Ott 08 2022

VERONA. TRASFORMAZIONE DEGLI EX MAGAZZINI GENERALI

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ALCUNE NOTE INVIATE DA FAUSTO CALIARI PER RICORDARE IL PERCORSO CHE HA PORTATO L’INTERA AREA DEGLI EX MAGAZZINI GENERALI A TRASFORMARSI DA ZONA PRODUTTIVA, A CULTURALE E INFINE TERZIARIO-DIREZIONALE. 

RISULTA CHIARO IL RUOLO AVUTO DALLA FONDAZIONE CARIVERONA IN QUESTA OPERAZIONE CHE HA PRIVATO VERONA E I VERONESI DI UN’OTTIMA OPPORTUNITA’ DI RIQUALIFICAZIONE .

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LA PROFEZIA DELLA LOCOMOTIVA COSMICA SI È TRISTEMENTE AVVERATA. 

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Dopo la ristrutturazione la magnifica Stazione Frigorifera n°10 appare come un effimero guscio vuoto, violentemente scarnificato, addomesticata e imbellettata per asservire al meglio le nuove

funzioni commerciali, spogliata dei preziosi elementi caratterizzanti che la elevavano potentemente a luogo immaginifico dell’anima, e che proprio per questo ne giustificavano il vincolo integrale originale, perché con il tempo era divenuta opera d’arte; vincolo ribadito con ben due sentenze del consiglio di Stato purtroppo rimaste lettera morta. Ora si può davvero dire che sia spenta e abbandonata in un deserto di idee, lontanissima dalla sua energia primordiale. 

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Mar 07 2017

VERONA. A PROPOSITO DI GIUSEPPE DELLA SCALA ABBATE DI SAN ZENO

Category: Chiesa veronese,Verona arte e dintornigiorgio @ 00:08

La tomba  di Giuseppe della Scala nel chiostro di S. Zeno

 

 

La fortuna storiografica di Giuseppe della Scala, il figlio illegittimo di Alberto I che resse il monastero zenoniano dal 1292 al 1313, è legata si può dire in modo esclusivo al duro giudizio che di lui dà Dante Alighieri nei versi notissimi di Purg. XVIII, laddove Gerardo, che fu abbate di S. Zeno in Verona al tempo del «buon Barbarossa», accomuna nella condanna Giuseppe, «mal del corpo intero/ e della mente peggio, e che mal nacque», e il padre suo Alberto, «che tosto piangerà quel monastero,/ e tristo fia d’avere avuta possa» giacché lo «ha posto in loco di suo pastor vero» sul seggio abbaziale.

 

Fra Otto e Novecento, alcuni validi contributi eruditi dovuti a G. Gerola e L. Rossi, a G. Biadego e a G. Da Re., hanno fornito un’ampia messe di dati documentari, riguardo a questo Scaligero, soprattutto attraverso accurati spogli del materiale archivistico di S. Zeno.

 

Grazie a queste ricerche i dati biografici essenziali di Giuseppe della Scala furono stabiliti in modo definitivo.

 

Nato verso il 1263, Giuseppe divenne all’età di vent’anni priore del monastero cittadino di S. Giorgio in Braida, a seguito di una dispensa vescovile (poi confermata da un breve di Onorio IV nel 1286) che lo proscioglieva dalla irregolarità canonica legata alla sua nascita illegittima.

Dal marzo 1292 alla morte – occorsa tra il maggio e il novembre 1313 – resse in qualità di abbate il monastero di S. Zeno; nel 1311, come ha posto in luce di recente il Brugnoli, fu anche contemporaneamente «rector ed administrator» di S. Giorgio in Braida.

In ripetute occasioni ricoprì incarichi ecclesiastici di una certa responsabilità: nel 1291 delegato pontificio per una questione inerente ad un canonicato della cattedrale di Verona, nel 1299 fu collettore della decima papale, nel 1308 fu, per mandato di Ottobono patriarca di Aquileia, visitatore del clero regolare veronese, come ha documentato il Sancassani.

 

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Mag 08 2016

VERONA: MAURO FERRARI, SCULTORE EREMITA CHE DÀ LA VITA AL LEGNO

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Mauro Ferrari

 

Verona – Comerlati di Badia Calavena. Fa il panettiere, ma ha scelto di rifugiarsi in un luogo fuori dal tempo per coltivare la sua passione

C’è un luogo, in Lessinia, poco a sud di Velo e non distante dalla chiesa di Santissima Trinità, che sembra fuori dal tempo e fuori dal mondo. Si chiama contrada Comerlati, e si compone di poche case, di un ampio prato che scende in direzione di Badia Calavena e di boschi. Qui, tornato nella casa che un tempo era della nonna materna, abita uno dei pochi scultori lignei delle nostre montagne: Mauro Ferrari.

 

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Set 28 2009

IL DUOMO DI VERONA: FONTI

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Il Duomo di Verona visto da Castel San Pietro

 

Non esistono testimoniata di documenti che attestino con certezza le fasi dei lavori. Esistono tuttavia notizie, per lo più riferite da storici locali, a partire dal XVI secolo, che ci permettono di conoscere alcune date utili per la definizione di una cronologia del manufatto.

Il battistero di S. Giovanni in Fonte fu riedificato dal vescovo Bemardo nel 1123; la chiesa di S. Elena fu riconsacrata da Pellegrino patriarca di Aquileia nel 1140, come attesta un’epigrafe. Negli degli stessi anni inoltre fu la ristrutturazione delle case canonicali ed infine la costruzione del chiostro le cui prime notizie si fanno risalire al 1123.

Per quanto riguarda invece la fondazione della cattedrale, una notizia ci viene dallo storico Canobbio secondo cui:

«nel 1139 furono principiati i fondamenti del Domo nel modello, che di presente si vede».

I lavori sarebbero iniziati durante l’episcopato di Teobaldo II (1135-1157).

