Feb 20 2009

Verona: Chiesa dei Santi Apostoli, allargate le crepe

Sarebbero peggiorati i danni ai muri del sacello

Technital smentisce la ditta titolare del parcheggio

 

L’antico sacello trema, e la dimensione delle crepe lo dimostra ben oltre il metodo dei vetrini: parola della ditta Technital, che per voce del suo amministratore Massimo Raccosta rilancia l’allarme sulla gravità delle condizioni della chiesa dei Santi Apostoli.

All’indomani del primo «verdetto» espresso dall’azienda Mantovani, che sta eseguendo i lavori per il parcheggio sotterraneo, e che solo l’altro giorno ha affermato che da un primo esame dei vetrini posizionati lungo le crepe sarebbe da escludere che le fessure notate dal parroco sulle pareti del sacello delle Sante Teuteria e Tosca siano legate ai movimenti di assestamento del terreno seguiti allo scavo per il parcheggio, arriva una prima smentita: le crepe sono aumentate, e le immagini lo dimostrano.

«Possiamo confrontare due immagini molto indicative», spiega Raccosta. «La prima è stata scattata il 22 dicembre 2008, la seconda il 29 gennaio 2009: si vede chiaramente che la fessura nell’arcata sovrastante l’altare si è ampliata. Con questo non vogliamo dire che la responsabilità sia dell’azienda Mantovani e dei lavori che sta eseguendo. Ora bisogna, prima di tutto, evidenziare il pericolo e porvi tempestivo rimedio, e don Ezio ha scritto già al Comune, al vescovo, alla Sovrintendenza e all’azienda Mantovani stessa per dare notizia del problema. A noi pare che non sia il momento per uno scarico di responsabilità, per un rimbalzo di accuse. Allo stato attuale del rilevamento, come non è possibile affermare con certezza che l’ampliamento delle crepe è dovuto ai lavori del parcheggio, così non si può dire che le crepe abbiano origine indipendente dai lavori, come hanno affermato i titolari della Mantovani».

Quanto alla tecnica di rilevamento coi vetrini effettuata dallo studio Campagnola, Raccosta spiega: «In un primo tempo erano stati posti vetrini troppo grossolani per rilevare mutamenti così piccoli, per cui sono stati sostituiti. Quelli nuovi sono stati posizionati a inizio febbraio e possono rilevare variazioni millimetriche. Per questo, nonostante il reale ampliamento della crepa, non c’è stata rilevazione coi vetrini, che solo ora sono del tipo adatto per l’indagine».A.G.

 

Fonte: L’Arena di Verona di giovedì 19 Febbraio 2009, cronaca, pagina 15


Feb 20 2009

Il decalogo del perfetto mafioso

Category: Regno delle Due Sicilie,Società e politicagiorgio @ 08:49

 

I precetti mafiosi secondo Lo Piccolo

Dalla fedeltà all’obbedienza al boss, dalla moderazione nei costumi ad una rigorosa morale sessuale. Ecco il decalogo del “perfetto mafioso”.

Primo comandamento: “Non ci si puo’ presentare da soli ad un altro amico nostro, se non è un terzo a farlo”. 



Secondo comandamento: “Non si guardano mogli di amici nostri”. 



Terzo comandamento: “Non si fanno comparati con gli sbirri”. 



Quarto comandamento: “Non si frequentano né taverne e né circoli”. 



Quinto comandamento: “Si è il dovere in qualsiasi momento di essere disponibile a cosa nostra. Anche se ce (testuale ndr) la moglie che sta per partorire”. 



Sesto comandamento: “Si rispettano in maniera categorica gli appuntamenti”. 



Settimo comandamento: “Si ci deve portare rispetto alla moglie”. 



Ottavo comandamento: “Quando si è chiamati a sapere qualcosa si dovrà dire la verità”. 



Nono comandamento: “Non ci si puo’ appropriare di soldi che sono di altri e di altre famiglie”.

