Mar 17 2009

Un viaggio moderno alla terra di Punt con la copia di un’antica nave egiziana

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 09:23

 

Gli antichi Egizi possono essere più noti per la costruzione delle piramidi, ma l’archeologa marittima di fama internazionale Cheryl Ward vuole che il mondo sappia che erano anche bravi marinai.

Ward, professoressa associata d’antropologia all’Università di Stato della Florida, con una squadra internazionale di archeologi, di costruttori di navi e di marinai, ha recentemente sviluppato una replica completa di una nave di 3800 anni fa e ha navigato con essa sul Mar Rosso per ricreare un viaggio ad un posto che gli antichi Egizi chiamavano la Terra di Dio o Terra di Punt. La loro spedizione è stata finanziata e filmata per un documentario francese a diffusione internazionale e per un prossimo episodio di “NOVA.„

“Questo progetto ha dimostrato le straordinarie capacità degli Egizi di navigare in mare, „ ha detto Ward. “Molta gente, compresi i miei colleghi archeologi, pensa agli Egizi come legati al fiume di Nilo ed incapaci di andare per mare. Per 25 anni, la mia ricerca è stata dedicata a mostrare la portata della loro abilità ed ora, a rivelarsi il loro modo tutto particolare di costruire navi, funzionanti magnificamente in mare.„

Il progetto si è sviluppato dalla scoperta nel 2006 dei più antichi resti in tutto il mondo di navi destinate a navigare in mare, in caverne artificiali apresso il wadi Gawasis, sul bordo del deserto egiziano. Gli Egizi usavano il luogo per montare e smontare le navi costruite con tavole di cedro e per immagazzinare le tavole, le ancore di pietra e le bobine di corda fino alla spedizione seguente che ovviamente non c’è mai stata. Il malcontento sociale e l’instabilità politica dopo il periodo del Medio Regno (2040-1640 a.C.) probabilmente hanno provocarono un blocco ad ulteriori esplorazioni e le caverne sono rimaste a lungo dimenticate, ha detto Ward.

Ward, principale ricercatrice per l’archeologia marittima al wadi Gawasis, ha determinato che le tavole di legno trovate nelle caverne avevano quasi 4000 anni. Sulla base dei vermi del legno, che avévano scavato una galleria nelle tavole, ha supposto che le navi avessero compiuto un viaggio di circa sei mesi, probabilmente al leggendario centro commerciale di Punt, nel sud del Mar Rosso. Gli studiosi sapevano da tempo che gli Egiziani avevaano viaggiato sino a Punt, ma discutevano riguard alla sua posizione esatta e se gli Egizi avessero raggiunto Punt per terra o dal mare. Alcuni avevano pensato che gli antichi Egizi non avessero la tecnologia navale per viaggiare sul mare su lunghe distanze, ma i risultati degli scavi al wadi Gawasis hanno confermato che gli Egizi compirono un viaggio di viaggio di andata e ritorno di 2000 miglia sinoa Punt, individuabile nelle terre che oggi chiamiamo l’Etiopia o lo Yemen, ha detto Ward.

Dopo la scoperta al wadi Gawasis, Valerie Abita, della compagnia francese di produzione Sombrero Co., ha chiesto alla Ward di partecipare ad un documentario su una ricostruzione moderna del viaggio patrocinato verso Punt dal faraone donna egiziano Hatschepsut. Ward ha progettato e sorvegliato la ricostruzione di una nave di Punt con l’assistenza di un architetto navale, di un costruttore navale e con la consulenza locale di un archeologo egiziano. Il processo ha comportato parecchi viaggi in Egitto per approfondire la ricerca, per selezionare un cantiere navale per costruire il vascello e per scegliere i materiali. (Risulta che l’abete Douglas, l’albero di Natale più comune in America, è molto simile al cedro usato dagli antichi Egizi, in termini di resistenza e densità). Ward ha usato il programma del maestro artigiano di FSU per sviluppare i modelli su scala ridotta della nave, per aiutarla a raffinare i particolari e per modellare la disposizione. Entro l’ottobre 2008, la ricostruzione della nave, lunga 20 metri e larga 5, che Ward ha battewwato “Min” del deserto, è stato completato usando le tecniche degli antichi Egizi – nessuna paratia trasversale, nessun chiodo e tavole adattate insieme come le parti di un puzzle. Dopo l’immersione della nave nel Nilo per consentire ai legnami di gonfiarsi e serrarsi intorno alle legature di legno, dopo aver montato il sartiame e provato il sistema di direzione, hanno trasportato la nave completa in camion al Mar Rosso – piuttosto di trasportarla smontata attraverso il deserto, come avrebbero fatto gli antichi Egizi.