A tale proposito è opportuno segnalare che, a partire dal periodo in cui Teobaldo fu arciprete del capitolo, furono emessi dei privilegi papali. Nel 1121 questi furono concessi a Teobaldo dal papa Callisto II e poi riconfermati nel 1132 da Inocenzo II .  Gli stessi furono successivamente riconfermati da Innocenzo II nei confronti del nuovo arciprete Gilberto nel 1140), e infine nel 1177 da Alessandro III nei confronti di Riprando, eletto vescovo nel 1185.

La concessione del godimento di benefici si fa collegare in parte alla necessità di reperire fondi per intraprendere l’opera di risistemazione dell’area definita dalla cattedrale e dai complessi adiacenti negli anni immediatamente successivi al terremoto. Inoltre proprio Teobaldo e Riprando furono i maggiori artefici di una vera e propria riforma ecclesiastica della diocesi.

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Giu 20 2009

Verona: La muletta di Santa Maria in Organo

Verona: La Muletta lignea con sopra il Cristo benedicente posta presso la chiesa di Santa Maria in Organo

 

 

L’animale degli umili: l’asino, il suo palio, ma anche divinità Mediterranea

 

Da Colle San Pietro passano strade che si dipanano per le dolci colline delle Tortesele. Già nell’epoca romana erano normalmente percorse dalle genti, piccole strade in proporzione ai bisogni odierni, ma al tempo quelli che ora sono viottoli rappresentavano proprio arterie importanti che da Verona portavano in varie direzioni preferendo la via della collina a quella della pianura.

Queste strade, che furono sopratutto vie di trasporto condivise fra animali e uomini, oggi rivivono come percorsi didattici e naturalistici che hanno mantenuto nei secoli il loro fascino inalterato.

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Mar 20 2009

Verona Chiesa Santi Apostoli, il cantiere «sorvegliato speciale»

 

Lo scavo per il parcheggio pertinenziale davanti alla chiesa dei Santi Apostoli FOTO MARCHIORI

LA CHIESA DANNEGGIATA. Si alza l’attenzione del Comune. La Sovrintendenza sistemerà la tela del Brentana

Tosi: «Se a causare le crepe sono gli scavi, stop ai lavori» E Di Dio stanzia 35mila euro per restaurare tetto e volte

Enrico Giardini

 

Crepe sui muri del sacello della santa Teuteria e Tosca sotto la chiesa dei Santi Apostoli, il Comune eserciterà un monitoraggio costante con i propri tecnici sullo stato del tempietto (risalente al 751) e sugli scavi per il parcheggio interrato in fase di costruzione nella piazzetta Santi Apostoli, per verificare se dall’escavazione possano o meno dipendere danni alla struttura.

«L’intervento è di un privato ed è stato autorizzato dalla scorsa amministrazione», spiega il sindaco Flavio Tosi, «e comunque verificheremo se c’è una correlazione fra danni e lavori del parcheggio.  Se appureremo che ce ne sono dovremo fermare il cantiere».

Intanto, con un emendamento al bilancio, l’assessore ai lavori pubblici, Vittorio Di Dio, ha destinato 35mila euro al parroco dei Santi Apostoli, monsignor Ezio Falavegna, affinché possano partire in tempi rapidi i lavori per restaurare e consolidare la parte interna del tetto e le volte della chiesa, parzialmente ceduti da quasi tre anni. I danni sono stati causati dal fatto che le due strutture lignee di sostegno della copertura, cedendo, hanno gravato sulle volte, facendo quindi cadere calcinacci all’interno della chiesa. Per evitare che ne cadano ancora a terra sono già stati attaccati ai muri una rete e un telo.

Esiste già un progetto di restauro e consolidamento del tetto e delle volte approvato dalla Sovrintendenza ai Beni architettonici, a cui si è sensibilizzato anche Massimo Raccosta, amministratore della Technital, la società di costruzioni che assiste il parroco nell’iter di restauro.

Grazie al finanziamento stanziato dal Comune e a quanto verrà raccolto nella sottoscrizione pro restauri alla chiesa dei Santi Apostoli lanciata dal Comune, sarebbe quindi possibile intervenire con una certa celerità. Anche perché, preoccupato per l’agibilità della chiesa, il parroco don Falavegna non ha escluso di poterla chiudere alle celebrazioni.

«Ma chiudere la chiesa sarebbe una sconfitta», spiega Di Dio, «perché privare i fedeli della possibilità di entrare in una chiesa splendida e di visitare il sacello delle sante Teuteria e Tosca significa rinunciare a un pezzo di cultura e storia della città, che devono venire prima di qualsiasi nostra comodità, come un parcheggio. Faremo ogni sforzo quindi per evitare che sacello e chiesa subiscano ulteriori danni. Ora però, con il finanziamento, i restauri del tetto potranno partire». Intanto la Sovrintendenza ha già stanziato soldi per restaurare la tela del Brentana, sull’altar maggiore.

 

Fonte: srs di Enrico Giardini da L’Arena di Verona Venerdì 20 Marzo 2009, CRONACA, pagina 8


Mar 20 2009

Verona: Emergenza Santi Apostoli. può cedere anche il tetto

 

LA CHIESA DANNEGGIATA. Non sono solo le crepe del sacello a preoccupare. Don Falavegna: «Urgente trovare i fondi»

Il parroco deve affrontare il problema dell’agibilità, la copertura è a rischio dopo il cedimento del 2006

 

Non ci sono solo i problemi del sacello delle sante Teuteria e Tecla a far dormire sonni poco tranquilli al parroco dei Santi Apostoli don Ezio Falavegna. Oltre alle crepe che si sono aperte (o allargate, a seconda dei punti di vista) nel tempietto del 751, il più antico del Veneto secondo alcuni studiosi, il sacerdote si trova ad affrontare l’agibilità stessa della chiesa parrocchiale, messa a repentaglio da un cedimento strutturale del tetto, che in caso di eventi meteorologici straordinari (ma non troppo), come una abbondante nevicata o una tempesta estiva particolarmente forte, potrebbe cedere.

