Mar 13 2009

i nemici di Internet

Si intitola “I Nemici di Internet”, ed è una sorta di guida ragionata ai luoghi ed i modi della censura online. A stilarla, gli attivisti di Reporters Sans Frontières (RSF), che descrivono un mondo sempre più minacciato dal cybercontrollo. Nei paesi sotto dittatura e non solo.

“Con il pretesto di proteggere la morale, la sicurezza nazionale, la religione e le minoranze etniche, e talvolta persino il potenziale spirituale culturale e scientifico del paese, molti paesi ricorrono al filtraggio della rete per bloccarne parte dei contenuti” denuncia RSF nell’introduzione al documento (disponibile qui in versione integrale).

E dopo questa prolusione generale, gli autori del documento fanno nomi e cognomi dei cattivi, stilando una “Top12” dei paesi meno virtuosi e dedicando ad ognuno una scheda sinottica, completa di dati, riferimenti legislativi ed episodi notevoli in materia di censura digitale.

In cima alla lista si colloca la Cina. È qui che si trova la macchina di controllo più robusta e capillare, con oltre 40000 funzionari pubblici pagati per monitorare le comunicazioni online, quasi 50 persone in prigione per reati legati alla cyber-espressione ed un Ministero dell’Informazione onnipresente.

Ma Vietnam e Siria, che con la Cina condividono il “podio”, non se la cavano male neppure loro. Nel paese mediorientale, spiega RSF, il governo ha inibito l’accesso a una serie ampia di siti – tra cui YouTube, Amazon e Facebook – ed ha imprigionato almeno cinque persone per “reati di espressione” legati a quanto scritto online. In Vietnam, invece, le autorità hanno creato una forza di cyber-polizia dedicata in modo esclusivo al controllo su Internet, mentre il Ministro dell’Informazione ha così commentato l’impiego dei mezzi di espressione individuale: “I blog sono spazi dedicati alle notizie personali. Se un blogger li usa per le notizie pubbliche, alla maniera degli organi di stampa, sta infrangendo la legge e sarà punito”.

L’imprigionamento dei blogger e il restringimento del range di siti raggiungibili non sono comunque le uniche strategie di limitazione della libertà impiegate, denuncia ancora il report. Di recente, governi come quello cinese hanno cominciato a “orientare” la discussione su blog e social network con commenti comandati dall’alto (il cosiddetto astroturfing), mentre altri hanno preso ad impiegare gruppi di hacker per colpire i nemici interni ed esterni.

Della lista dei “più cattivi” fanno parte, oltre ai paesi già menzionati, anche Cuba, Egitto, Myanmar, Iran, Corea del Nord, Arabia Saudita, Tunisia, Turkmenistan, Uzbekistan. Nel complesso, spiega RSF, sono oltre 70 le persone in prigione per “reati di espressione” commessi in rete.

Dopo aver completato la disamina sui dodici least wanted, poi, il report esamina la situazione dei paesi ritenuti “a rischio”. E qui arrivano altre sorprese. Perché in questo secondo gruppo si trovano tra gli altri anche due paesi – la Corea del Sud e l’Australia – che si potrebbero ritenere delle democrazie compiute. Ed invece, argomenta RSF, anche qui le autorità hanno introdotto delle misure legislative che potrebbero attentare alla libertà di espressione online.

La cronaca degli ultimi anni ha visto un aumento costante dei tentativi di controllo e censura governativa nei confronti di Internet, in moltissime parti del mondo. Alcuni paesi, come ad esempio la Cina, sono arrivati a difendere pubblicamente l’esigenza di censurare la comunicazione online, e si sono verificati talvolta effetti perversi come l’autocensura da parte degli stessi cittadini della rete.

