’Angela Merici.

 

Noto durante la Resistenza con il nome di “Giacomo“, l’uomo era a capo della 101esima Brigata Garibaldi, nonché comandante di una divisione partigiana attiva a Milano. La sua confessione su quello che successe il 28 aprile 1945, poco dopo le ore 11, in una stradina a Bonzanigo di Mezzegra, sul lago di Como, fece il giro del mondo, e da ormai da 21 anni, alimenta la tesi che Benito Mussolini sia stato in realtà ucciso nell’ambito di una missione segreta voluta dagli inglesi e diretta dall’agente segreto John Maccaroni, detto “il capitano John”, ufficiale dello Special Operations Executive.

 

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Nov 20 2017

L’INNO DI MAMELI? NON È L’INNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, MA QUELLO DEI MASSONI

 

 

di Ignazio Coppola

 

Tratto da I Nuovi Vespri

 

Vi siete mai chiesti perché il nostro inno nazionale inizia con la parola “fratelli” ? E, su questo vi siete mai data una risposta? A tal proposito vale bene ricordare che l’inno di Mameli non è mai stato l’inno ufficiale della Repubblica italiana, bensì un inno ufficioso o, per meglio dire “precario” come, del resto, lo è la maggior parte di tutto ciò che avviene in questo nostro Paese. A ben vedere, per quanto infatti diremo, il “precario” e ufficioso inno di Mameli si può definire a buon diritto l’inno che la massoneria impose alle nascente Repubblica italiana nel lontano 1946 in sostituzione della “marcia reale” che aveva caratterizzato il precedente periodo monarco-fascista.

 

 

“Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta”: queste infatti sono le prime parole dell’inno di Mameli. Un inno, come si intuisce, di chiara connotazione massonica, musicato da Michele Novaro e scritto nell’autunno del 1847 dal “fratello” Goffredo Mameli (al quale, a riprova della sua appartenenza e devozione ai liberi muratori, sarà poi dedicata a futura memoria una loggia) che, non a caso e da buon “framassone”, lo fa iniziare con la sintomatica e significativa parola “Fratelli”.

 

Un inno scritto dal “fratello” Goffredo Mameli nel 1848 e riproposto un secolo dopo, il 12 ottobre 1946, da un altro “fratello”, il ministro delle guerra dell’allora governo De Gasperi, il repubblicano Cipriano Facchinetti, da sempre ai vertice della massoneria, con la carica di Primo sorvegliante nel Consiglio dell’Ordine del Grande Oriente d’Italia e affiliato alla loggia “Eugenio Chiesa”.

 

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Nov 19 2017

GERUSALEMME: RITROVATO UN’ANTICO STABILIMENTO TERMALE ROMANO

 

 

Ritrovato a Gerusalemme uno stabilimento termale romano.

Questa scoperta mostra con sorpresa che l’accampamento romano fosse stato molto più esteso di quanto si pensasse.

 

Sono state ritrovate diversi corredi intatti compreso anche le piastrelle che portavano incise lo stemma della Decima legione che distrusse il secondo tempio di Gerusalemme.

 

Questa scoperta aiuterà a capire i confini della vecchia Gerusalemme.

 

Il ritrovamento del marchio della Decima Legione, inciso sia sulle tegole del tetto sia nei mattoni di fango gettato in opera, ci indica che furono direttamente i soldati romani a costruire l’intera struttura.

 

Sembrerebbe che il bagno pubblico sia stato utilizzato dagli stessi soldati che presidiarono quei luoghi e furono gli artefici della repressione della rivolta di Bar Kokhba nel 135 d.c.

Le strutture rinvenuto comprendono una serie di vasche intonacate nel fianco di una piscina e della pavimentazione bianca a mosaico.

 

Centinaia di piastrelle di terra cotta che erano collocate sul tetto sono state ritrovate sul pavimento della piscina, dimostrando che la stessa era provvista di una copertura.

 

Le piastrelle di questi bagni sono timbrate con i simboli LEG X FR (legione Decima “Fretensis” ).

 

La città romana di cui questo bagno faceva parte era chiamata Aelia Capitolina e la sua completa comprensione servirà per determinare come le vecchie mura di Gerusalemme erano disposte.