Ed era stato proprio il fortunale dell’estate 2006 a provocare il cedimento.

«La copertura della chiesa», ha spiegato il professor Franco Lollis, presidente della Società delle Belle Arti e curatore architettonico dei due attigui edifici sacri, «è stata attuata in due fasi. C’è un tetto più antico, con la classica struttura a capriate triangolari, tipica delle chiese romaniche, che si appoggiano trasversalmente sulle pareti laterali e reggono la copertura. Su queste capriate, in epoca successiva, sono stati agganciati, da sotto, due lunghi travi, con il compito di sostenere il nuovo soffitto decorato. L’usura del tempo sulla parte lignea ha ora fatto sì che le due strutture di sostegno, che erano distinte, venissero a contatto, gravando in tal modo con tutto il loro peso sulle volte, che nel 2006 hanno ceduto parzialmente, facendo cadere molti calcinacci dell’intonaco».

L’allora parroco, monsignor Adriano Vincenzi, chiuse immediatamente la chiesa, riaprendola con molta prudenza dopo alcuni giorni. Successivamente fu stesa sopra l’intera navata dell’edificio una larga – e orrenda, a onor del vero – rete che sorregge un telo di plastica destinato a raccogliere eventuali calcinacci che dovessero ancora staccarsi, a protezione dei fedeli.

«Il problema», dice don Falavegna, «è reperire i fondi necessari a un lavoro più che mai necessario».

L’ingegner Massimo Raccosta, della Technital, la società che sta costruendo il parcheggio nell’attigua piazzetta, si è sensibilizzato al restauro, per il quale, ha riferito Lollis, c’è già un progetto approvato dalla Soprintendenza ai Beni architettonici, che potrebbe procedere abbastanza celermente una volta trovati i soldi per coprire le spese dell’intervento di sistemazione della chiesa consacrata nel 1194 dal vescovo Adelardo, dopo che la precedente era stata distrutta da un terremoto (altro evento che potrebbe avere conseguenze nefaste su un tetto così malmesso).

L’edificio, che ha subito vari rimaneggiamenti nel corso della storia, l’ultimo dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale, che l’avevano parzialmente danneggiata, contiene alcune opere d’arte assai pregevoli, come il «Sant’Agostino in meditazione» del periodo romano dell’Orbetto, l’«Adorazione dei Magi» di Felice Brusasorci, la «Pentecoste» di Simone Brentana o l’affresco «Cristo con la croce e san Rocco» del Giolfino, recentemente restaurato, assieme a quello della «Santissima Trinità» nell’altra cappella votiva ai lati dell’altare, per iniziativa del Lions Club Cangrande. (G.B.)

 

 

Fonte: L ’Arena di Verona di Giovedì 19 Marzo 2009,  CRONACA, pagina 9


Mar 15 2009

Verona: La terra di Batiorco e il suo monastero

 

Anno Accademico 1924.1925  –  Tomo LXXXIV – Parte seconda

 

RAFFAELLO BRENZONI

(presentata: dal dott. A. Forti, m. e., nell’ad. ord. 14 dicembre 1924)

 

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Batiorco! Nomè storico veronese, che servì a precisare fino da remota  età un breve  tratto di terra, situato  in pianura in vicinanza  di S. Michele in Campagna. Nessun dato, nessuna notizia circa l’origine ed il significato di questo nome, trovato persino in  carte del X secolo. La sua origine perciò, collegata al più oscuro  Mediò Evo e la conseguente sua derivazione da una forma linguistica latina o barbarica, (si noti persino la desinenza in o, ch’ esso mantiene nei documenti più antichi), tolgono, a mio  avviso, oggi serietà alla nota leggenda dell’ orco, che il popolo nostro  fece sorgere intorno a  questa denominazione, in cui si volle vedere la  fusione di un verbo e di un sostantivo italiano

(Si pensi, fra l’atro, che, se qualche rara volta s’incontra in carte della remota antichità il verbo battere, esso ha il significato di  percuotere; non mai, di percorrere; mentre per orco s’ intese, anche nella bassa latinità;  l’inferno; o il Dio dell’ inferno e nulla piu’)

Allo stato delle cose, mancando ogni elemento sicuro, per una deduzione etimologica,  credo sia meglio affidare questo nome  all’oscurita’  del tempo in cui sorge,  anzichè costruire ipotesi campate in aria  in aria,   cercando invece con dati e notizie precise di seguire le vicende e determinare  quei fatti  fatti, che su essa terra si svolsero, ricavandoli  da inconfutabili documenti, che cerchero’  ora di esporre cronologicamente.

La prima notizia  di questa terra si trova nel testamento  di  Davide “ presbiter Sancte Veronensis Ecclesie”  dell’anno 

 

pag. 222 R.BRENZONI (2)

 

987:  “ Idest terra cum vineis super se habitis in loco uno iuris  proprietatis nostre predictis germanis, quam nos habere et possidere visi sumus, que  posita est in finibus veronensibus intransmonte (sic) locus ubi dicitur Batiorco”. . . ecc. (1).

A questo secolo X appartiene pure una  “carta da batiorco”, che trovasi in originale  nella Biblioteca Capitolare di Verona. Questa pergamena, in parte logora, non permette la lettura completa della data; lo stesso Canobbio, che la lesse nel secolo XVI, non riuscì a decifrarla e si limitò a datarla solamente col giorno e mese (…14 febbraio) (2). I dati paleografici ci persuadono a porla nel X secolo; inoltre la firma del notaio rogante l’atto  “Liutefredus” (chierico e notaio) perfettamente identica alle firme contenute in documenti  esistenti negli antichi Archivi Veronesi, con date del X sec., ov’egli si firmò quasi sempre chierico e notaio, ci persuade ancor più della verità della nostra asserzione (3).

Per l’etimologia del nome si tenga presente, che nelle carte appartenenti ai secoli posteriori al mille il nome  Batiorco assumeva  forma e declinazioni latine, e gli esempi non mancano specie nella Biblioteca Capitolare (4).

