Mar 08 2019

IL GIALLO INTERNAZIONALE DI ARGO16

I resti di Argo 16

 

 

Argo16, il caso che coinvolse SID/SISMI, Mossad e i servizi segreti libici

 

Quell’incidente di 43 anni fa poteva cancellare Marghera e Mestre. SID/SISMI, Mossad e i servizi segreti libici risultarono coinvolti. Mandanti e cause ancora avvolti dalle nebbie della laguna.

La tragedia di Argo16 senz’altro avrebbe potuto cambiare il futuro dell’Italia intera e la geografia di Venezia-Mestre/Porto Marghera, ma quanti Veneziani e Veneti si ricordano di quella tragedia e dell’apocalisse sfiorata?

 

Ho cercato di mettere assieme quei fatti pescando dalle cronache di allora e dalla memoria personale (allora abitavo a una decina di km dal disastro).Onestamente non ricordo come i media descrissero la drammaticità di quegli eventi e delle conseguenze evitate per puro caso, come non correlandoli al fatto che erano avvenuti una settimana dopo la fine della guerra del Kippur e dell’accordo tra Italia e Arafat (lodo Moro). Inoltre le proteste di tutti lavoratori di Porto Marghera che chiedevano la chiusura del deposito di fosgene furono fatte passare per normali rivendicazioni salariali.Se fosse esploso, qualche decina di migliaia di mestrini e veneziani non potrebbero ricordare quel fatto. Per gli effetti scampati, provate pensare alla tragedia di Bhopal in India del 1984 dove morirono direttamente e indirettamente circa 15.000 persone per la fuoriuscita di isocianato di metile che si ricava industrialmente dalla reazione fra metilammina e fosgene.Purtroppo, per il segreto di Stato, il quadro d’insieme è ancora avvolto dalla nebbia.Ho tentato di ricostruire gli scenari degli anni ‘70 e ‘80 in cui l’Italia venne coinvolta nei fatti terroristici degli arabi medio-orientali, tuttavia ai quei tempi pochissimi giornalisti erano riusciti a dimostrare i collegamenti esistenti.

 

LA SCIA DI SANGUE LASCIATA DAL TERRORISMO MEDIO-ORIENTALE LUNGA DODICI ANNI:

Novembre 1973 – Argo16

Dicembre 1973 – Massacro all’Aeroporto Leonardo da Vinci

Giugno 1980 – Ustica

Ottobre 1985 – Sigonella (dirottamento Achille Lauro)

 

L’Italia di quegli anni doveva scontare l’ambiguità creata dalla parte filoaraba delle istituzioni che, per evitare ritorsioni da quel mondo arabo rimasto escluso dall’apertura del dialogo con Arafat (leader dell’OLP) e con Abu Abbas (capo del FLP-Fronte per la Liberazione della Palestina), “erano tenute” a collaborare con Gheddafi fornendogli nomi e indirizzi degli oppositori al suo regime che si trovavano in Italia.

L’Italia, un alleato degli USA che dialogava con OLP e FLP, nemici di Israele [uno storico alleato degli USA], aveva inevitabilmente creato malumori, screzi, sospetti e veleni tra i vari servizi segreti occidentali ed orientali.

Subito i Servizi Segreti Italiani si rendono conto che dietro il disastro dell’Argo16 potrebbe esserci un attentato nel momento in cui è altissima la tensione internazionale. Da poche settimane si era combattuta la Guerra del Kippur, in cui l’Italia aveva fornito aiuti e sostegni logistici ad Israele.

La politica estera italiana si fondava su un accordo ben preciso (lodo Moro) tra il nostro Governo e l’OLP di Arafat: un accordo segreto che sarebbe rimasto tale per molti anni. Quel patto, stipulato nell’autunno del 1973 tra il Ministero degli Esteri italiano e l’OLP, prevedeva che l’OLP non avrebbe compiuto attentati sul nostro territorio e in cambio l’Italia avrebbe consentito la liberazione dei guerriglieri palestinesi catturati sul suolo nazionale.

Gli Usa, assieme ai francesi (come si vedrà qualche anno più avanti con l’attacco alla Libia), avevano lo stesso obbiettivo, quello di rovesciare Gheddafi anche se le motivazioni erano diverse. I primi per eliminare il possibile capo di una coalizione araba contro Israele, i secondi per quelle risorse energetiche, gas e petrolio, che finivano nei serbatoi dell’Eni.