 

Fonte: http://edition.cnn.com/ (novembre 2010)

Fonte: da antikitera del 23 novembre 2010

Limk: http://www.antikitera.net/news.asp?ID=9522&TAG=Antichi%20Romani&page=12

 


Nov 18 2017

IL VACCINO PIÙ IMPORTANTE CHE NESSUNO FA!

Category: Salute e benesseregiorgio @ 00:15

 

 

 

C’è un vaccino che in Italia fanno in pochissimi bambini. Un vaccino che andrebbe somministrato per la prima volta a un anno e mezzo di vita. E da lì in poi tutti gli anni, a garantire una copertura stabile, almeno fino agli otto, nove anni d’età. Il vaccino previene un deficit importante. Un deficit che non andrebbe trascurato, ma che purtroppo la maggioranza dei genitori ed educatori perde colpevolmente di vista: stiamo parlando del vaccino contro il deficit d’immaginazione

 

Dal momento che l’immaginazione, quale facoltà mentale fondamentale e insostituibile dell’essere umano, vive la sua maggior fioritura tra i 18 mesi e gli 8/9 anni di vita di ciascun individuo, siamo convinti che sia proprio lì, a quell’età, che tutti dobbiamo iniziare a preoccuparcene, mettendo in atto ogni mezzo in nostro possesso per salvaguardarla da qualsiasi pericolo, da qualsiasi cosa possa nuocerle o, peggio, estinguerla. L’immaginazione va protetta. Ne va del nostro benessere, di quello delle future generazioni. Ne va della stessa sopravvivenza dell’uomo, per come siamo stati abituati a conoscerlo: un animale sociale, razionale e spirituale. Un animale con in più l’immaginazione. La facoltà che, per l’appunto, lo rese sociale, razionale e spirituale. 

 

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Nov 17 2017

IN BOCCA AL LUPO…IL SIGNIFICATO

Category: Pensieri e parolegiorgio @ 00:09

 

 

Non tutti conoscono la bellezza del significato del modo di dire “in bocca al lupo”.

L’augurio rappresenta l’amore della madre-lupo che prende con la sua bocca i propri figlioletti per portarli da una tana all’altra, per proteggerli dai pericoli esterni.

Dire ‘in bocca al lupo’ e’ uno degli auguri più belli che si possa fare ad una persona.

E’ la speranza che tu possa essere protetto e al sicuro dalle malvagità che ti circondano come la lupa protegge i suoi cuccioli tenendoli in bocca.  
Cosa rispondere, quindi, all’augurio “In bocca al lupo”?

Frasi come “Lunga vita al lupo” oppure “Evviva il lupo” oppure semplicemente “Grazie”.

 

Nella lingua francese si trova – se précipiter dans la gueule du loup – precipitarsi in bocca al lupo

 

 


Nov 16 2017

LA PRIVACY È IL SURROGATO DELLA MENZOGNA

Category: Monade satira e rattatujegiorgio @ 00:19

 

 


Nov 15 2017

L’AMERICA È STATA SCOPERTA DAI FRATELLI ZEN, VENEZIANI, NEL 1390

Category: Storia e dintorni,Storia moderna e revisionismogiorgio @ 00:18

 

 

Il nostro giro delle isole si arricchisce di un viaggio davvero unico, quello narrato da Andrea Di Robilant nel suo libro Irresistibile Nord, che mi ha raccontato un pomeriggio in un bar di Monteverde. Un viaggio che comincia nel 1300, anzi ancora prima nell’anno Mille, e in cui c’è una mappa misteriosa, degli indigeni cannibali, delle isole che non esistono e, tra l’altro, l’inconsapevole scoperta dell’America.

 

 

Intervista ad Andrea Di Robilant

 

 

Stavo nella Biblioteca Marciana, a Venezia, quando è entrato un turista americano in calzoni corti, maglietta e cappellino che era sceso da una delle navi crociera che solcano il canale della Giudecca. Si aggirava con un foglietto di carta, perciò mi sono alzato per aiutarlo. Lui mi ha dato il foglietto con su scritti due nomi “Nicolò e Antonio Zen” che a me non mi significavano niente. Lui allora mi ha detto: “Sa, nel paesino da cui provengo, nel Connecticut, lo sappiamo tutti che Nicolò e Antonio Zen hanno scoperto l’America nel 1390”. Io l’ho guardato strano e ho pensato: “Certo da queste navi crociera scende di tutto”. Ho tirato fuori un libro dagli scaffali, ho trovato un palazzo Zen, perché lui voleva farsi fotografare davanti al Palazzo Zen prima di tornare al suo paese. Così l’ho mandato a palazzo Zen. 