Da altri due documenti posteriori, dell’ undicesimo e dodicesimo secolo, veniamo a conoscere che eletta località Batiorco, in cui esisteva una contrada che portava lo stesso nome

 

Note di pagina 422

 

  (I) Docum. apparten. All’Arch. della Comp: del SS., in S. Libera e Siro (pubblic. dal Dionisi: “De duobus episc. Ald. et Not”, pag. 171) (tolto dalla Capitolare) oggi non figura negli elenchi (neppure in quello del Canobbio).

(2) Bibliot. Capito di Verona, rotulo N. 7, mazzo 2 AC. 38.

(3) Confr. perg. esist. negli Ant,  Arch. Ver.;  Osped. Civo (Anno 930)

rot. N. 15. S. M. in Org: (anno 938) rot. N. 24, app. S. M. in Org. (940) N. 9, S. M. in Org. (958), rot. N. 11, S. M. in O,  g. N. 35 (971) ecc. 

(4) Bibl. Cap. di Verona, BC. 39, M 5, N. 15 (22 genn. 1290), altro AC. 72, M. 3,  N. 7 (23 maggio 1258),  altro AC. 9, M. 2, N. 9 (17 luglio. 1380), altro: AC. 49, M. 5, N. 3 (23 nov. 1338), altro: A C. 48, M. 4, N. 15 (23 nov. 1338), altro: AC. 49, M. 5, N. 3 (19 genn. 1366, altro: BC. 32-3-13 (26 maggio l338), altro: BC. 38-14 (4 maggio 1332), altro: BC. 39, M. 4, N. 7 (22 genn. 1330), altro: AC. 36, M. 5, N. 11 (28 nov. 1343),

sono quasi tutte carte di locazioni, nelle quali vi è scritto quasi sempre: “in pertinenti a Verone in ora Batiorchii ”,  “ in sorte Batiorchi”.

 

(3) LA TERRA DI “BATIORCO”  ECC pag. 223

 

fuori di Porta Vescovo: “ 24 settembre 1023 – Sentenza tra Paulo e Florasino q. Drogo da una e Bonifacio da Cellore dall’ altra sopra una pezza di terra in Verona, fuori di Porta del Vescovo in Contrà di Batiorco” . (1),  “4 Ottobre 1153 – Uberto figlio  quondam Waldo de Capite pontis, diacono e canonico, professante legge romana riceve da Giovanni q. Uberto Fatiga il prezzo di una  pezza di terra arativa posta foris Porta Episcopi nel luogo uhi  dicitur  Butiorco” (2).

Sappiamo inoltre, che su parte di questa terra aveva un antico diritto di decima la Pieve di S. Giovanni in Valle, come risulta da una pergamena del 1219 (21 dicembre) ove è detto, che Augustino Arciprete della Chiesa di S. Giovanni in Valle, consenzienti gli altri fratelli di essa chiesa, dà in locazione perpetua a Fautino prete ed a Fautino chierico di S. Faustino per la loro chiesa la decima sopra alcune pezze di terra più sotto designate:  per una pezza di terra con viti che giace in monte di S. Giovanni in valle; per altra pezza di terra che giace in luogo uhi dicitur…. gella;  per altra pezza di terra in loco ubi dicitur batiorco; altra pezza di terra que iacet apud sortern que fuit illoorum de Moscardis; altra in loco ubi dicitur Paltena et loco qui dicitur Ronco; altra in Valpantena (3).

Ma una determinazione  ben più precisa abbiamo in una carta d’investitura del 18 gennaio 1243, da parte dell’ arciprete e chierici di S. Giovanni in Valle fatta a frate Adobello dell’ordine degli Agostiniani Eremitani allo scopo: “ edificandi Ecclesiam et locum ad  honorem Dei et Beati Angustini in fundo  sito extra Portam Episcopi  in loco  ubi  Battyorchus apud flumicellum, quì olim fuit presbiteri Viti;  de uno latere fluit idem flumicellum,  de alio lattere Via…. ecc.”; il Biancolini, che lo riporta, scrive nel testo: “Battiorco non lungi  dalla terra di Montorio (4).

 

Note di pagina  223

 

(1) A. A. Ver. Clero intrinseco (Repertorio Franc. Melegatti notaio (copia) ).

(2) A. A. Ver.,  S, Maria in Org., rotulo N. 87.

(3) A. A, Ver., S. Giov. in Valle, rotulo N. 13. 

(4) Biancolini, Le Chiese di Verona, Tomo II, pag. 502. La pergamena originale esiste tuttora presso l’Archivio parrocchiale di S. Giov. in Valle (Archivio Busta IX, fascicolo X).

 

Pag.  224 BRENZONI (4)

 

Da quanto abbiamo finora esposto, possiamo affermare, che questa località era fuori di Porta del Vescovo, fra il fiumicello e la strada (e non sappiamo ancora quale), e probabilmente ad una certa distanza dalla città, essendo riposta negli scritti in vicinanza della terra di Montorio; sappiamo inoltre dall’ ultimo documento in parte riportato, che su questa si dovette erigere un Monastero  ed una Chiesa pei frati Agostiniani.  E tali fabbriche sorsero veramente, come vedremo dai registri amministrativi della Pieve di S. Giovanni in Valle, nei quali si fa parola spesso di diritti di livelto “sopra una pezza di terra ove si dice batiorco, presso il fiumicello, sopra la quale sta; il Monisterio  degli, Agostiniani (1).

A maggiore determinazione riporterò alcuni tratti di  scritti raccolti in un volume appartenenti all’archivio del Monastero di  S. Salvar  Corte Regia, del 1725, in cui sono elencati documenti del XlII-XlV-XV sec.;  da questi si potrà sempre più persuadersi della verità dei dati sopra riferiti circa la località in parola:

  “Una pezza di terra in pertinenza di Verona in Contrà di S. Nazar extra (nella spianata), in sorte di  Battiorco ”  (da un doc. del 1475)  (2). 