Oggi, dopo 38 anni, possiamo affermare che la tragedia di Usticafu causata, o meglio, fu la conseguenza della battaglia aerea fra due Tomcat americani e quel Mig23 libico precipitato in un canyon dei monti della Sila. Il magistrato incaricato delle indagini, alla fine del suo lavoro, affermò: “Non è forse tutta la verità, ma è certo la verità“.

 

Argo 16 qualche mese prima dell’incidente

 

E’ il 23 novembre 1973 quandosi schianta Argo16 a meno di un chilometro dal deposito di fosgene della Montefibre a Marghera. Incidente? Attentato? L’aeromobile, in Radio Callsignè chiamato Argo16 che, pur non avendo alcuna scritta di riconoscimento sulla carlinga, sulle ali e sulla coda, apparteneva al 306° Gruppo, 31° Stormo dell’ Aeronautica Militare Italiana e svolgeva missioni speciali per i Servizi Segreti italiani (SID e SIOS delle FF.AA.), inoltre lungo le coste adriatiche effettuava monitoraggi della rete radar jugoslava per conto del SIOS Aeronautica (Servizio Informazioni Operative e Situazione).

Argo16 è un vecchio Dakota Dc3 dismesso, regalato dai servizi segreti americani agli italiani negli anni ’50. Nei giorni successivi all’incidente fonti giornalistiche affermarono che l’aereo, registrato con il codice MM61832, fosse stato usato anche da Gladio per trasferire uomini e mezzi alla base di addestramento di Capo Marrargiu, in Sardegna e per trasportare le armi destinate ai depositi segreti dei gladiatori.

C’erano stati quattro morti: due ufficiali e due sottufficiali dell’Aeronautica Italiana, anche se si era parlato di agenti del Sid o di appartenenti a Gladio. Le cause non furono mai chiarite del tutto. Anzi, sulla tragedia fu posto subito il sigillo del segreto di stato. Quando da Venezia, il giudice Mastelloni chiese al SID, poi SISMI, documentazioni su Argo16 questi gli risposero che non esisteva alcun fascicolo, quel velivolo non era mai esistito.

 

 

LE ULTIME ORE DI ARGO. 

Il mistero s’infittisce, dall’idea di fare scalo a Malta per una mangiata di pesce al numero delle vittime accertate e alla fine degli attentatori di Fiumicino.

Il pomeriggio precedente (22 novembre) Argo16 termina il volo da Roma e sosta per tutta la notte fermo sulla pista del Marco Polo, anziché chiuso in un hangar come avveniva di solito. Sarebbe ripartito alle 7,30 del mattino successivo con destinazione Aviano. Lo scalo a Venezia era avvenuto al rientro della missione a Malta dove sarebbero stati consegnati i palestinesi agli emissari di Gheddafi. (Quelli del fallito attacco con missili terra-aria di un aereo di linea israeliano a Fiumicino)

A questo punto il giallo diventa ancora più fitto perché le domande non hanno risposte anzi fanno aumentare le ipotesi: Argo16 andò effettivamente a Malta o in Libia? Alla Valletta gli emissari libici non si sarebbero presentati, allora che fine avrebbero fatto i terroristi? Sul numero delle vittime accertate ci sono versioni che parlano di tre morti quando l’equipaggio era composto da quattro militari, il quarto che fine ha fatto?

Nel corso del processo a Venezia, il generale Maletti (numero due del SID-ServizioInformazioniDifesa) dichiarò che Argo16 ritornava dalla Libia, dove aveva appena trasportato i cinque palestinesi, catturati ad Ostia dai servizi segreti italiani, mentre progettavano «di far saltare un aereo El-Al».

«Durante il volo verso la Libia, qualcuno dell’equipaggio aveva messo in atto un’infelice idea: fermarsi a Malta per una «bella mangiata di pesce». «Una sosta infelice, viene definita dal gen. Maletti, perché vengono notati dagli agenti del Mossad e lungo la via del ritorno, Argo16 precipita».

Purtroppo il giorno della «sosta infelice per la bella mangiata di pesce» non corrispondeva a quello dell’attentato. Durante il dibattimento era venuta a galla perfino l’esistenza di un Argo16-1 e di un Argo16-2, che scorazzavano per i cieli del Mediterraneo secondo le necessità dei vari servizi segreti italiani. Quello caduto a Porto Marghera, non sarebbe stato quello che aveva trasportato i palestinesi.

