Mag 04 2019

“GUARITORI E JUSTA O TIRA OSSI” NELLA LESSINIA DEL PASSATO –

 

Le malattie hanno sempre rappresentato per l’uomo un fatto di estrema crisi e soprattutto riproposto problematiche di ordine sociale, individuale, filosofico e religioso. Le malattie mutano, anche profondamente, la quotidianità della vita, il modo di viverla e di rapportarci con gli altri e divengono fonte di insicurezza e pongono spesso l’individuo che ne è colpito nell’afflizione della disperata ricerca della cura e in una diversa ottica di percepire il significato delle cose.

 

Al giorno d’oggi, sebbene molti mali che affliggono l’umanità sono ancora incurabili, i progressi della medicina e della chirurgia sono stati enormi e le probabilità “de salvarse la menega” sono ben più elevate rispetto al passato, ove si dovevano non solo fare i conti con una medicina e pratiche mediche ben più rudimentali e grossolane, ma soprattutto con una povertà dilagante che permetteva solo a pochi di potersi curare. Si ricorreva quindi a metodi tradizionali e naturali, soprattutto quelli fitoterapici, a salassi, polverine, “tira o jùsta ossi”, “praticoni” e guaritori con la speranza della salute.

 

Giulia Castagna, la famosa “justa ossi” e levatrice della Lessinia. Nel libro ” Vita e tradizione in Lessinia” di Ezio Bonomi è contenuta una intervista della sig.ra Castagna sulla “comarona de Velo” (Pulcheria Caprara) –

 

Ai primi sentori di un qualcosa che non andava si ricorreva subito a qualche riparo perchè “l’è mejo prevenìr che curàr”. In ambito familiare erano soprattutto le madri o comunque le donne di casa ad accorgersi che qualche membro della famiglia “el ghea carcossa che no và“; il pallore o l’eccessiva colorazione fornivano il segnale visivo di un malessere e subito si provava a verificare se vi era la “fear” (febbre). In passato i termometri erano una vera rarità e per misurare la febbre si appoggiavano le labbra sulla fronte dell’ammalato per poterne percepire la temperatura; si guardavano attentamente i “sudorini freddi”. Il pallore, il rossore, le mani fredde e sudate, “i calamàri” (le occhiaie), l’assenza di sonno, la spossatezza, gli occhi lucidi, arrossati, la lingua gonfia o bianca erano i primi segnali di un malanno. L’iniziale rimedio consisteva in un buon sonno ristoratore, dando magari prima di andare a letto una scodella di brodo caldo di gallina o un buon bicchiere di latte caldo con un po’ di miele e grappa “parchè se suda fora el màl“.

Con il perdurare del malessere il primo consulto avveniva in famiglia, rivolgendosi soprattutto ai “pì veci” perchè di maggiore esperienza di vita e soprattutto “parchè avendo vivesto de pì i pol èrne ìste de pì e saerla pì longa“.

Nel caso di febbre alta si ricorreva alle “strasse bagnè in tel acoa freda” ed avvolte alle caviglie, ai pulsi e sulla fronte per cercare di abbassare la temperatura. Qualora questi rimedi non fossero in grado di sortire alcun effetto si ricorreva al “spesiàl” (farmacista) che presso la “fermacia” (farmacia) avrebbe sicuramente preparato qualche polverina per alleviare i malanni.

Dal medico invece ci si recava assai raramente, solo quando si aveva provato di tutto senza ottenere alcun risultato soddisfacente e questo perchè in passato, soprattutto in un mondo contadino e montanaro come quello lessinico “de schèi ghe n’era gran pochi” ed il medico doveva essere pagato per le sue prestazioni. Infatti quando nella disperazione si ricorreva all’intervento del medico insorgevano spesso problemi per la retribuzione, poichè se non si rientrava nell’apposita lista comunale delle famiglie povere per le quali provvedeva il comune, era invece necessario pagarlo di tasca propria. Non erano affatto rari i casi in cui, stante le misere e ristrette condizioni economiche dei più, il medico veniva pagato con qualche salame, pezzo di formaggio, uova o prodotti agricoli. I medici del passato, anche in Lessinia, erano spesso soliti attuare i cosiddetti salassi, cioè applicare delle sanguisughe (“le sanguete”) sul corpo dell’ammalato per privarlo di parte del sangue “cattivo”; sortendo però non di rado l’effetto contrario di indebolire ancor di più l’ammalato. Nonostante la gente del passato ricorresse piuttosto raramente al medico essi avevano comunque sempre un gran lavoro, sia di giorno che di notte.
Molto più spesso si ricorreva invece alla figura dei cosiddetti “guaritori”, cioè di quei soggetti che con l’uso di riti magici, di pratiche e di sostanze, spesso di origine vegetale, cercavano di porre rimedio ai malanni. Anche nella Lessinia del passato in ogni paese erano conosciute persone che, a secondo dei bisogni, venivano ricercate per porre rimedi ad infortuni, malori e problemi di salute di uomini ed animali. Non di rado soprattutto tra le persone più superstiziose si ricorreva ai “striossi” poiché si riteneva che molti dei malanni fossero derivati da “striamenti e angurassìoni”, per cui essi si sarebbero potuti eliminare solo con altre “fatture”. Si trattava chiaramente nella maggior parte dei casi di imbroglioni e ciarlatani che facevano pressione sull’ignoranza e la superstizione popolare, ma talvolta vi erano tra loro dei veri e propri esperti di fitoterapia.

 

Fonte: da facebook, Amici di Velo del 22 aprile 2019

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