“ Una pezza di terra arativa con viti… in pertinenza di Verona, in Contrà di Battiorco  (confini: da una la via comune, via Lavagnesca)”  (da doc. del 1432) (3).

“Una pezza di terra arativa in pertinenza di Verona, in Contrà di Battiorco, vicino alla Chiesa di S. Agostino” (da doc. del 1327) (4). .

“ Una pezza di terra arativa e casaliva,  fuori di Porta de Vescovo, vicino alla Chiesa  di S. Agostino (confini: da una la

 

Note di pag. 224

 

(1) Vedi ad es. il volume  appartenente all’ Arch. di S. Giov. in Valle, del 1764 – (Instruzione dei livelli, affitti ecc.) (copia del vol. citato in esso dell’ anno 1475).

(2) A. A. Vero Arch. di S. Salvar, Corte Regia (Monastero), vol. 1725, carta 448t.

(3) A. A. Ver. Arch. di S. Salvar, Corte Regia (Monastero), vol. 1725, carta 443.

(4) A. A. Ver. Arch. di S. Salvar, Corte Regia (Monastero), vol. 1725, carta 436.

 

5 LA TERRA DI  “BATIORCO”,    ECC pag. 225

 

via lavagnesca, dall’ altra il fiumicello ecc.)  (da doc. del 25 agosto 1297) (1).

“ Una pezza di terra  arativa fuori di Porta del Vescovo, vicino al Monastero e Chiesa di S.- Agostino, in Contrà di Battiorco (confini; da una la strada di Montorio, dall’ altra a mattina le dette monache, dall’ altra a mezzogiorno  la via di Battiorco)”  (da doc. dell’  11 nov. 1354) (2).

Faccio notare subito, che la via lavagnesca, della quale si fa parola in questi documenti,  corrisponde, secondo una vecchia descrizione stradale del XVI sec., alla odierna via  delle Banchette, che da Porta Vescovo, attraverso il borgo, conduce fino a Lavagno (3).

Da quanto siamo venuti fin qui dicendo, mi pare di poter senz’altro affermare, che la terra di Batiorco si trovava fuori di Porta Vescovo, in contrada di S. Nazar extra (si pensi che, questa parrocchia s’estendeva allora fino a S. Michele), nella spianata fra il fiumicello e la via lavagnesca, e che su di essa vi era il Monastero e la Chiesa degli Agostiniani, nonchè un gruppo di case, che prendevano il nome dalla località, stessa, separate le une dalle altre, forse, da una strada, che aveva pure quel nome.

Il nostro storico Veronese del sec. XVII, Lodovico Moscardo, ch’ebbe modo di vedere ai suoi tempi ancora, com’egli afferma, gli ultimi avanzi del vecchio Convento e della Chiesa, così si esprime:  “Quest’ anno (1262) li frati eremitani vennero, ad habitar in Verona a S. Eufemia li quali solevano star a Montorio dove havevano l’antica Chiesa e Monastero, dei quali ancora si vedono i fondamenti” (4).

 

Note della pagina 225

 

(I) A. A. Ver. Arch. di S. Salvar, Corte Regia (Monastero), vol. 1725, carta 435.

(2) A. A. Ver. Arch. di S. Salvar, Corte Regia (Monastero), vol. 1725, carta 437.

(3) A. A. Ver. Volume “Legitimatio campioni facta 1589”, carta 1, (Arch. del Com.). La via lavagnesca è descritta così: “ via che, partendo dalle ferrazze, viene, attraversando la spianata, fino alla città ove finisce “. È detto poi che era attraversata da tre ponti.

(4) L. Moscardo, Historia di Verona, pag. 195.

 

Pag. 226 R. BRENZONI (6)

 

“Le  monache hora dimoranti nel Monastero di S. Salvar Corte Reggia havevano il loro monastero e Chiesa chiamata di S. Agostino poco fuori dalla porta del Vescovo, tra la riva  del  fiumicello vicino al ponte, che lo travesa e fra la strada prossima al detto fiume, per la quale si va a Lavagno”. 

“Vedesi tutt’ hora in questo sito molte vestigia dei fondamenti con assaissime ruine di fabriche non solamente del detto Monastero, ma di  molte habitazioni contigue che ivi si trovavano” (1).

L’ esistenza tutt’ora di quel ponte in cotto, benché in parte rifatto, mi servì alla sicura identificazione della terra di Batiorco;  nome tramandato a noi non soltanto attraverso la storia, ma, per tradizione, nella viva voce di chi coltiva oggidì quel terreno.  E l’ubicazione d’oggi è perfettamente corrispondente ai confini dei secoli andati!   Così infatti viene determinato ora quel tratto di campagna compreso, ad un miglio dalla attuale porta del Ve scovo, fra la via delle Banchette, il fiumicello ed il piccolo ponte in cotto (2). .

Trovandosi questo luogo distante circa un miglio dalle mura di Verona e non  esistendo fino all’epoca Napoleonica il paese  di S. Michele, ed essendo d’altra parte vicino alla strada, che metteva in quel di Montorio, gli storici nostri, dal Moscardo al Dalla Corte, dal Perini al Sommacampagna, non esitarono a chiamare alle volte il Convento, di cui stiamo trattando, “Monastero di S. Agostino di Montorio”.

 

Storia del Monastero

 

Su questa terra di Batiorco la Pieve di S. Giovanni in Valle, come risulta dai suoi antichi registri, che ne fanno parola, esercitò un jus fino da remoti tempi.

Il  14 gennaio  1243 il  suo arciprete Guido ne investì Fra Donello, della Congregazione di Fra Canebono di Cesena, priore

 

 Note di pag. 226

 

(1) L. Moscardo.  Historia di Verona, pag. 387.

(2) Questo tratto di terra posto a poca distanza dalla Chiesa parrocchiale di S. Michele, piantato a gelsi, è segnato al foglio N. 14 (mappe catastali).