 

Si aprono inchieste ma vengono chiuse senza dare risposte.

Nel 1973 il lodo Moro era ancora coperto da Top Secret. Intanto l’Aereonautica Militare apre un’inchiesta che porterà ad affermare prima che “quel disastro era stato solo un incidente” e poi (dopo 13 anni nel 1986) che “fu fatto esplodere quale avvertimento del Mossad al Governo Italiano”.  Il caso viene chiuso ed archiviato nel 1974. Riaperto nel 1986 e richiuso definitivamente nel 1999.

Dal 1980 diverse dichiarazioni di ex militari, congedati su due piedi dopo pochi mesi dall’incidente, di testimoni ambientali ed ex agenti segreti non fanno altro che aumentare le domande senza risposte.

 

RICOSTRUZIONE VEROSIMILE DEI FATTI

 

Area che sarebbe stata coinvolta qualora Argo16 fosse caduto sul deposito di fosgene dello stabilimento Montefibre a porto Marghera: area A) distruzione, area B) danni collaterali

 

Il pilota di Argo16, poco dopo il decollo dal Marco Polo, arrivato alla quota di 2.500 piedi il velivolo perde colpi, poi un’esplosione, non potendo tornare indietro (si troverebbe a pochi chilometri dall’aeroporto) cerca di compiere un atterraggio di emergenza sulla strada principale che porta a Marghera, ma precipita al suolo, a poca distanza dalla Montefibre.

L’aereo, forse per aver toccato un traliccio dei ripetitori per le telescriventi, finì la propria corsa andando a sbattere contro la ringhiera della palazzina dove c’era la direzione dell’ufficio personale della Montefibre.

“Vedemmo corpi maciullati, gettati, spazzolati via, addirittura la testa di un pilota fu trovata sotto un’autovettura. C’erano soldi, tanti soldi dappertutto, dentro all’aereo e che volavano attorno da tutte le parti.” Così parlava l’ispettore di polizia D’Aquino, arrivato sul posto con i primi soccorsi. Inoltre affermò: “Questa storia mi puzzava, e tanto, che decidemmo di non toccare niente, aspettando l’arrivo della scientifica, perché siamo stati noi i primi ad arrivare”.

Dopo cinque minuti arriva un Capitano dei Carabinieri, “Mi dispiace per te”, dice a D’Aquino, “ma questo è di competenza nostra, sono militari, e qui operiamo noi”. “Eravamo troppo piccoli per condurre quell’indagine, questa è la verità, perché era tutto blindato e di conseguenza non si riusciva a sapere nulla”. “Per un caso fortuito oggi riusciamo a raccontare i fatti, perché se fosse esploso il deposito di fosgene, non saremmo qui a parlarne”, così si legge negli atti della deposizione dell’Ispettore D’Aquino.

 

L’attaccò all’aeroporto Leonardo Da Vinci, Fiumicino da parte del commando palestinese di Settembre Nero

 

Il 17  dicembre del 1973.  L’attaccò all’aeroporto Leonardo Da Vinci, Fiumicino da parte del commando palestinese di Settembre Nero.Fu un massacro in cui morirono 34 persone ed il ferimento di altre 15, e all’epoca risultò essere stato il più grave attentato terroristico in Europa.

I cinque palestinesi provenienti da Madrid, quando arrivarono alla barriera del controllo passaporti (allora i sistemi di controllo erano in effetti inesistenti), tirarono fuori le armi e presero in ostaggio sei agenti di PS.

Il gruppo si divise: uno con gli ostaggi si diresse verso ilgate14, mentre l’altro iniziò a sparare contro le vetrate per poter uscire direttamente sulla pista. Si diressero verso il Boeing 707 della Pan Am, volo Beirut-Teheran, e vi gettarono all’interno due bombe al fosforo uccidendo 30 passeggeri. Dopo essersi impadroniti di un aereo Lufthansa, pronto sulla pista per il decollo, fecero salire alcuni ostaggi tra cui i sei agenti di PS e costrinsero l’equipaggio, che già era a bordo, a decollare. Qui uccisero il tecnico della società Asa, il cui corpo venne gettato sulla pista dello scalo di Atene dove l’aereo aveva potuto fermarsi, dopo che molti aeroporti negarono l’atterraggio, infine l’aereo arrivò all’aeroporto di Kuwait City dove vennero liberati gli ostaggi.