Decimo comandamento: è il piu’ articolato e fornisce indicazioni precise sulle affiliazioni, ovvero su “chi non puo’ entrare a far parte di cosa nostra”. L’organizzazione pone un veto su “chi ha un parente stretto nelle varie forze dell’ordine”, su “chi ha tradimenti sentimentali in famiglia”, e infine su “chi ha un comportamento pessimo e che non tiene ai valori morali”.

 

 

Fonte: TGCOM


Feb 20 2009

Quando i normanni conquistarono la Sicilia arrivarono i milanesi

Category: Regno delle Due Siciliegiorgio @ 00:42

 

I fratelli Altavilla sbarcano in Sicilia, chiamati dall’emiro di Catania, impegnato in una sanguinosa guerra con il califfo di Girgenti. 

L’aiuto all’emiro di Catania è solo un pretesto per iniziare la conquista della Sicilia ed essere, nel contempo, considerati i “liberatori” delle residue popolazioni cristiane ancora presenti nell’isola dopo, due secoli e mezzo di dominio musulmano. 

Nel febbraio del 1061, Ruggero organizza uno sbarco a Messina con poco più di un migliaio di soldati. 

Messina cade senza opporre resistenza, per cui i Normanni arrivano facilmente fino a Castrogiovanni e Girgenti. 

Nella primavera del 1062, Ruggero, con truppe fresche, torna in Sicilia con l’intento di occupare l’intera isola.

Un feroce scontro avviene a Cerami, a ovest di Troina. 

Il cronista Goffredo Malaterra riporta che le forze normanne erano esigue. 

Ma Ruggero riesce egualmente a mettere in fuga i nemici. 

I Normanni controllano ormai una vasta zona, da Messina a Troina, dove Ruggero pone la sua capitale isolana e, nonostante i rinforzi saraceni  arrivati dall’Africa, con una serie di impegnative battaglie che vedono cadere una ad una le più importanti città, nell’agosto del 1071 giunge alle porte di Palermo.

L’assedio dura fino al gennaio del 1072, quando Ruggero, con l’aiuto del Guiscardo, riesce a penetrare nella città fortificata e Palermo cade. 

Una messa solenne  di ringraziamento viene celebrata nell’antico Duomo, che per 240 anni era stato una moschea. 

A poco a poco cadono anche Castrogiovanni, Butera ed infine, nel 1091, Noto. 

Occorreranno trenta anni, a Ruggero, per conquistare l’intera Sicilia e le isole di Malta e Pantelleria, il cui possesso renderà sicuri i traffici nel canale di Sicilia e consentirà di avviare scambi commerciali con i paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

Con Ruggero, mentre la maggior parte dell’Europa è ancora feudale, si gettano nel Meridione d’Italia le basi di uno Stato moderno. 

Il re non governa più tramite i suoi potenti feudatari, ma tramite i suoi funzionari (burocrati dello Stato e non i potenti signorotti). 

Diversamente dal resto d’Europa, che diventa sempre più intollerante, egli è tollerante con i costumi e le tradizioni greche, latine ed arabe che in quel periodo coesistono nel Meridione, lasciando le proprietà e la libertà di culto.

La conquista normanna trova  un’agricoltura che praticamente non esisteva piu’ e  non  piu’ un grado di  fronteggiare le   esigenze alimentari  della popolazione. 

La Sicilia difatti era un luogo dove venivano a vivere, gli ultimi anni della loro vita i pensionati piu’ eccellenti del mondo islamico di allora, e l’industria piu’ fiorente in Sicilia era diventata quella delle lapidi mortuarie in marmo che venivano imbarcate verso Bagdad con i feretri di questi vecchi quando morivano, incredibile ma vero! 

Nella Sicilia (Scalìa in arabo), che era stata il “granaio Di Roma e del mondo antico”, non si coltivava piu’ ne’ il grano ne’ la vite, ma vi erano stati impiantati distese di boschi di querce da sughero e altri ameni parchi. 

