Mar 18 2009

Gli archeologi trovano i più antichi cavalli addomesticati

Category: Archeologia e paleontologia,Mondo animalegiorgio @ 09:04

 

Un team internazionale di archeologi ha scoperto la più antica prova di cavalli addomesticati dall’uomo. La scoperta suggerisce che i cavalli fossero cavalcati e le cavalle munte per il latte. I risultati potrebbero puntare agli albori dell’addomesticazione del cavallo e alle origini delle razze di cavallo che oggi conosciamo. Condotta dalla Università di Exeter e Bristol (Regno Unito), la ricerca è pubblicata venerdì 6 marzo 2009 sulla rivista accademica Science.

I ricercatori hanno rintracciato le origini del cavallo addomesticato sino alla Cultura del Botai Kazakistan, circa 5500 anni fa. Si tratta di circa 1000 anni prima di quanto si pensasse e di circa 2000 anni prima che i cavalli domestici fossero introdotti in Europa. I risultati suggeriscono fortemente che i cavalli fossero originariamente addomesticati non solo come mezzi di trasporto, ma anche per fornire cibo e latte.

Attraverso ampie ricerche archeologiche sul campo e successive analisi, utilizzando nuove tecniche, il gruppo ha sviluppato tre linee indipendenti di prove per l’inizio dell’addomesticamento del cavallo. I risultati mostrano che nel quarto millennio a.C. i cavalli in Kazakistan sono stati selettivamente allevati per uso domestico. Essi mostrano anche i cavalli venivano sfruttati per l’equitazione, e che le persone consumavano latte di cavalla.

L’analisi degli antichi resti di ossa hanno dimostrato che i cavalli erano di taglia simile ai cavalli domestici dell’Età del Bronzo e diversi dai cavalli selvatici della stessa regione. Ciò suggerisce che si selezionassero i cavalli selvatici per i loro attributi fisici, che sono stati poi accentuati attraverso l’allevamento.

Il team ha utilizzato una nuova tecnica per la ricerca dei “danni” causati da cavalli con finimenti o briglie. I risultati hanno dimostrato che i cavalli erano sfruttati, in quanto sembra che essi potessero essere cavalcati.

Utilizzando un nuovo metodo di analisi dei residui di lipidi, i ricercatori hanno anche analizzato la ceramica Botai e trovato tracce di grassi del latte di cavalla. Il latte di cavalla è ancora bevuto in Kazakistan, un paese in cui le tradizioni del cavallo sono profondamente radicate, ed è di solito un po’ fermentato per ottenere una bevanda alcoolica chiamata “Kumis”. Si è sempre saputo che si produceva Kumis da secoli, ma questo studio dimostra che la pratica risale ai primi allevatori di cavalli.

Il Dott. Alan Outram dell’ Università di Exeter ha dichiarato: “è noto che l’addomesticamento dei cavalli ha avuto grande importanza economica e sociale, e ha consentito lo sviluppo delle comunicazioni, dei trasporti, della produzione alimentare e della guerra. I nostri risultati indicano che i cavalli sono stati addomesticati circa 1000 anni prima di quanto si pensasse finora. Ciò è importante perché cambia la nostra comprensione di come queste prime società si siano sviluppate.” 

La zona di steppa, a est degli Urali, nel Kazakistan settentrionale, è nota per avere un ottimo habitat per cavalli selvaggi sin da migliaia di anni fa. Quest’animale era comunemente cacciato. Questo può avere posto le basi per la fase dell’addomesticamento del cavallo da parte delle culture indigene, fornendo l’accesso a numerose mandrie selvatiche e l’opportunità di acquisire una profonda conoscenza del comportamento equino. I cavalli sembrano essere stati addomesticati di preferenza rispetto ad un’economia basata sulla pastorizia di bovini, ovini e caprini. I cavalli hanno il vantaggio di essere adatti a inverni severi e di essere in grado di brucare tutto l’anno, anche attraverso la neve. Bovini, ovini e caprini devono essere riforniti di foraggio invernale, e sono stati successivamente aggiunti all’economia della regione nella preistoria.

La British Academy è l’accademia nazionale del Regno Unito per le discipline umanistiche e scienze sociali. Il suo scopo è quello di ispirare, riconoscere e sostenere l’eccellenza in queste discipline, in tutto il Regno Unito ea livello internazionale, e per difendere il loro ruolo e il valore. Maggiori informazioni sul lavoro dell’Accademia è disponibile all’indirizzo www.britac.ac.uk.