 

I resti del PanAm dopo l’attacco con granate al fosforo

 

I terroristi, pur negoziando la loro fuga, vennero catturati poco dopo dalle autorità del Kuwait che, dopo averli interrogati, decisero di non sottoporli a processo ma di consegnarli all’OLP – Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Per la politica “filo-araba”dell’Italia, ci fu chi insinuò la complicità tra i servizi segreti italiani e i terroristi. Quella strage, oggi, è stata quasi dimenticata, come i collegamenti che c’erano con altri eventi.

 

1980USTICA, il 27 giugno viene abbattuto il Dc-9 dell’Itavia. (Purtroppo le vicende sono note a tutti)Al rientro sulla Saratoga, da una missione speciale, due Phantom risultano disarmati e scarichi, e secondo le voci di coperta avrebbero abbattuto altrettanti Mig libici in volo proprio lungo la traiettoria aerea del Dc9. I due aerei di ricognizione, secondo le affermazioni ufficiali Usa, avevano (o avrebbero?) evitato l’attacco alla portaerei da parte libica.

Nel sito di AirDisaster vengono elencati gli altri tre incidenti “strani” che hanno coinvolto i velivoli dell’Itavia nei venti anni precedenti: quello del 14 ottobre del 1960, avvenuto sull’isola d’Elba, quello del 30 marzo del 1963, nel quale un Dc3 è precipitato nei pressi di Sora, e quello del Fokker F-28 avvenuto a Torino il primo gennaio del 1974. Tutti incidenti ancora avvolti da un velo di mistero.

 

27 giugno del 1980, un imprenditore lombardo in vacanza a Sellia Marina (CZ) assiste ad un fatto accaduto poco dopo le 21, quando nessun telegiornale aveva ancora lanciato la notizia della tragedia di Ustica, e racconta del Mig libico schiantatosi in un canyon della Sila:

« Quel giorno io e mia moglie eravamo in Calabria, a Sellia Marina precisamente, e alloggiavamo al Triton. Prima di andare a cena eravamo sul terrazzo. Guardavamo le montagne della Sila, erano circa le 21 e 05, massimo le 21 e 10. Guardavamo in direzione di Sersale e in lontananza, proprio verso la Sila, si vedevano come dei fuochi d’artificio. La cosa strana era che erano solamente orizzontali: raffiche velocissime che avevano lo stesso colore della luce emessa dalle lampadine a filamento, e quei bagliori sono durati almeno un minuto. Ho guardato meglio, c’era ancora luce, e ho visto che c’erano due aerei in salita verso Crotone: ho avuto la sensazione che uno rincorresse l’altro sparandogli. Dopo alcuni minuti, forse cinque, ma anche meno, ne ho visti altri due, li ho sentiti arrivare alle mie spalle, potrebbero aver sorvolato Catanzaro, venivano da Sud-Sud-Ovest. Volavano a bassissima quota, a pelo d’acqua e paralleli in direzione di Capo Rizzuto. Sono sicuro che quelli sul mare erano dei caccia militari, colore verde mimetico e sotto le ali non avevano coccarde. Negli anni successivi mi sono documentato, ho guardato decine di foto, per me erano due F-16. Poi mi hanno detto che di quel colore li avevano solo gli israeliani. »

Il primo medico che esaminò il cadavere del pilota del Mig affermò che era deceduto da circa venti giorni. Sembra che quel medico, qualche mese dopo, subì un’aggressione a sangue all’aeroporto di Caselle a Torino e poi fu costretto a cambiare versione e sostenere che quel cadavere non era in avanzato stato di decomposizione. Affermazioni e riscontri che fanno aumentare i dubbi sulle versioni ufficiali e le domande senza risposta non mancano:  

– Causa della caduta, era rimasto senza carburante.

 

Ezzedin Fadah El Khalil, il pilota 30enne siriano di origine palestinese  alla guida del Mig23 libico, perché indossava stivali e tuta della nostra Aeronautica militare?

Inoltre il biglietto bruciacchiato trovato tra i rottami, con scritto a mano in arabo “io sottoscritto pilota (nome del pilota) colpevole dell’abbattimento e della morte di tanti …”, era una dichiarazione di responsabilità del pilota, scritta prima dell’incidente o prima di morire o addirittura postuma all’abbattimento e messo tra i rottami dai primi investigatori giunti sul posto?