 

 

(7) LA TERRA DI  “BATIORCO”,    ECC pag. 227

 

degli Eremitani di S. Agostino, venuto con i suoi monaci in  quel dì nelle nostre contrade.

Scopo di questa investitura fu ch’essi potessero erigere sopra quel terreno una Chiesa ed un Convento, dedicati al loro Santo.

Venne loro pertanto accordata  “ l’ esenzione dalla decima e l’immunità  da qualunque canonica e civile esazione, salvochè dall’annua recognizione d’una libra d’ incenso, che pagar dovevano  in segno di soggezione alla Chiesa di S. Giovanni”  nella festa del loro Santo Titolare.

Così nello stesso anno 1243 si eseguirono le fabbriche e  “ quindi con ogni onorevolezza i Padri vi si annidarono ed ivi stettero con grand’ esempio” (1).

Ma tale dimora non doveva durare a lungo, poiché una Bolla di Alessandro stabiliva, nel 1256, che le  molte Congregazioni  degli Eremitani di S. Agostino si unissero formando unici monasteri: così avvenne anche in Verona e il Monastero di Batiorco divenne troppo ristretto per ospitar tanti monaci, sicché essi dovettero nel 1262  passar in quello di S. Eufemia, entro la Città.

Partiti dal luogo gli Eremitani e rimasto pertanto disabitato il Convento, di questo venne fatto acquisito  da una nobil Donna  “Duchessa di Bagnolo” che nel 1275 ne fece propria dimora ritirandosi a vivere claustralmente insieme a tre monache di nome Margherita, Catterina ed Antonia.

Subentrate così le monache agli eremitani, esse tentarono subito di liberarsi dagli oneri finanziari, che  gravavano sul  Convento e ne fa prova il carteggio svoltosi fra questo  e la  Pieve di S. Giovanni in Valle, che le suore non volevano più  riconoscere come donataria del fondo  “ sive terra di Battiorco” .  Troviamo così in atti del notaio Ottobon de Bonomo  un “ atto di prottestatione contro le dette suore ” per la rivendicazione del

 

Note di pagina  227

 

(1) Atti Bonaventura di Isnardo e  di Ultramarin Nodaro (trovasi copia in un Registro del Monastero di S. Salvar Corte Regia),  (Arch. 1725),  c. 481 (A. A. Ver.). Trovasi riportato  il docum. anche nel manoscr. del Perini (Bibl. Com. di Ver.). (Busta V, incarto Monast. S. Salvar  C. Regia). 

 

Pag.  228 R. BRENZONl (8)

 

diritto in base al documento di concessione del 1243 ai frati Agostiniani con la unita condizione del livello perpetuo.

Il Monastero divenne negli anni sempre più importante e numeroso e nel 1297  (all’ ultimo di ottobre) si unì a questo il Convento di S. Catterina in S. Maria delle Stelle (unione approvata con decreto di Bonincontro Vescovo di Verona in data 10 luglio 1297).

Il numero delle monache benedettine, che vennero in questa occasione ospitate nel nostro Convento, determinarono per così dire una prevalenza di quest’ordine sull’ altro;  e dalla fusione di questi elementi s’ebbe una vera e propria congregazione femminile d’ordine ed abito benedettino,  pur rimanendo al Monastero l’antico nome di S. Agostino.

Intanto Donna Duchesia da Bagnolo era divenuta mal ferma di salute anche per l’età avanzata e il 22 dicembre 1280 fece dono delle costruzioni tutte alle sue compagne, riservando a se l’usufrutto,  sua vita durante, di un orto con alcune stanze vicine alla Chiesa (1).

Questo  Monastero di S. Agostino in Batiorco fu regolato fino allora in forma di Abbadessato e chi volesse potrebbe costruire attraverso le carte, che ci sono giunte, la serie delle priore che si sono man mano succedute.

S’erano intanto maturati per Verona tempi gravidi di tristi avvenimenti e i disagi si ripercuotevano su tutto e su tutti: così  “ essendo gli affari di questo Monastero in gravissimo disordine, e quasi desolato, anche per i contagi, guerra, calamità sofferte dalla nostra Italia, il Vescovo Ermolao Barbaro pensò d’ intraprendere la  riforma di alcuni conventi;  furono pertanto in quell’ occasione levate dal Monastero di S. Spirito cinque monache con la loro stessa Abbadessa, suor Eufrosina, e passate in quello di Batiorco  (2).

 

Note di pagina 228

 

(1) A. A. Ver. Mon. di S. Salvar C. R. (Vol. Arch. 1725) c. 481, Perini (Manoscr. Bibl. Com.). Busta V,   (Mon. S. Salvar).  (Atti di Antonio Castagnaro, Nodaro (copia) ).

(2) A. A. Ver. Val. Monast. S. Salvar C. Regia. C. 482,  e A. A. Ver. Compendio della fondaz. ed esistenza del Monastero di S. Agost., poi S. Salvar C. R., c. 2.

 

(D) LA TERRA DI “BATIORCO”  ECC Pag. 229

 

Ma questo, per il luogo in cui sorgeva, era continuamente posto sotto sopra dalle soldatesche e milizie, che, nelle guerre e negli assedi alla città nostra, di esso facevano rifugio e meta preziosi: sicché le monache, stanche ormai dei lunghi disagi sofferti, chiedevano nel 1486 di poter riparare entro la città  (1).

La legittima loro domanda veniva accolta e approvata con bolla del Papa Innocenzo VIII,  che concedeva l’occupazione del Monastero di  “S. Salvar di Corte del Re “ (2).   Con lettera ducale del 17 febbraio 1487 tale unione dei due conventi veniva confermata e sanzionata dal Doge Augustino Barbadico (3).  Ottenuta così l’autorizzazione ad entrare in città, nel Monastero di S. Salvar, si diede subito opera alla ricostruzione, al restauro, all’ampliamento del fabbricato, che doveva servire per la nuova dimora.