Fonte: srs di Giovanni Arata Venerdì  13 maggio 2009


Mar 13 2009

Robespierre: Discorso contro la pena di morte

Category: Cultura e dintorni,Giustizia Legula e Leguleigiorgio @ 10:47

Questo testo è un bellissimo esempio di umorismo involontario che, di fronte al Terrore che Robespierre scatenerà poco dopo, assurge ai vertici del tragicomico. Credo che non ci sia migliore argomento di questo discorso per dimostrare la stupidità di certe posizioni ideali, tutte fatte di belle, ma vuote parole, di concetti astratti privi di ogni contenuto, di fantasticherie filosofiche di buoni a nulla, convinti di poter spiegare e dirigere il mondo solo perché parlano. Poi la realtà, molto dura e molto cruda, prevale e ci costringe a constatare che i problemi non si risolvono con le chiacchiere, che il male si vince solo col male, che il buonismo serve solo a far prevalere i prepotenti e gli sfruttatori.


Robespierre fa il paio con Cesare Beccaria, a cui di certo si è ispirato, il quale (come racconta il Foscolo nella lettera 7-5-1887 alla Albrizzi, sulla base di quanto dettogli dalla sorella, dal fratello e dalla figlia dello stesso Beccaria, e come riferisce anche Byron) dopo aver scritto cose altamente ideali sulla pena di morte, quando sospettò un servo di avergli rubato un orologio, pretendeva che gli venissero dati “i tratti di corda” per farlo confessare.


Cose del tutto normali quando il filosofo ispiratore è quel gran farabutto che fu Rousseau.


Che le grandi professioni di ideali di taluni siano solo un tentativo di mascherare la propria ignominia interiore dietro belle parole e buoni propositi, utili per adescare o confondere sciocchi?


Nella discussione sul Codice penale, l’Assemblea Costituente si era fermata a una domanda della filosofia e del diritto: la pena di morte doveva essere conservata o abolita?


Lepelletier di Saint-Fargeau aveva presentato un rapporto nel quale si dichiarava partigiano dell’abolizione della pena di morte; nondimeno però egli la manteneva in un solo caso: contro un capo di partito dichiarato ribelle da un decreto del Corpo Legislativo. 


Lepelletier di Saint-Fargeau aggiungeva: “Questo cittadino deve cessare di vivere, non tanto per espiare il suo delitto, quanto per la sicurezza dello Stato. ” 


Robespierre, il 30 maggio 1791 parlò su questo fatto nella seduta del 30 maggio 1791. E fu per chiedere la soppressione assoluta della pena di morte.


Non fu che nella seduta di mercoledì 10 giugno che l’Assemblea si pronunciò.  Si decise, e quasi all’unanimità, di non abrogare la pena di morte.


Nota: Questo testo è stato pubblicato nella “Raccolta di Breviari Intellettuali ” dell’UTET, nella traduzione di Alberto Blanche.

 

“Essendo stata portata ad Atene la notizia che nella città di Argo erano stati condannati a morte alcuni cittadini, il popolo si recò nei templi per scongiurare gli dei onde distogliessero gli Ateniesi da pensieri così crudeli e così funesti.

Io vengo a pregare non gli dei, ma i legislatori, che debbono, essere gli organi e gli interpreti delle leggi eterne che la Divinità ha dettate agli uomini, di cancellare dal Codice dei Francesi le leggi di sangue che comandano i delitti giuridici, e che vanno contro le loro nuove abitudini e la loro nuova costituzione. Io voglio provàr loro: 1° che la pena di morte è essenzialmente ingiusta; 2° che essa non è la più reprimente delle pene, e, più che impedire i delitti li moltiplica.

Fuori della società civile, se un nemico accanito viene ad attentare ai miei giorni, e, respinto venti volte, ritorna a distruggere il campo che le mie mani hanno coltivato, poiché io non posso che opporre le mie forze individuali alle sue, bisogna che io perisca o che uccida, e la legge della difesa naturale mi giustifica e mi approva.