 

– La sera del 27 giugno, due nostri agenti dei Servizi segreti militarisi trovavano a Monte Scuro, sulla Sila, dove poi furono rimandati il 18 luglio a vedere ufficialmente i resti del Mig che avevano già visto segretamente il 27 giugno. Cosa successe in quei 21 giorni al Ministero della Difesa, ai vertici dei Servizi Segreti?

 

– Perché i medici anatomopatologi, incaricati dal PM che gestiva le indagini, furono costretti a scrivere una seconda relazione?Per quali motivi doveva essere diversa da quella del primo medico in cui affermava che il corpo era stato trovato in avanzato stato di decomposizione, e che, dopo l’aggressione subìta all’aeroporto di Torino-Caselle, dovette cambiarla pure lui. Nella seconda relazione il pilota era “appena deceduto” con il sangue rappreso, nonostante fossero trascorse diverse giornate molto assolate con temperature molto alte tra il l’incidente ed il ritrovamento?

 

– Gli esperti dell’Aeronautica diranno che i buchi sulle lamiere sulla carlinga del Mig23 non c’erano al momento della caduta. Oggi agli atti risulta che quei buchi furono fatti dopo l’incidente dalla nostra Aeronautica per dei test. – Un Mig libico entra nello spazio aereo italiano quando nel basso Mediterraneo è in corso un’imponente esercitazione della Nato, la “Natinad Demon Jam V”. Com’è possibile? Una svista ordinata dall’alto? Una strana leggerezza della nostra intelligence nei rapporti con gli americani?

 

Testimoni calabresi affermano di aver visto, da angolazioni e da località diverse, gli stessi fatti alla stessa ora,senza sapere che accadevano contemporaneamente alla tragedia di Ustica. – Perché alcuni militari in servizio alla base di Milazzo dell’Aeronautica Militare dopo quella notte furono trasferiti a Firenze? Per quali motivi i resti di quell’aereo interessavano alla Cia, al Sismi, al Sios (Servizio Informazioni dell’Aeronautica), oltre ai servizi segreti francesi e di mezza Europa occidentale?

 

A cosa voleva alludere Giovanni Spadolini, ministro della Difesaal tempo dei fatti, quando disse ai giornalisti “se scoprite cos’è successo al Mig troverete la chiave per capire la strage di Ustica?  

 

Come mai le prove importanti di questo caso (Mig libico) sparirono come quelle di Ustica?

 

Su quali basi di verità si fondano le dichiarazioni di ex agenti segreti (anche italiani) che lo scontro in Calabria avvenne tra 2 aerei libici, 2 americani e due francesi, anche se qualcun’altro afferma che c’erano gli israeliani al posto dei francesi, questi sarebbero arrivati invece sulla scena a duello concluso dopo l’abbattimento del Mig.

 

1985SIGONELLA, nella notte tra il 10 e l’11 ottobre del 1985, Bettino Craxi osò sfidare gli USA di Donald Reagan e a Sigonella, dove c’era una base americana. Il nostro premier difese la sovranità nazionale schierando i carabinieri contro i marines, ma segnò la sua fine politica con l’esilio in Libia ad Hammamet dove morì.

Il governo italiano era così composto: COSSIGA, presidente Repubblica; CRAXI, presidente Consiglio; SPADOLINI, ministro della Difesa (filoamericano); ANDREOTTI, ministro degli Esteri (filo palestinese e capo dell’unità di crisi). Ha inizio il braccio di ferro telefonico tra Reagan e Craxi che vinse difendendo la sovranità nazionale. Da quel momento iniziò la sua parabola discendente che si concluse con l’esilio ad Hammamet.