Fonte: British Academy (Regno Unito)  (7 Marzo 2009); 

La porta del tempo

Contact: Sarah Hoyle – s.hoyle@exeter.ac.uk (44-139-226-2062)

University of Exeter; link: (http://www.exeter.ac.uk/)


Mar 18 2009

MEGLIO PREGARE CHE ……. – IN 35 ANNI, 11MILA PRETI HANNO LASCIATO LA TONACA PER AMORE PER POI PENTIRSI E CHIEDERE DI TORNARE

Category: Chiesa Cattolicagiorgio @ 07:47

MEGLIO PREGARE CHE SCOPARE – IN 35 ANNI, 11MILA PRETI HANNO LASCIATO LA TONACA PER AMORE PER POI PENTIRSI E CHIEDERE DI TORNARE: MEGLIO LA CASTITÀ DELLA VITA DI COPPIA – UN FENOMENO SOMMERSO, SCONOSCIUTO AI PIÙ, DI CUI SI PARLA MOLTO POCO…

CATERINA MANIACI PER “LIBERO”

Decidere di abbandonare il sacerdozio, magari dopo anni di faticoso “esercizio”, in una parrocchia di periferia, in un grande istituto, o mentre si naviga negli oceani, facendo i cappellani nelle navi… Non si vuole più fare il prete per la fede che viene a mancare. Oppure perché si incontra una donna e si capisce che la strada imboccata è sbagliata: è la storia comune di alcuni sacerdoti. Neppure pochissimi, se si considera che, secondo i dati forniti dalla Congregazione per il clero, sarebbero 1.076 in media all’anno i preti che “abbandonano”.

PRETI A PENSER – COPYRIGHT PIZZI

Un fenomeno noto e causa di grandi discussioni in seno al mondo cattolico. Ma tra quelli che lasciano, gli ex, ci sono quelli che poi si pentono e vogliono tornare a fare i sacerdoti. Vivere con una donna non li soddisfa più, oppure hanno capito, con il tempo, che proprio essere e fare il prete era la scelta migliore… Così, per i 1.076 che lasciano, 74 chiedono di tornare. Un fenomeno sommerso, sconosciuto ai più, di cui si parla molto poco.

STANCHI DELLA MOGLIE…


Ne parla, invece, un libro appena uscito, dal titolo “Fare il prete non è un mestiere”, di Laura Badaracchi (edizioni dell’Asino), libro a metà strada tra il manuale e l’inchiesta, che intende tracciare un identikit su chi sono oggi i sacerdoti. Moltissimi dati, molte testimonianze, molti spunti di riflessione.

Dal vasto lavoro di indagine dell’autrice, emerge, tra gli altri, il fenomeno degli ex preti che vogliono tornare a fare i preti. Lo ha descritto per prima “La Civiltà Cattolica”, prestigiosa e storica rivista dei gesuiti, in un articolo uscito nel 2007 e intitolato, significativamente, “Preti che abbandonano, preti che ritornano”.

«Si parla spesso dei sacerdoti cattolici che abbandonano il ministero e si sposano», fa notare l’autore dell’articolo, padre Gian Paolo Salvini, nonché direttore della rivista, «ma assai meno di quelli che, rimasti vedovi o insoddisfatti del nuovo stato di vita, chiedono di essere riammessi all’esercizio del ministero.

In 35 anni sono stati 11.213, di fronte a circa 57mila che hanno abbandonato. È un fenomeno di notevole rilevanza pastorale, che dimostra anche la benevolenza della Chiesa».

Bisogna chiarire che i sacerdoti che lasciano il ministero non “perdono” la condizione sacerdotale, che è un sacramento e dunque non “scioglibile”. In generale, chiedono la dispensa dagli obblighi derivanti dallo stato sacerdotale, ossia il celibato e recita del breviario.

Quali sono le condizioni per poter tornare a fare i preti? Ci deve essere la dichiarazione di un vescovo (o prelato di grado maggiore) che si dichiari pronto a reintegrare l’ex sacerdote in questione nella propria diocesi o nel suo istituto, garantendo anche «l’assenza di pericolo di scandalo qualora la domanda fosse accolta».

UN PERCORSO A OSTACOLI


L’ex, poi, non deve essersi sposato in chiesa, se lo ha fatto, occorre il certificato di morte del coniuge (se vedovo) o il decreto di nullità del matrimonio. Non deve essere troppo anziano e deve aver fatto un corso di aggiornamento teologico di almeno sei mesi. Insomma, un percorso “a ostacoli” perché si capisca che uscire e rientrare per la porta del sacerdozio non deve essere considerato semplice e scontato.

Il caso degli ex preti pentiti rientra, ovviamente, in un quadro generale che, come rileva Laura Badaracchi nel suo libro, deve considerare il calo delle vocazioni, soprattutto in Occidente e in Italia, con una sempre più forte presenza di sacerdoti stranieri. 

Nel 1998 i preti stranieri in Italia erano 1.675. Nel 2001 erano diventati 2.003. Da dove vengono? Soprattutto dall’Europa dell’Est, dall’Africa, dall’America Latina, dall’Asia.

E poi ci sono le cosiddette “vocazioni adulte” in aumento, ossia quelle di chi ha deciso di prendere i voti in età matura, dopo varie esperienze di vita e riguarda soprattutto chi sceglie gli ordini monastici, anche quelli più duri, come i trappisti e persino gli eremiti. Perciò, tra quelli che se ne vanno e quelli che ritornano, quelli che arrivano da altri Paesi, ci sono sempre quelli che restano al loro posto, tra mille difficoltà, ma convinti che essere preti rimane sempre una bella sfida, un buon motivo per giocarsi la vita.

 

Fonte: Dagospia del 16-03-2009