Ma nella società, quando la forza generale è armata contro un solo individuo, qual principio di giustizia può autorizzare a dar la morte? Quale necessità può assolverla? Un vincitore che fa morire i suoi nemici, presi prigionieri è chiamato barbaro! Un uomo che fa sgozzare un bambino, ch’egli può disarmare e punire, parrebbe un mostro! Un accusato che la società condanna non è per essa che un nemico vinto ed impotente; le è dinanzi un uomo adulto, ma più debole di un fanciullo.

Così agli occhi della verità e della giustizia, queste scene di morte che essa ordina con tanto d’apparecchio, non sono altro che vili assassinii, che dei delitti solenni, commessi, non dagli individui, ma dalle nazioni intiere, con delle forme legali.

Per quanto crudeli, per quanto stravaganti sieno queste leggi, non meravigliatevi più. Sono l’opera di qualche tiranno; sono le catene che opprimono la specie umana; sono le armi con le quali la soggiogano; esse furono scritte col sangue. “Non è, affatto permesso dare la morte a un cittadino romano. ” Tale era la legge che il popolo aveva sostenuto: ma Silla vinse e disse: Tutti coloro che si sono armati contro di me sono degni di morte. Ottavio ed i compagni suoi di delitti confermarono questa legge. Sotto Tiberio, aver lodato Bruto fu un delitto degno di morte. Caligola condannò a morte coloro che erano tanto sacrileghi da svestirsi dinanzi all’immagine dell’Imperatore. Quando la tirannia ebbe inventato i delitti di lesa maestà, che erano o delle azioni indifferenti o degli atti eroici, chi avrebbe osato pensare che potevano meritare una pena più dolce della morte, a meno di render sé stesso colpevole di lesa maestà?

Il fanatismo, nato dall’unione mostruosa dell’ignoranza col despotismo, allorché inventò a sua volta i delitti di lesa maestà divina, quando concepì nel suo delirio di vendicare Iddio, volle esso pure offrire del sangue, mettendosi al livello dei mostri.

La pena di morte è necessaria, dicono i partigiani degli antichi barbari usi; senza di essa non ci sono freni abbastanza potenti contro i delitti. Chi ve lo ha detto? Avete calcolato tutte le specie di mezzi con i quali le leggi penali possono agire sulla sensibilità umana? Ahimè! prima della morte, quanti dolori fisici e morali l’uomo deve soffrire! Il desiderio di vivere si inchina davanti all’orgoglio, la più imperiosa delle passioni che il cuore umano; la più terribile di tutte per l’uomo sociale, è l’obbrobrio, la schiacciante testimonianza dell’esecuzione pubblica.

Quando il legislatore può colpire i cittadini in tanti lati ed in tanti modi, come può credersi ridotto ad impiegare la pena di morte? Le pene non sono fatte per tormentare i colpevoli; ma per impedire il delitto, il quale teme appunto di incorrere nelle pene. Il legislatore che preferisce la orte e le pene atroci ai mezzi più dolci che sono in suo potere, oltraggia la delicatezza pubblica, affievolisce il senso morale nel popolo ch’egli governa, come un poco abile precettore che, coll’uso frequente di modi crudeli abbrutisce e degrada l’animo del suo allievo, il legislatore abusa ed indebolisce le energie del governo, volendo troppo piegare l’arco del potere. Il legislatore che stabilisce questa pena rinuncia a quel principio salutare, che ” il mezzo più efficace per reprimere i delitti è quello di adattare le pene al carattere delle differenti passioni che causano il delitto”, e di punirle, per così dire. per sé stesse. Esso confonde tutte le idee, turba tutti i rapporti e contraria apertamente lo scopo delle leggi penali.

La pena di morte è necessaria, dite voi! Se è così, perché parecchi popoli hanno saputo farne a meno? Per quale fatalità questi popoli sono stati i più saggi, i più felici, i più liberi? Se la pena di morte è la più appropriata per prevenire i grandi delitti, bisogna dunque che essi sieno stati molto rari presso i popoli che l’hanno adottata e prodigata. Invece accade precisamente tutto il contrario.