Verso la fine di dicembre, l’equipaggio internazionale di 24 uomini ha fatto vela sul Mar Rosso. Il capitano era David Vann, professore assistente d’inglese dell’Università di Stato della Florida, marinaio compiuto e scrittore di successo. Le limitazioni politiche così come l’abbondanza di moderni pirati lungo l’estremità sud dell’itinerario hanno trattenuto la squadra dal lasciare le acque egiziane ed il viaggio si è concluso dopo sette giorni e circa 150 miglia, rispetto a quello che sarebbe stato un viaggio di 1000 miglia sino a Punt. Ma il viaggio di una settimana ha fornito una nuova valutazione di apprezzamento per le abilità ed ingegnosità degli antichi Egizi, ha detto la Ward, notando che la squadra è stata sorpresa da quanto velocemente la nave poteva viaggiare – circa 6 nodi, o 7 miglia orarie.

“La velocità della nave significa che i viaggi si sarebbero fatti molto in meno tempo di quanto gli Egtttologi non avessero calcolato, rendendo l’intero viaggio più semplice e più fattibile per gli antichi, „ ha detto, ed ha aggiunto che probabilmente impiegarono circa un mese per veleggiare sino a Punt e due mesi per il ritorno.

“La tecnologia che abbiamo usato non era applicata alla costruzione navale da più di 3500 anni e funziona ancora oggi come allora.„ Non era facile. “Quando era tempo di alzare la vela e di iniziare la nostra rotta verso il sud verso la terra di Punt, abbiamo avuto soltanto la nostra squadra e l’energia dell’essere umano su cui contare, „ ha detto Ward. “Levandoci in piedi e remando sopra la guida, trasportando su una linea per sollevare la vela senza l’aiuto delle pulegge o registrando i nostri progressi lungo la rotta, tutti ci siamo sentiti collegati a quei marinai antichi nei loro viaggi epici.„

 

Fonte: Fornito dall’Università di Stato della Florida (7 Marzo 2009); La porta del tempo

link: http://www.physorg.com


Mar 17 2009

CONTRO IL PIANO-CASA DI BERLUSCONI ALCUNI DEI PRINCIPALI RESPONSABILI DEGLI ORRORI CHE HANNO SFIGURATO IL BELPAESE: AULENTI, FUKSAS, GREGOTTI

Category: Architettura e urbanisticagiorgio @ 08:08

 

SGARBISSIMO! – “CONTRO IL PIANO-CASA DI BERLUSCONI ALCUNI DEI PRINCIPALI RESPONSABILI DEGLI ORRORI CHE HANNO SFIGURATO IL BELPAESE: AULENTI, FUKSAS, GREGOTTI – NON SOLO PER ABUSIVISMO MA PER QUELLA ASSOCIAZIONE A DELINQUERE DI ARCHITETTI”…

 

VTTORIO SGARBI PER IL GIORNALE

Attila disse «salviamo l’Italia». 

In prima pagina della Repubblica di ieri, 10 aprile, appariva un appello di tre architetti, tra i principali vandali del nostro tempo, che chiedono «un sussulto civile delle coscienze di questo Paese» contro «la proposta di liberalizzazione dell’edilizia, annunciata dal presidente Berlusconi».

 

Firmano l’appello Gae Aulenti, Massimiliano Fuksas, Vittorio Gregotti: 

«Le licenze facili e i permessi edilizia fai da te decretano la fine delle nostre malconce istituzioni. Il territorio, la città e l’architettura non dipendono da un’anarchia progettuale che non rispetta il contesto, al contrario dipendono dalla civiltà e dalle leggi della comunità. La proposta di liberalizzazione dell’edilizia, annunciata dal presidente Berlusconi, rischierebbe di compromettere in maniera definitiva il territorio. Ecco perché c’è bisogno di un sussulto civile delle coscienze di questo Paese».

E il sussulto viene da alcuni dei principali responsabili degli orrori che hanno sfigurato il volto delle nostre città e del paesaggio. Non si vorrebbe credere. Potrebbe sembrare una burla, probabilmente non lo è e certamente otterrà numerose firme di complici e non ingenui cittadini insieme a quelle di molti che amano il loro Paese e avvertono il pericolo reale. Perché, sia ben chiaro, la preoccupazione è lecita, ma ci vogliono veramente le facce toste dei tre architetti citati per mettersi a capo di una rivolta contro quella «anarchia progettuale che non rispetta il contesto» di cui proprio loro sono stati i principali protagonisti.