 

Aeroporto della base di Sigonella, momento in cui i Navy SEALs circondano i Carabinieri (anello interno) e poi, dopo questo scatto fotografico, arrivano altri Carabinieri che si schierano con i mezzi blindati, formando un terzo cerchio. Ha inizio il braccio di ferro telefonico tra Reagan e Craxi che vinse difendendo la sovranità nazionale. Da quel momento iniziò la sua parabola discendente che si concluse con l’esilio ad Hammamet

 

Il Boeing 737 Egyptair, con a bordo i terroristi che avevano sequestrato la nostra nave da crociera Achille Lauro,viene fatto atterrare sulla parte italiana della pista della base militare di Sigonella, per essere poi bloccato e circondato dai nostri militari, i quali a loro volta vengono circondati con armi spianate da 60 Navy SEALs, gli incursori americani atterrati senza alcuna autorizzazione. Arrivano due battaglioni di carabinieri che circondano gli americani e spianano pure loro le armi verso gli americani. Se ci fosse stato un conflitto a fuoco, i SEALs avrebbero avuto la peggio, ma l’Italia sarebbe passata giocoforza dalla parte dei dirottatori e avrebbe annullato tutti gli accordi in essere con gli americani che avevano basi militari sul nostro territorio tra cui Aviano, al tempo contenente testate nucleari. Reagan telefona a Craxi pretendendo che dirottatori e mediatori vengano messi in galera al contrario di Craxi che lo vuole solo per i dirottatori tenendo i mediatori sotto sorveglianza, Ledeen fa da interprete visto che conosce sia l’italiano che Craxi, ma traduce che il presidende USA li vuole tutti in galera. Craxi capisce che c’è qualcosa che non funziona e quindi decide di disobbedire.

Nel contempo Mubabarak (presidente egiziano) blocca l’Achille Lauro e trattiene tutti i passeggeri, dicendo che non usciranno dal porto finché Abbas (uno dei mediatori) non sarà decollato da Sigonella.

Craxi ordina il decollo del 737 e di farlo atterrare a Ciampino. Viene scortato da 4 nostri F-104 che bloccano il tentativo di dirottare il Boing dei due F-14 americani partiti dalla USS Saratoga.  I due mediatori devono uscire dall’Italia per non essere consegnati agli americani, vengono trasferiti ed imbarcati su un volo di linea yugoslavo diretto a Belgrado.

Regan, l’ambasciatore USA a Roma e Ledeen si arrabbiano molto. Abu Abbas viene catturato nell’aprile del 2003 dai SEALs in Iraq. Protetto da Saddam Hussein viveva da esule in una villa di Baghdad. Muore nel 2004 in carcere, ufficialmente per un attacco cardiaco.

Senza l’Italia gli USA avrebbero perso non solo il Mediterraneo ma la certezza di avere un fronte contro la Russia.

 

1986– La procura di Venezia riapre il caso Argo16.

 

1997– L’inchiesta condotta dell’allora giudice istruttore veneziano Carlo Mastelloni si indirizzò verso l’ipotesi di sabotaggio da parte dei servizi segreti israeliani come ritorsione contro l’Italia per aver trasportato in Libia, proprio con Argo16, due dei cinque palestinesi accusati di aver organizzato ad Ostia un attentato contro un aereo delle linee israeliane con l’uso di missili terra-aria.

Il p.m. incrimina 22 ufficiali dell’Aeronautica militare con l’accusa di “soppressione, falsificazione e sottrazione di atti concernenti la sicurezza dello Stato”. A suo giudizio “coloro che negli anni si sono occupati dell’inchiesta hanno sistematicamente occultato, falsato o distrutto ogni elemento che poteva portare sulla strada giusta”.

Vengono accusati di strage Zvi Zamir, ex capo del Mossad, e Asa Leven, direttore del Mossad in Italia all’epoca degli incidenti aerei.

 

1999 – chiusura definitiva del processoIl 16 dicembre 1999 i giudici chiusero il processo stabilendo che l’aereo cadde per un’avaria o per un errore del pilota e l’ex-capo del Mossad, Zvi Zamir, venne assolto dall’accusa di strage perché il fatto non sussisteva.

 

Oggi quel deposito di fosgene non esiste più: sarebbe stato smantellato ed il sito bonificato nel 2007.

 Da allora la DowChemical, secondo colosso mondiale della chimica, ha iniziato le operazioni necessarie alla chiusura definitiva del sito produttivo.

 

GIANNI CECCHINATO·SABATO 2 MARZO 2019

 

Fonte: rsr di Gianni Cecchinato, da Facebook di sabato 2 marzo 2019

Link:  https://www.facebook.com/notes/amici-in-gruppo/il-giallo-di-argo16/304916590219909/

Fonte; dal Veneto al mondo del 24 marzo 2018

Link: https://dalvenetoalmondoblog.blogspot.com/2018/03/quellincidente-di-45-anni-fa-che-poteva.html

 

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