Mar 02 2009

Pasquale Forte: il comasco che fa il pane con la farina del 1400

Category: Alimentazione e gastronomiagiorgio @ 20:02

Nel suo podere in Val d’Orcia di Siena, Pasquale Forte è riuscito a far germogliare i chicchi custoditi nella Banca dei semi.

Montezemolo l’ha insignito del «Ferrari Technology Award», ma lui sta lavorando per ripopolare un borgo medioevale

Nella sua azienda, in quel di Orsenigo, la Eldor Corporation, 35 anni di storia e 250 dipendenti, hanno inventato le “bobine intelligenti” che sono riuscite a risolvere il più grande cruccio di Luca Cordero di Montezemolo: la “detonazione” nei motori delle sue Ferrari.

Il colpo di genio è valso all’azienda comasca il «Ferrari Technology Award» che nelle motivazioni scrive: «…per l’innovativo progetto correnti ionizzanti che ha contribuito al miglioramento delle performance delle vetture Ferrari».

Lui, il premio è andato a ritirarlo, ma il giorno successivo è tornato in Val d’Orcia di Siena, perché lì, dove i motori delle Ferrari non si sentono, sta facendo crescere un granoturco spuntato da una manciata di semi del 1400, scovata alla Banca dei semi di Foggia.

Negli stabilimenti che stanno invece in Turchia, 400 dipendenti, stanno costruendo il primo scooter

ibrido della Piaggio che già a fine anno sarà in strada.

Lui però, ogni volta che torna dalla Turchia, fa tappa nel senese, perché lì ha piazzato una gru proprio nel bel mezzo di un borgo medioevale. È la prima volta che succede dal 1200 e lui ha tutta l’intenzione di far rinascere l’antica Rocca di Castiglione d’Orcia.

Lui è Pasquale Forte, 60 anni proprio oggi, un dna da imprenditore, una vita nell’alta tecnologia, ma soprattutto una grande passione per la terra.

Nelle vesti di industriale, o in quelle di contadino, la sua filosofia di vita è sempre la stessa: «Dobbiamo recuperare l’orgoglio di fare cose grandi e di farle al meglio».

E le cose grandi sono le Ferrari, ma anche la rinascita del borgo medioevale, la sfida sulle auto elettriche, ma anche i semi del ’400.

«Non è stato facile ottenere quei semi – racconta Forte – ma dopo tante insistenze, molte rassicurazioni e soprattutto la promessa di restituire analoghi chicchi, dopo la piantagione, sono riuscito ad ottenerli».

L’interlocutore era il direttore della Banca dei semi di Foggia, un tipo non facile da convincere, che all’ennesima telefonata si è fatto persuadere da una rassicurazione tutta giocata sull’emotività: «Direttore, le prometto che tratterò quei semi come dei bambini».

Quella frase lo convinse…. e il sacchetto con 50 granelli è subito partito da Foggia con destinazione il podere di Castiglione d’Orcia.

Oggi – afferma Forte – da quel grano sta nascendo un pane che profuma di pane.

Ha gli aromi della terra, che ormai non riusciamo più a percepire negli alimenti che consumiamo normalmente». Le farine ogni settimana partono per la Val d’Aosta dove tal Eugenio Pol, un panettiere che fa ancora i lieviti usando l’acqua della fonte, riesce a produrre un pane d’altri tempi.

Il grano che profuma di antico è, comunque, una sfida ormai vinta, il borgo medioevale da far rinascere, invece, è una scommessa tutta da giocare. Pasquale Forte, però, è già sicuro di vincerla, entro i prossimi cinque anni.

Da qualche tempo, infatti, su uno dei tetti di quelle case antiche, aggrappate alla rocca di Tentennano, la fortezza che fino al 1418 fu il regno inespugnato di Cecco Salimbeni, gira una gru e, sotto, è al lavoro un gruppo di operai che sta tirando in piedi, con le stesse pietre, muri cadenti e soffitti sfondati. In quel borgo, dove il centro della piazza è ancora un pozzo con l’acqua potabile in fondo, oggi vivono non più di 40 persone, per la maggior parte anziani: sono gli ultimi discendenti di un villaggio, che nel 1207 contava 1500 persone, che lì ha lasciato ancora intatte le sue tracce e che lui, comasco con la Toscana nel cuore, vuole far continuare a vivere.

«È un bellissimo borgo che sembra uscito dalle favole – racconta Forte – va solo risistemato e reso nuovamente abitabile da persone amanti della natura e soprattutto del buon vivere.