AULENTI

Se l’Italia è devastata non lo è soltanto per l’abusivismo ma per quella associazione a delinquere di architetti che, spesso in virtù della loro notorietà e delle benemerenze ottenute con la complicità di partiti o di consapevole amministrazione di centrosinistra o di raggirate amministrazioni di centrodestra che li hanno sostenuti, hanno sfigurato i centri storici e il paesaggio, adesso hanno il coraggio di firmare appelli.

Dobbiamo ricordare che Gae Aulenti ha distrutto il disegno di piazza Cadorna a Milano con architetture che hanno sfregiato gli edifici ottocenteschi pre esistenti, deliberatamente; ha devastato il centro storico della bellissima città di Alcamo con pigne e sfere e corpi illuminanti come traversine ferroviarie disseminati nella piazza principale, senza alcun rispetto dell’armonia dei luoghi;

Che Fuksas ha inflitto il Palafuksas a Torino, una grottesca scatola scambiata per chiesa a Foligno, e immaginato un grattacielo come un sigaro nel golfo di Savona, con una allegra spudoratezza;

 che Gregotti ha circondato il Villaggio Pirelli alla Bicocca a Milano con una serie di ripetitive «scatole da scarpe» e ha costruito il quartiere Zen a Palermo dichiarando che mai ci sarebbe andato ad abitare per l’orrore che ne provava.

FUKSAS

E Fuksas ha dimenticato la cementificazione di Paliano sotto il castello Colonna con una serie di alloggi come forni crematori? O una serie di edifici per la cooperativa Ernica inflitti alla bella Anagni? O l’incredibile municipio della città di Cassino con le facciate (deliberatamente) sul punto di crollare, forse per una non scaramantica allusione a Tangentopoli o a un terremoto? E non ha risparmiato neanche Civita Castellana con le cappelle per il nuovo cimitero, giochi insensati per morti reali.

Provate ad entrare nel nuovo padiglione dell’abbigliamento a Porta Palazzo a Torino per capire fino a che punto può arrivare la perversione dell’architetto indignato. Neppure Gregotti si è risparmiato. Dopo lo Zen si è applicato all’Università delle Calabrie, gigantesca struttura lineare a ponte, tutta di cemento armato, che si sviluppa perpendicolarmente alle creste delle montagne vicino a Cosenza. E non ha mancato neppure di colpire Venezia con il quartiere residenziale a Cannaregio.

L’Italia è disseminata di turpi architetture firmate, l’emblema delle quali è, nel cuore di Roma, la teca dell’Ara Pacis di Richard Meyer. E ora, come tre vispe terese, arrivano Aulenti, Fuksas e Gregotti a protestare contro il cemento selvaggio. Si preoccupano; e magari fossero in malafede. No, sono semplicemente smemorati. Firmano in tre, risponderanno in tremila, cercheranno di garantirsi una immunità per distinguersi dagli speculatori; cercheranno di sollevare una questione morale, troveranno complici.

VITTORIO GREGOTTI

In Italia si arrestano, per associazione a delinquere, le Marchi madre e figlia, ma quelli che hanno distrutto le nostre città sono in prima fila contro Berlusconi per chiamarsi fuori, per scandalizzarsi. L’Associazione pedofili fonda un asilo e sarà bello leggere i nomi dei sottoscrittori. Il rischio del provvedimento del governo non va nascosto, non è da questo pulpito che vogliamo essere messi in allarme. Ma forse scopriremo domani che Repubblica ha inaugurato la rubrica giornalistica di «Scherzi a parte». 

D’altra parte gli architetti italiani hanno spesso determinato equivoci. Qualche tempo fa il grande regista Werner Herzog in visita a Sciacca vide il teatro della città in costruzione da più di trent’anni, e immaginò di tenerlo come scenografia di un’opera wagneriana facendolo saltare con la dinamite. Impresa impossibile per la quantità di cemento armato impiegato per la costruzione del mostruoso edificio che Herzog giudicò evidentemente voluto dalla mafia. Il sindaco convenne sulla visione immaginifica di Herzog ma non mancò di farmi notare che l’opera non era il progetto di un geometra locale ma del grande architetto Giuseppe Samonà professore di Urbanistica all’istituto universitario di architettura di Venezia.

Vedo ora, su Internet, che fra i nuovi firmatari dell’appello del trio c’è anche Pierluigi Cervellati, e questo mi rassicura. Spero ora che egli richiami i limiti della proposta del governo indicando nel trio degli architetti proponenti l’appello i responsabili e non le vittime dello scempio annunciato e da loro già realizzato.

 

 

Fonte: da Dagospia del 11-03-2009