Gli Altavilla percio’ per riportare  in Sicilia un tipo di agricoltura “cristiana” pensarono allora agli agricoltori piu’ avanzati dell’epoca, che erano i longobardi, e ne incentivarono l’immigrazione. 

Di Logobardi ne arrivarono in grande quantità, e numerosi sono ancora ora i siciliani di origine longobarda, tanto è vero che  la Sicilia e’ il posto al mondo dove c’e’ piu’ sangue longobardo, dopo la Lombardia: basta prendere un elenco telefonico di una qualsiasi citta’ siciliana e cercarci: Lombardo. 

Ma ci sono pure i Milana e tanti altri.

Il  ripopolamento,  specialmente con cristiani dal continente europeo, fu promosso e intensificato  da Ruggero I. 

Le zone occidentali della Sicilia furono colonizzate da immigrati della Campania. 

Le zone orientali-centrali della Sicilia furono ripopolate invece da coloni della Padania che importarono la propria lingua gallo-italica. 

Dopo la morte di Ruggero I,  e sotto la reggenza di Adelaide (lei stessa proveniente dall’Italia del nord),  durante la tenera età di suo figlio, Ruggero II, il processo di colonizzazione lombarda raggiunse la massima  intensificazione.


Feb 20 2009

Vedi, anzi, “Vivi Napoli” e poi muri – Anatomia dei napoletani

Category: Monade satira e rattatuje,Regno delle Due Siciliegiorgio @ 00:11

Divertente   e ironico post trovato su internet, lo dedico alla napoletanità di mia suocera

 

In questo racconto parler di tutte quelle manifestazioni della napoletanità che qualsiasi persona, che decidesse di trascorrere qualche giorno nel paese di una delle più antiche maschere italiane, potrebbe autonomamente constatare.

Per comprendere la napoletanità è necessario capire l’indole del napoletano, ci che lo muove, qual è il suo approccio alla realtà contingente. Va subito premesso che un napoletano non ha, generalmente, un approccio civico nel suo vivere quotidiano. Con questo, s’intende alludere a quello atteggiamento che fa sentire un individuo parte integrante di una comunità e che, se anche non concorre al benessere morale ed economico di tale comunità, perlomeno garantisce un certo e non disprezzabile livello di civile convivenza. Egli invece mostra una spiccata predisposizione ad una forma particolare d’immobilità, cosiddetta dinamica, ed essere mosso da tale stato solo da eventi strettamente contingenti. L’immobilità dinamica può essere spiegata ricorrendo ad un detto tipico partenopeo che sintetizza in maniera impeccabile tale  concetto: facimme a muina (lett. Facciamo la moina). Tale detto dagli studiosi viene fatto risalire ad un comando utilizzato nella règia marina del Regno delle Due Sicilie nel corso d’ispezioni a bordo di navi.

Al comando “facimme a muina” tutti i marinai si mettevano in moto spostandosi da una parte allaltra della nave (chille che stanno ingoppa vanne abbascio, e chille che stanno abbascio vanne ingoppa), non facendo effettivamente nulla, ma dando allesterno una impressione di frenetica ed organizzata attività.

E dare l’impressione di frenetica ed organizzata attività è parte della personalità del napoletano. Ma si badi bene che egli ricorre a tale espediente solo se sollecitato da un evento esterno di controllo. Altrimenti la sua attività è propriamente una siesta perenne.

Il primo evento esterno giornaliero che turba la sua tranquillità è il datore di lavoro, per cui egli è costretto a raggiungere ed occupare il posto di lavoro. Tale adempimento motorio causa un tale stress al napoletano, che non gli consente di iniziare la sua normale attività lavorativa senza prima aver sorseggiato il primo di una lunga serie di caffé ed aver letto con particolare cura il quotidiano locale, a cui si ispira il titolo di tale racconto. L’attività produttiva perlopiù coincide con l’aver raggiunto il posto di lavoro. Forse perché per raggiungere il posto di lavoro egli è costretto ad affrontare, come un torero fa col toro, il traffico cittadino. Ed è con una nota di merito che va detto che in tale tragitto semafori, sensi unici, diritti di precedenza, marciapiedi, pedoni sono solo fastidiosi ostacoli da superare in qualsiasi modo e ricorrendo ad ogni genere di astuzia.