 

Sennonché qualche giorno più tardi, mentre camminavo in tutt’altra zona della città, passo davanti a un palazzo e vedo una lapide dove c’è scritto: “Qui vissero Nicolò e Antonio Zen, navigatori arditi che solcarono il nord Atlantico eccetera, eccetera”. Allora mi sono detto: “Porca miseria, l’ho mandato nel posto sbagliato!”

 

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Nov 14 2017

GLI ITALIANI TRUCIDATI DAL REGIME COMUNISTA

Category: Società e politica,Storia moderna e revisionismogiorgio @ 00:06

January 1942, Kerch, USSR — Families identify dead in Kerch, Crimea. — Image by © Dmitri Baltermants/The Dmitri Baltermants Collection/Corbis

 

 

Il comunismo inteso come regime non è mai andato al potere in Italia. In compenso ha mietuto più vittime italiane del “famigerato” regime fascista che pure ha dominato nel nostro Paese per oltre un ventennio.

 

Centinaia di italiani emigrati in Crimea nell’Ottocento soprattutto dalla Puglia, e poi dal Veneto, a partire dagli Anni Venti del ‘900 furono perseguitati dal regime comunista, prima col sequestro delle proprietà e poi con le purghe staliniane.

 

Molti di loro furono ingiustamente sospettati e accusati di attività controrivoluzionaria, furono processati e fucilati. Il 29 gennaio del 1942 avvenne il rastrellamento di tutte le famiglie di origine italiana e il loro trasferimento nei Gulag del Kazakhstan, dove i circa 1500 deportati furono decimati dal freddo, dalla fame, dalle malattie e dai lavori forzati.

 

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Nov 13 2017

DOPO CAPORETTO: LE PROFUGHE E LA POVERTA’

Category: Storia moderna e revisionismo,Veneto e dintornigiorgio @ 00:22

 

 

Di Gianni Cecchinato

 

Con lo scoppio della guerra e la chiamata alle armi di mariti, fratelli e padri parecchie donne dovettero inventarsi il ruolo di capo-famiglia, ruolo a cui non erano preparate. Quelle residenti nelle zone di guerra dovettero migrare in altre regioni affrontando esperienze nuove e difficili, soprattutto quando finirono nelle regioni del centro-sud.

 

 

– Si instaurava così un circolo vizioso, come narra una profuga friulana giunta a Cerignola (FG): “… fuggita dal mio caro paesello, durante l’invasione nemica, senza aver potuto portare con me neppure il necessario per cambiarmi, fui menata qui, in questa città delle Puglie […]. Qui non si può avere neppure l’acqua per lavarsi e devo pagarla a caro prezzo, diffalcando la spesa dall’esigua paga di lire due al giorno. Con l’enorme crescente rincaro dei viveri devo pensare a tutto con sole due lire; né posso andare in cerca di decorosa occupazione, vergognandomi di uscire dal mio ricovero così malandata e indecentemente vestita.” 

(Daniele Ceschin, “La condizione delle donne profughe e dei bambini dopo Caporetto”, in “DEP-Deportate, Esuli, Profughe, Rivista Telematica di studi sulla memoria femminile”, n. 1, 2004, p. 28). .. >

 

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Nov 12 2017

IL TESTAMENTO DI BEETHOVEN.