Passate le suore di S. Agostino nella nuova sede, l’antico Convento di Batiorco rimase disabitato e la Chiesa abbandonata.

Se però i tempi antecedenti a questo passaggio non erano stati certamente lieti e tranquilli, avvicinandosi al principio del secolo XVI si preparavano per Verona tempi veramente nefasti; doveva essere questa avvolta ben presto in guerre ininterrotte ed in terribili epidemie.

Dopo la peste degli anni 1511-1512 ricominciò, più violenta che mai la guerra: s’ebbe nel 1516 l’assedio della città da parte dei Veneziani uniti ai Francesi; ma finalmente, in forza del trattato di Bruxelles, la Seren. Repubblica poté riavere Verona, dietro corrispettivo di molte migliaia di ducati.

Così fra indescrivibile entusiasmo la città nostra si diede ancora una volta al dominio della gloriosissima Repubblica Veneta!

Cessata pertanto la guerra, nel timore e per l’eventualità, che altre ne succedessero, il Seren. Dominio  s’accingeva poco dopo a crear nuovi  mezzi di difesa e nuove fortificazioni. Considerando che i borghi potevano servire come punti d’appoggio

 

Note di pagina 229

 

(l) Bibl. Com.  (Manoscr. del Perini),  (S. Salvar, C. R.,  alla data 1486).  Vedi anche docum. nel suaccenn. volume di S. Salvar (arch. 1725)  (A. A. Ver.).

(2) A. A. Ver. Compendio della fondazione ed esist. del Mon. Di S. Ag. (c. 3t e seg.).

(3) A. A. Ver. Com. Fiscale  (Ducali) c. 129 (ANNO 1487).

 

Pag. 230 R. BRENZONI (10)

 

per un esercito nemico, si deliberò, per le esigenze strategiche, l’ abbattimento dei borghi  stessi riccamente adorni, come scrive  lo storico contemporaneo Canobbio  “di divotisime Chiese, ornatissimi  palazzi, honoratissime case, et amenissimi giardini” (1).

In seguito a tale ordine  furono rase al suolo  in varie riprese tutte le case, Chiese, Monasteri, alberi od altro intorno alla Città per un raggio di un miglio, come ci consta dagli atti pubblici e dalle cronache contemporanee (2).

Il decreto fu emanato dal Serenissimo Principe nel 1517 e l’opera di demolizione per la “spianata” ebbe principio nel borgo di S. Giorgio, come afferma il continuatore delle cronache dello Zagata (3).  Nell’ anno successivo, 1518, venivano così demoliti il Monastero, la Chiesa di S. Agostino e le case adiacenti in parte possedute da quelle monache, non rimanendo a queste che il nudo fondo di Batiorco, su cui la Pieve di S. Giovanni conservava ancora il suo antico jus, come vedremo.

Ma se il Convento disabitato nulla più rendeva alle suore, le case adiacenti procuravano alla Congregazione un frutto annuo, pei fitti, di ducati ventotto; tale doveva quindi considerarsi il danno da questa subito per l’abbattimento di quei fabbricati;  e l’abbadessa rivolgeva perciò al Serenissimo Doge una domanda in proposito per ottenere una riparazione, un risarcimento, pel danno subito (4).

La bontà delle ragioni era tale, che il Serenissimo Principe Leonardo Loredano il 27 novembre 1518 in una lettera “ pro monialibus Sancti Augustini ” accordava loro “per l’abbattimento del Monastero con case (e terre) dalle quali le monache ricevevano a titolo di livello ducati 28 annui”, l’esenzione dalle tasse fino a ducati dieci e per sei anni l’esenzione dalla tassa delle  “ lanze” (5).  Rimase pertanto ad esse il solo terreno ingombro dei resti dei fabbricati distrutti, rovine ancor numerose ai tempi in cui scriveva lo storico  Moscardo, come dicemmo (fine XVII sec.).

 

Note di pagina  230

 

(l) Canobbio, Historia della gloriosa imagine della Madonna posta

in campagna di S. Michele, pag. 6.

(2) Il miglio veronese corrispondeva a circa 1800 metri.

(3) Zagata, Cron. di Ver. tomo II, pag. 196.

(4) Perini, Busta V (26), S. Salvar C. R., alla data 1518.

(5) A. A. Vero Camera Fiscale.  Ducali (1517-1530). C. 29-29 t.

 

(11)   LA TERRA DI  “DATIORCO”  ECC. Pag. 231

 

Una domanda, alle quale è doveroso rispondere, è questa: Il fondo di Batiorco rimase sempre proprietà del Monastero di S. Salvar di Corte Regia?  O fu in seguito venduto o ceduto?

A questa domanda rispondono nella forma più chiara e precisa i vari registri amministrativi della  Pieve di  S. Giovanni in Valle, dai quali si ricavano le annualità del livello  della libbra d’incenso ininterrottamente pagate a quella dal Monastero di S. Salvar di Corte Regia fino all’ epoca Napoleonica  (1).  Il diritto di livello, considerato sempre come un “jus in re”,  non poteva essere esercitato che verso il possessore del fondo;  così il possesso di quella terra dovette rimaner sempre del Monastero di S. Salvar.

A comprova di quanto si è detto e a maggiore schiarimento riporto parte del testo di una lettera del 30 ottobre 1846 diretta dall’ I. R. Intendenza Provinciale delle Finanze di Verona alla Fabbriceria di S. Giovanni in Valle, che vantava il diritto del livello della libbra d’incenso verso il Demanio subentrato nella proprietà del monastero di S. Salvar di Corte Regia, dopo l’espropriazione Napoleonica: “onde ottenere la contribuzione del canone di una libbra d’incenso ad essa in origine dovuta dal Conv. di S. Salvar…. sopra una pezza di terra detta Batiorco presso il fiumicello sulla quale fu eretto il  Monastero di S. Agostino….; la pezza di terra sopra indicata  non  appartiene  all’Intendenza”,   essendo passata a privati già da  lungo  tempo (2).