Il semaforo per esempio per il napoletano non rappresenta un mezzo che disciplina la civile convivenza automobilistica. Di fatto rappresenta un abbellimento luminoso e deve essere considerato come un affronto alla propria autonomia motoria. Il semaforo rosso significa via libera, mentre il semaforo verde paradossalmente genera più prudenza.

Riguardo ai sensi unici, l’unico senso unico che esiste qui è quello in cui procede l’autovettura. Il diritto di precedenza poi, non è dovuto ma va conquistato sul campo. Più che altro esiste il dovere di prendersi la precedenza. I pedoni vengono visti come ostacoli da scansare e, a tal proposito, è utile raccomandare che se non si è in ottima forma ginnico-atletica è consigliabile non avventurarsi a piedi nel traffico cittadino. Il pedone infatti, è costretto a vere e proprie acrobazie per superare gli ostacoli più impensabili e per scansare i veicoli. Per par condicio va assicurato che il napoletano a piedi non si discosta molto da quello alla guida: anche per lui non esistono semafori, strisce pedonali, marciapiedi.

La presenza di vigili urbani non attenua in alcun modo la foga degli automobilisti, anzi essi sfruttano questa presenza per compiere i più scorretti atti di prevaricazione del diritto acquisito da altri. Così se ad un incrocio vi è una coda di auto ferma, perché un vigile sta tentando di disciplinare l’alternanza del flusso, immediatamente vi sarà il furbo di turno che, sorpassando la fila, andrà ad occupare la prima posizione.

Tale situazione è abbastanza comune da queste parti, tanto da poter essere considerata una attrattiva turistica. Essa per non spinge il tutore della legge ad intervenire con una salatissima contravvenzione, che, oltre al danno economico, procurerebbe una perdita di tempo, costituendo così un sicuro ed ottimo deterrente per la perenne sterile fretta del napoletano. Il tutore della legge, partenopeo anch’esso, permette all’automobilista scorretto di passare per primo pur di non bloccare il restante flusso di auto. E questo alla bella faccia degli altri. Ci che è più sbalorditivo è che in ogni caso tale situazione non provoca nessuna reazione indignata nei presenti. Evidentemente essi sono consapevoli che la ruota gira ed in futuro saranno loro a beneficiare della magnanimità del vigile.

Un’altra attività in cui si riscontra la prepotenza partenopea, è nella consuetudine locale di fare la spesa. Quando un napoletano fa acquisti s’immerge in un gioco tipo Risiko, in cui il suo obiettivo è Raggiungere il bancone prima di tutti gli altri avversari. Per far ci spinge e si intrufola come se fosse la cosa più normale di questo mondo. Il grado di strafottenza che viene raggiunto in queste situazioni, è talmente insopportabile che può addirittura far abbandonare il campo a chi non riesce a competere.

Per comprendere le ragioni di tale comportamento, va per detto ad onor del vero che il povero napoletano, sin dalla più tenera età, riceve un’educazione pedagogica che predilige le capacità inventive e di adattamento più complicate e pittoresche, piuttosto che il sano rispetto delle regole. Tali leggi e regole appaiono monotone e frustranti al cospetto del temperamento da cow-boy del napoletano. Egli è educato a cavarsela in qualsiasi situazione agendo in modo più furbo degli altri,. Anche qui esiste una parola giusta che esprime tale capacità: azzimma.