Il mio progetto è quello di far crescere la piccola comunità esistente, inserendo soprattutto famiglie giovani che possano dare un futuro a questo luogo».

Il lavoro dei prossimi anni è già, di fatto, pianificato.

«Cercheremo di ripopolare le vecchie case abbandonate – aggiunge – mi piacerebbe che qualcuno aprisse qualche bottega, un negozio di alimentari, qualche piccola attività artigianale, un ristorante tipico in grado di diventare anche una attrazione turistica, una falegnameria, un carpenteria.

E poi le piazze potrebbero tornare ad essere lo scenario naturale per concerti, momenti culturali, ma anche semplicemente di incontro della gente del paese».

«Per ricreare e far vivere un paese servono poche cose – prosegue – e sono ancora quelle che fondavano l’esistenza degli antichi borghi, cioè le arti, i mestieri e i commerci.

Se riusciamo a far ripartire arti, mestieri e commerci, il borgo rinasce e io sono certo che costruire una comunità così non sia un’utopia. Anzi, verrà presto il giorno in cui alla Rocca tornerà a nascere un bambino.

Quello sarà il segno che questo borgo ha ripreso davvero a vivere e potrà cominciare a scrivere una nuova pagina del suo futuro».

In passato Rocca d’Orcia ha già avuto il vanto di scrivere pagine che hanno segnato il futuro della società.

Nella fortezza è infatti ancora conservata la “Charta libertatis”, datata 1207. È un manoscritto che riporta il patto stipulato tra i signori proprietari della rocca e la gente che viveva e lavorava nelle terre circostanti.

In quella Carta si stabilivano, per prima volta nella storia d’Italia, i diritti, i doveri e le leggi che avrebbero governato il rapporto tra il popolo e i signori, un documento che null’altro è se non un primo esempio di carta costituzionale per un ordinamento democratico della società.

Il pane nato con i semi del 1400 e il paese che rinasce dentro un borgo del 1200, sono un pezzo di mondo che sembra un altro mondo. Eppure sono semplicemente le ultime due sfide nate intorno a un podere, che Forte ha acquistato nel 1997, quando, dopo una vita di impegno nell’industria della componentistica elettronica è tornato alla passione contadina, retaggio della primissima giovinezza.

Oggi il Podere Forte è diventato un’azienda agricola che si estende per oltre 140 ettari, circa un milione e 400 mila metri quadrati, proprio nel cuore della Val d’Orcia, sulle colline senesi, un’area incontaminata della natura toscana, definita dall’Unesco “Patrimonio dell’umanità”.

E un ricorrersi di colline che cambiano colore a seconda delle coltivazioni, delle stagioni e del tempo, unite da minuscole e polverose strade sterrate di color bianco che compaiono e scompaiono tra le balze, coperte di oliveti e i lunghi filari di vigna.

Oggi, il Podere Forte è diventato famoso perché i suoi vini sono classificati tra i migliori vini d’Italia, da tutte le principali guide enogastronomiche e lui, Pasquale Forte, si è messo in testa di portare il Petrucci tra i primi dieci vini al mondo. «È un obiettivo che mi sono prefisso entro il 2012 – afferma – e mi sto sempre più convincendo che sia possibile».

Il cuore del podere, oggi sono i vigneti, gli uliveti, l’orto botanico, l’allevamento dei maiali di cinta senese, da cui nascono pregiati salumi, il gregge di pecore, la piccionaia, l’allevamento di polli, i campi a grano, a cereali, a foraggi, una piccola tartufaia, ma sul fondo della collina, dove le pendici si perdono dentro un lago artificiale, da qualche tempo è comparsa anche una presenza tipicamente comasca.

«Abbiamo popolato quelle acque con le alborelle portate dal lago di Como – spiega – appena si saranno ambientate, inseriremo il loro naturale predatore, il pesce persico.

Libereremo qualche airone, qualche coppia di germani e in quel modo avremo ricreato un equilibrio

naturale che permetterà lo sviluppo successivo dell’intera fauna del lago».

Il podere-azienda e la rinascita del borgo medioevale di Rocca d’Orcia sono sfide ancora aperte. Il pane con i semi del 1400 è invece una scommessa ormai ampiamente vinta.

Periodicamente, dal podere di Castiglione d’Orcia partono infatti sacchi di farina con destinazione il fornaio della Val d’Aosta. Lì diventano pane che, altrettanto periodicamente, prende il volo per il Nord Europa e per New York.

Sì, proprio l’America, perché qui, noi, continuiamo ad andare pazzi per le fette biscottate del Mulino Bianco.

Fonte: Corriere di Como del 20 gennaio 2008

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