Così sembrami di aver esposto nelle sue linee generali la storia di quest’ eremo, ch’ebbe una vita di duecento e settantacinque anni, e che ospitò figlie di nobilissime ed importanti famiglie, delle quali sarebbe qui inutile far parola; basti dire, che

 

Note di pagina  231

 

(I) Annualità del livello si trovano nei seguenti registri esistenti  nell’Archivio parrocch. di S. Giov. in Valle:  vol. “Nomina antiqua et moderna affictualium ecc.”  Reg. B. (anno 1523), c. 139 t.  “Libro d’entrata di S. Zuane in Valle” (1554), c. 13 t. “Libro della Pieve di S. Giov. in Valle, cominc. l’anno 1583”,    carta 75 t. (vol. F.) (annualità dal 1584 al 1606).   “ Liber S. Johannis in Valle, 1535 e seg.”    C. c. 70 t, (annual. dal 1535 al 1545).  Reg. B, c. 81 (1575). Vol. T (1764), C. 91 ecc.  (Talvolta il livello è corrisposto in denaro: 1 libra incenso è valutata 20 soldi; altro volte vengono accumulate varie annualità).

(2) Arch. parrocchiale di S. Giov. in Valle. (Arch. Busta IX, fasc. X).

 

Pag. 232 R. BRENZONI (12)

 

oltre alla suaccennata Duchessa di Bagnolo anche una Scaligera  vi ebbe dimora “Donna Albuina figlia di Alberto della Scala, Signor di Verona”, creata abbadessa del Monastero nel 1385 (1).

 

Prima di abbandonare questo  studio, piacemi togliere un  errore, spesso ripetuto anche da valorosi nostri storici contemporanei, quale il Prof. Luigi Simeoni.

Parlando della trecentesca “immagine della Madonna di Campagna” così egli si esprime:

“…. Questa pittura che porta dei grafiti  del XV secolo si trovava su una Muraglia del Monastero di Batiorco”. (2). Vediamo ora come stiano le cose: Da tutte le cronache di Verona sappiamo, che effettivamente questo pezzo di muro su cui stava dipinta la Vergine col bambino e due Santi fu trasportata dove ove si trova da una località non bene determinata, in mezzo alla Campagna, e ciò  nel 1559.

Questo frammento di muraglia apparteneva a ruderi  di fabbricato abbattuto nella spianata del 1518, come risulta dagli scritti dell’ epoca.

Costantemente si rilevano da queste pagine  press’a poco le seguenti parole circa quella notizia: “pezzo di muro posseduto insieme con il terreno da Messer Cosimo e fratelli da Perarolo” (3).  TaIe modo di esprimersi comincia già di per sé  a creare dei dubbi circa l’appartenenza di quella muraglia all’Antico Monastero di S. Agostino;  sembrerebbe infatti logico, che i compilatori di quei documenti e di quelle storie avessero dovuto rammentare le origine di quel muro piuttosto che indicare il nome del possessore del fondo in quei giorni.

 

Note di pagina  232

 

(1) A. A. Ver. Comp. della fondaz. ed esist. ecc., c. 2.

(2) L. Simeoni, Guida di Verona. pag. 358.

(3) A. A. Vero Arch. del Com. Vol. N. 49 (Madonna Campagna): (Jura et instrumenta Ecclesie Beat. Virg. Marie ecc.), c. 1. (Parlando del muro dipinto lo si dice: “Illorum a Perarolo”).

Aless. Canobbio nella sua “Historia della Glor. lmag. della Madonna posta in Campagna di S. Miehele (1587) dice: pezzo di muro posseduto insieme il terreno da Messer Cosimo e frat. da Perarolo, quivi restato dalle ruine”.   Il Dalla Corte nello stesso secolo XVI scrive a pag. 747  del II tomo: “ pezzo di muro fuori di Porta Vescovo posto al quanto fuori dalla strada maestra”.

 

(13)   LA TERRA Di  “DATIORCO”  ECC. Pag. 233

 

Vari argomenti poi, mi dissuasero subito della verità dell’ asserzione del Simeoni e di altri;  come spiegare l’appartenenza del fondo di Batiorco, su cui stava il monastero, a certi “Da  Perarolo” se in quegli anni (sec. XVI) e dopo, fino all’ epoca Napoleonica il Monastero di  S. Salvar pagò sempre il canone di livello alla Pieve di  S. Giovanni, quale possessore della terra suddetta?   Ma non basta: si tenga presente, che nell’ archivio di S. Salvar (A. A. Ver.) esistono molti registri anche del sec. XVI, dai quali si conoscono tutti i contratti, locazioni ecc. fatte dal Convento; e mai s’incontra il nome dei “Perarolo”.   La carta ultima da me trovata (della I. R. Intendenza), di cui ho già fatto parola; decide la questione, facendoci noto che solo nel 1813 il fondo era venduto a privati.  La mia tesi avrebbe trovato sostegno anche nel brano dello storico nostro L. Moscardo, che così chiaramente e dettagliatamente segna questa notizia:

“Nella spianata dei borghi, che fu fatta intorno alla  Città era rimasta un  pezzo di muraglia fuori della Porta del Vescovo, sopra di una strada vicinale, poco discosta dal fiumicello e dal sito ove la Chiesa e Convento di S. Agostino…., situata in un terreno all’ hora posseduto da Cosimo dal Perarollo”- (I).   Possiamo pertanto affermare, che il pezzo di muro affrescato, pur essendo nelle vicinanze del Monastero, non vi appartenne.

Così sembrami dimostrato sufficientemente l’errore, in cui sono incorsi vari nostri  scrittori di storia veronese.

 

Note di pagina  233

 

(1) Moscardo, Ristoria di Verona. Tomo II, pag. 419.

 

 

Licenziate  le bozze per la  stampa il giorno 14 febbraio  1925)