Tale vocabolo sta ad indicare quella furbizia applicata con destrezza e malizia in tutte le situazioni. Tale qualità, invece che avere valenza negativa, da queste parti riscuote invece una tale approvazione che sconfina nell’ammirazione se non nell’invidia da parte dei soggetti meno dotati.

Una delle applicazioni della azzimma è l’inventiva tipica del napoletano: il lavoro, per esempio, quanto non lo si trova ce lo si inventa. Così il parcheggio, se non c’è, lo si inventa, ad esempio parcheggiando al centro della carreggiata.

La continua esigenza del napoletano di esaltare le proprie capacità inventive va naturalmente oltre il mezzo automobilistico ed è attuato nelle forme e nelle situazioni più svariate. Un altro ambiente che fa da sfondo a tali rappresentazioni, talvolta davvero teatrali, è costituito dai mezzi di trasporto pubblico.

Il napoletano usufruisce di autobus e tram liberamente, ma non digerisce quell’inconveniente costituito dall’obbligo di convalida del biglietto. Salire su un tram e vidimare il biglietto, effettivamente genera quel tintinnio da parte della macchinetta, che probabilmente suona alle sue orecchie come una sveglia alla regolarità e questo deve dargli molto fastidio. Il singolo biglietto tranviario in gergo qui è detto abbonamento perché ne basta portare solo uno con sé da custodire in tasca. All’eventuale controllore viene mostrato così com’è, senza vidimazione, come fosse un abbonamento.

Anche in questa situazione si pu ammirare un atteggiamento tipico da parte del controllore. Anziché applicare immediatamente il regolamento ed affibbiare la multa, egli cerca innanzitutto di comprendere le ragioni che non hanno permesso al viaggiatore di vidimare il biglietto. E qui la fantasia si può scatenare: c’è chi mostra lastre mediche accampando che ha la mamma in ospedale (ma non si capisce il nesso con il pagamento del biglietto), c’è chi dice candidamente che ha dimenticato di farlo, ed i più facinorosi arrivano anche a mettere in discussione l’autorità stessa del controllore (mo solo perchè ti si mise o cappiello in capo te cride o patetierno trad. : Ora solo perché hai una divisa ti credi un padreterno). Se l’evasore di turno riesce a tirarla per le lunghe fino alla sua fermata, riesce a farla franca, perché è fatto scendere proprio dove deve arrivare; altrimenti deve accontentarsi di scendere prima. Poco male perché con la stessa faccia tosta di prima è pronto a salire sul mezzo pubblico successivo e ripetere la sceneggiata.

Quello che di solito accade su un autobus introduce ad un’altra particolarità: i napoletani amano coinvolgere chiunque si trovi nei paraggi in quelli che sono anche i più personali dei problemi. Un problema è immediatamente comunicato e fatto condividere alla comunità circostante e questo solo ad fine di mostrare e dipingere la propria sfortuna. Dipingere è la parola da adoperare in questo caso in quanto essi sono artisti nell’affrescare scene di martirio in cui essi stessi sono sempre immancabili protagonisti.

Il napoletano si sente costantemente martire, vessato da tutti e quindi in diritto di reagire con qualsiasi mezzo a tali soprusi. Probabilmente dimentica che, in realtà, è martire solo di se stesso.