LA LETTERA DI BEETHOVEN AI FRATELLI CHE RACCONTA COME LA MUSICA LO ABBIA SALVATO DALLA SOLITUDINE DELLA SORDITÀ

 

Beethoven, 1820 – Joseph Karl Stieler 1781-1858

 

 

Ancora oggi la fonte della sordità di Beethoven rimane un mistero. Alcuni biografi parlano di avvelenamento da piombo – all’epoca, il piombo, si trovava ovunque, dal caffè alle acque termali – altri invece puntano il dito verso una rara patologia autoimmune. Beethoven stesso si convinse che fu un esplosione di rabbia a farlo diventare sordo. Secondo quanto riporta Alexander Wheelock Thayer, uno dei più autorevoli biografi del compositore tedesco, Beethoven si arrabbiò con un tenore che lo interruppe durante un’intensa sessione creativa. Una rabbia così intensa da portarlo a svenire e quindi cadere sul pavimento dopo essere salito in piedi sulla sua scrivania. Beethoven raccontò che dopo essersi ripreso, si accorse di non poter più udire nulla.

 

Questa condizione terrorizzò il compositore. Beethoven era certo che la sua improvvisa sordità si sarebbe rivelata sintomo di una malattia che lo avrebbe ucciso a breve. A soli trentadue anni, l’angoscia di non sapere cosa sarebbe successo alla sua vita lo portò a rinchiudersi in casa.

 

Ma il malessere peggiore, secondo Beethoven, fu la melanconia e la solitudine. “La mia sordità,” scrisse, “è meno un problema quando suono o compongo, specialmente in compagnia di altri”.

 

Ed è con questo spirito che scrisse il suo testamento nell’ottobre del 1802, con la richiesta, espressa ai due fratelli, di essere letto e rispettato solo dopo la sua morte. Un testo in cui tutta la sua sofferenza, la sua rabbia e il suo amore infinito per la musica emergono con forza.

 

 

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Nov 09 2017

QUANDO I VENETI EMIGRAVANO IN SLAVONIA….! UN PEZZO DI STORIA DA NON DIMENTICARE.

Category: Storia moderna e revisionismo,Veneto e dintornigiorgio @ 15:05

Processione dei Veneti della Slavonia attorno al 1925

 

 

Sarajevo, siamo a cena a metà strada fra il ponte dove scoppiò la prima guerra mondiale e il mercato dove il “secolo breve” celebrò l’ultima follia europea; siamo in otto e stiamo studiando il percorso del giorno dopo che ci porterà a Zagabria quando nella carta geografica lungo l’autostrada vedo scritto Kutina …”ma qua ghe xe i veneti” esclamai al che Dejan serbo-veneto che ci fece la guida per una settimana disse “si, par ti ghe xe veneti dapartuto…”
Mi sono attaccato al telefono e con poche chiamate ho stabilito il contatto giusto per il giorno dopo, l’appuntamento era proprio a Kutina nella sede dell’associazione.
Cosi’ siamo stati accolti dal “patriarca” della comunità Antun Di Gallo, che parla ancora un bellunese straordinario con le caratteristiche interdentali, dalla figlia Marieta che ha raccolto il testimone e che non parla il bellunese del padre ma un perfetto italiano (molto meglio del mio, anche se non ci vuole molto…) e da un’altra giovane ragazza Mirela Bartoluci; la sede della comunità è spaziosa, luminosa, operativa, i contatti con il Veneto e in modo particolare con il Bellunese piuttosto frequenti, anche perché durante e alla fine della guerra nella ex Jugoslavia diverse famiglie sono rientrate nel Veneto e nel Friuli, ancora più frequenti sono i contatti con l’Istria.
Ero già stato in zona nel lontano 1993 come assessore regionale alla solidarietà internazionale e mi trovai in una situazione drammatica: le nostre comunità della Slavonia erano proprio lungo il confine fra Croazia e Jugoslavia ed erano state particolarmente coinvolte, ci furono una ventina di morti fra la “nostra” gente; per fortuna la guerra è solo un brutto ricordo e in tutta la zona lo sviluppo è stato quanto mai veloce e efficace.

 

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Nov 08 2017

GLI SCIVOLI DELLE DONNE E IL RITO DI FERTILITÀ

 

Il sito di Bard all’incirca all’Età del Rame (metà IV – fine III millennio a.C.). Per quanto riguarda gli scivoli, questi appartengono ad un’epoca successiva, dal momento che hanno parzialmente cancellato le figure a cui sono sovrapposti.