Uno dei mestieri più ambiti dal napoletano, è quello del vigile *****. Questo sia perché gli conferisce autorità sul flusso automobilistico, ma soprattutto perché gli permette di lavorare solo poche ore al giorno (quando accade). Il vigile ***** napoletano è un soggetto molto schivo che il turista può vedere solo al mattino, tra le otto e le nove, se s’avvicina a qualche crocevia molto trafficato. Lo si distingue non dalla divisa, che porta molto di rado e malvolentieri, ma dal fatto che ha in mano un block-notes ed una penna, e che tenta di disciplinare il traffico gesticolando e facendo uso del fischietto d’ordinanza. Si parlava della divisa: il vigile ***** non la indossa quasi mai. La spiegazione ad un tale atteggiamento non va ricercate né nella povertà dei sovvenzionamenti comunali, né a più elementari problemi igienici di lavanderia. Dopo numerose e attente osservazioni l’arcano è stato svelato. Tutti i misteri più intriganti e curiosi hanno sempre una spiegazione semplice. Poiché si è detto che un vigile ***** napoletano si distingue dal fatto che è ha un block-notes, una penna, un fischietto e si trova ad un crocevia, di conseguenza allorché vengono meno tali condizioni e cioè che block-notes, penna e fischietto finiscano in tasca ed il suddetto individuo sul marciapiede, ecco trasformato istantaneamente un vigile in un normale cittadino a spasso! In tal modo l’esemplare di vigile napoletano non è più riconoscibile, se non dai suoi consimili, per anch’essi in borghese, e più finalmente dedicarsi a più interessanti e redditizie attività.

In ogni modo ad onor del vero, in altre parole, della congenita strafottenza del napoletano, va assicurato che anche se in divisa è perfettamente capace d’imboscarsi in qualsiasi bar o di dedicarsi alle personali incombenze. La mancanza di divisa per gli consente una maggiore capacità di movimento e soprattutto d’evitare le scocciature che derivano dall’indossarla, qualora un concittadino o un turista avesse bisogno del suo intervento.

La donna napoletana, instancabile generatrice e perpetuatrice della civiltà partenopea, rappresenta un formidabile esempio d’emancipazione femminile. Essa è facilmente distinguibile da alcune caratteristiche che costituiscono quasi un denominatore comune per la fascia tra i tredici ed i quaranta anni. La donna napoletana ama truccarsi con abbondantissimo rossetto trasbordante, colore alla moda, attualmente preferibilmente rosso scuro. Ha una mascella che rumina incessantemente un inesauribile chewing-gum, e tra le dita stringe una sigaretta accesa. I tre elementi citati, in tutte le culture occidentali, hanno rappresentato e sono stati abusati dalle donne come simbolo d’emancipazione femminile. Oramai per si può constatare il loro declino o, in ogni caso, che sono usati per la funzione che gli è propria e non più come status symbol. Da queste parti invece sono ancora attuali. Un’altra caratteristica dell’emancipazione femminile è la rozzaggine sia linguistica sia di comportamenti che le donne napoletane esibiscono nel vivere quotidiano che davvero fanno concorrenza ai modi dei corrispettivi uomini partenopei.

Utili esempi sono già stati in precedenza descritti a proposito di mezzi pubblici e di supermercati, ma ne esistono degli altri altrettanto spettacolari. Per esempio, il citofono (a proposito da queste parti è protetto da una griglia di ferro contro le altrimenti inevitabili vandalicherìe) è uno strumento inutilizzato. Ci che normalmente è usato dalle donne napoletane è il citofono viva voce: per comunicare all’esterno si usa la finestra o il balcone, da cui si urla per chiamare un figlio, per parlare con un conoscente, per comunicare con passante, per colloquiare con le coinquiline.

Il gergo utilizzato dalle donne napoletane, come detto non da meno di quello degli uomini, è costellato di volgari intercalari e fa rabbrividire ed arrossire chi è uso ad un vocabolario di stampo più classico. Si potrebbe obiettare che forse sono solo le classi meno acculturate ad utilizzarlo, e di questo parere era anche chi scrive, ma esperienze dirette hanno dimostrato il contrario. Signore ben vestite ed all’apparenza raffinate, che accidentalmente si urtano, anziché porgersi le reciproche scuse, vengono facilmente alle parole grosse sviluppando una sequela singolare di contumelie e maledizioni, che partendo dagli avi più lontani ripercorrono tutte le generazioni fino alle presenti ed alle possibili future, con ampi riferimenti ad attività peripatetiche svolte dalla rivale e conseguente titolo onorifico del di lei marito, fino a concludersi con un perentorio invito a recarsi in un posto, facilmente intuibile, che da queste parti deve essere affollatissimo, non tanto per le persone che ci sono, quanto per quelle che ci mandano.

Un’altra regola della sana convivenza cui il napoletano non è avvezzo, è quella dell’utilizzo del cestino e del cassonetto per i rifiuti. Così mozziconi di sigarette, relativi pacchetti vuoti, fazzoletti di carta, buste e cartacce d’ogni genere, non vedono migliore sorte che finire in terra. I cassonetti, tutti inesorabilmente scoperchiati, sono utilizzati a mo’ di bersagli. Con questo voglio riferirmi ad un’altra usanza locale consistente nella pratica di gettare l’immondizia domestica dal balcone. Non sempre per la mira è felice con conseguenze facilmente immaginabili per l’igiene della zona. Per il turista non è facile assistere ad una tale esibizione, dato che solitamente è praticata a tarda sera.

A fronte di tanta poca pulizia cittadina si potrebbe pensare ad un numero insufficiente di operatori ecologici. Ebbene, questa città ha il numero più elevato di spazzini! Ovviamente è inutile ricordare che il lavoro non è svolto quotidianamente, ma quando fa più comodo. Quando vi è nell’aria un’ispezione, si può assistere ad uno spettacolo unico. Per le vie cittadine decine di operatori ecologici, tutti ovviamente senza tuta da lavoro (per le stesse ragioni dei vigili urbani), si dividono ogni singola strada. Ciascuno si occupa di scopare una striscia di marciapiede. L’attrezzatura di lavoro non è quella cui siamo abituati: carretto con bidone, paletta e scopa. Molto più spartanamente consiste di scopa, un cartoncino per raccogliere i rifiuti ed uno scatolone per contenerli. Una volta pieno, lo spazzino napoletano svuota il suddetto scatolone nel primo cassonetto che trova nei paraggi. In una giornata ventosa, dopo qualche minuto, tutto ci che ha raccolto è nuovamente disperso nei paraggi. Ma questo deve importargli poco. L’essenziale non è il risultato, ma svolgere la mansione.

Un’altro mestiere che da queste parti fa campare moltissima gente è quello del cantante. Il cantante partenopeo ha un look estremamente pittoresco: capelli ingelatati abbondantemente, camicia aperta sul petto (preferibilmente villoso) su cui spicca una vistosa collanona, pantaloni in pelle, anelli tipo C****ttiera.

Il cantante napoletano ama esibirsi dappertutto ma soprattutto scorazza nelle numerose TV locali dove è possibile seguirlo in modalità non-stop 24 ore al giorno. Ritengo che qualsiasi persona dotata di un minimo di intonazione possa intraprendere proficuamente la carriera di cantante napoletano purché per segua tre semplici regole: innanzitutto, cantando, occorre assumere un atteggiamento quasi estatico; quindi fare assumere alla voce quella tipica melodia nasale qui detta a fronne e limone (trad. a rami di limone, ma non chiedetemi perché dicono così); infine, occorre che l’argomento della canzone sia trappa-lacrime e tratto dal di qui vivere quotidiano. Eccellenti soggetti sono: figlio/padre/fratello che va in carcere; figlio e/o figlia che scappa via di casa; fidanzata/moglie che ha messo le corna al titolare della canzone; e chi più ne ha più ne metta. Una canzone napoletana pu essere definita una sceneggiata napoletana sintetizzata e messa in musica. La sceneggiata napoletana non è altro che la rappresentazione della realtà quotidiana dei bassi strati sociali del luogo, in cui essi trovano in essa conforto e riscontro mitizzato. Ne consegue che il napoletano, abituato a rispecchiarsi nelle canzoni che ascolta, finisce per convincersi della sua eroicità quotidiana, di quanto sia vessato dallo stato, dagli altri… Ma questo è un argomento già trattato.

Da quanto detto appare evidente il significato del detto vedi Napoli,  e poi muori: ovvero più in basso di così non si può andare !

Fonte: N.R.