 

 

Un rito di fertilità è un rituale religioso che rimette in scena un atto sessuale o un processo riproduttivo. Già nelle pitture rupestri erano rappresentati animali in procinto di accoppiarsi. Tale raffigurazione la possiamo considerare come un rito di fertilità magica. Queste ritualità avevano lo scopo di assicurare la fecondità della terra o di un gruppo di donne. 
Inizialmente il culto della fertilità era legato alla Grande Madre, generatrice e portatrice di fecondità. L’uomo primitivo rappresentava la Madre come una donna formosa con il ventre marcato per simboleggiare la fertilità.

 

A partire dal VIII millennio prima della nascita di Cristo si assiste alla proliferazione di raffigurazioni femminili legate al culto della fertilità. Il passo successivo è legato all’acquisizione del valore miracoloso della roccia. In questo contesto si inserisce lo studio legato agli scivoli della fertilità, massi utilizzati dalle donne che desideravano procreare.

Perché le pietre? Per la coscienza religiosa dell’uomo primitivo, la durezza, la ruvidità e la permanenza della materia sono una rivelazione del divino. La pietra è, rimane sempre se stessa, perdura nel tempo e colpisce. Ancora prima di afferrarla per colpire, l’uomo urta contro la pietra, non necessariamente con il corpo, ma per lo meno con lo sguardo. In questo modo ne constata la durezza, la ruvidità e la potenza. La pietra gli rivela qualcosa che trascende la precarietà dell’esistenza umana. 

 

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Nov 05 2017

VICENZA MEDIOEVALE

Category: Storia e arte,Veneto e dintornigiorgio @ 17:47

La PIANTA ANGELICA è una grande pianta prospettica della città di Vicenza, realizzata in epoca rinascimentale e conservata presso la Biblioteca Angelica di Roma, da cui prende il nome. Si rifà alle vedute di città in voga nel Cinquecento, in primis quella di Venezia realizzata da Jacopo de’ Barbari nel 1500.

 

 

di Andrea Kozlovic

 

[saggio di Andrea Kozlovic con l’avvertenza che era già stato pubblicato nel numero 2 di Storia Vicentina del giugno/luglio 1994] 

 

 

Vicenza, municipium di diritto romano dal 49 a.C., fu, durante i secoli d’oro dell’impero, piccola città della X^ Regio Venetia et Histria, ricca però per industrie, commerci, agricoltura. Testimonianza di questa opulenza, legata anche al fatto che la città era attraversata dalla via Postumia, la presenza di un acquedotto della lunghezza di più chilometri ed i cui resti sono ancora visibili poco lontano dalla città, in contrà Lobia, di un grande teatro, di ricchi mosaici pavimentali, di iscrizioni a carattere pubblico e privato. Ma anche Vicenza romana, i cui termini andavano all’incirca dall’attuale Porta Castello all’altura di Santa Corona e dalla fine di contrà Porti, dove inizia la bassura di Pusterla, a ponte San Paolo, verrà colpita come il resto dell’impero dalla crisi del IV-V secolo. Nel 451 d.C. la città verrà a trovarsi lungo l’itinerario di Attila, subendo, come molte altre città dell’Italia nord-orientale, un saccheggio che la tradizione ricorda tremendo. Vicenza farà parte poi, dopo la fine dell’impero romano d’occidente, del regno gotico e puntualmente la tradizione ricorda una visita di Teodorico alla città dove nel teatro romano di Berga concedeva contributi per il restauro di edifici in rovina.

 

 

Del successivo, breve, periodo bizantino seguito alla guerra greco-gotica, a Vicenza non rimangono tracce. Solamente un’iscrizione, nella basilica di San Felice, ricorda un ufficiale di nome Johannes, originario della lontana Armenia e che morì nella città berica in epoca imprecisata attorno alla metà del VI secolo. Secondo quanto scrive Paolo Diacono, i Longobardi – sotto la guida di re Alboino – lasciarono la Pannonia il 2 aprile del 568, lunedì di Pasqua – diretti in Italia. Forum Julii, l’odierna Cividale, Cèneda e Treviso furono le prime città conquistate; fu poi la volta di Vicenza che divenne così il quarto ducato della provincia longobarda di Austria che comprendeva l’Italia nord orientale con centro principale Verona.

 

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