Guardate il Giappone: in nessuna parte del mondo si è tanto prodighi della pena di morte, si è tanto prodighi di supplizi; in nessuna parte del mondo i delitti sono così frequenti e cosi atroci. Si direbbe che i Giapponesi vogliono disputare di ferocia con le leggi barbare che oltraggiano e che irritano. Le repubbliche della Grecia, ove le pene erano molto moderate, e dove la pena di morte era infinitamente rara o sconosciuta, forse che avevano più delitti e meno virtù dei paesi governati da leggi sanguinarie? Credete voi che Roma fosse funestata da un maggior numero di delitti, quando, nei giorni della sua gloria, la legge Porcia ebbe distrutte le pene severe portate dai re e dai decemviri, di quanti se ne consumavano quando Silla le fece rivivere, e sotto gli imperatori che ne elevarono il rigore ad un eccesso degno della loro infame tirannide? La Russia è stata forse sconvolta, dacché il despota che la governa ha intieramente soppressa la pena di morte, come s’egli volesse espiare con questo atto di umanità e di filosofia il delitto di tenere dei milioni di uomini sotto il giogo del potere assoluto?

Ascoltate la voce della giustizia e della ragione; essa ci grida che i giudizi umani non sono mai abbastanza certi, perché la società possa condannare a morte un uomo condannato da altri uomini soggetti ad errare. Se anche voi aveste immaginato il più perfetto ordinamento giudiziario, se aveste trovati i giudici più integri e più illuminati, sarà sempre possibile un errore, non evitereste assolutamente la prevenzione.

Perché impedire il mezzo di riparare? Perché condannate all’impossibilità di tendere una mano soccorritrice all’innocente oppresso? Che importano gli sterili rimpianti, le riparazioni illusorie che voi accordate ad un’ombra vana, ad una cenere insensibile? Essi sono tristi testimonianze della barbara temerità delle vostre leggi penali. Togliere all’uomo la possibilità di espiare il suo malfatto col pentimento o con degli atti di virtù, chiudergli senza pietà il ritorno alla virtù, alla stima di sé stesso, adoperarsi per farlo più presto scendere, per così dire, nel sepolcro ancora tutto avvolto dalla macchia recente del suo delitto, è ai miei occhi una delle più raffinate crudeltà.

Il primo dovere del legislatore è di formare e di conservare gli usi pubblici sorgenti di tutte le libertà, sorgenti di tutta la felicità sociale; allorché per giungere ad uno scopo particolare, egli si allontana da questo scopo generale ed essenziale, commette il più grossolano ed il più funesto degli errori.

Bisogna dunque che le leggi presentino sempre ai popoli il modello più puro della giustizia e della ragione. Se, al posto della severità potente, della calma moderata che deve caratterizzarle, esse mettono la collera e la vendetta; se esse fanno colare del sangue umano che possono risparmiare e che non hanno diritto di spargere; se esse espongono agli occhi del popolo scene crudeli e cadaveri martoriati dalle torture, allora alterano nel cuore dei cittadini le idee del giusto e dell’ingiusto, allora fanno germogliare nel seno della società dei pregiudizi feroci che alla loro volta ne producono degli altri.

L’uomo non è più per l’uomo un oggetto altamente sacro, si ha una idea meno grande della sua dignità, quando l’autorità pubblica si ride della vita umana. L’idea dell’assassinio ispira meno spavento, quando la legge stessa ne dà l’esempio e lo spettacolo; l’orrore del delitto scema, poiché lo si punisce con un altro delitto. Guardatevi bene dal confondere l’efficacia delle pene con l’eccesso della severità; l’una è assolutamente l’opposta dell’altro. Tutto asseconda le leggi moderate, tutto cospira contro le leggi crudeli. 
Si è osservato che nei paesi liberi i delitti erano più rari, perché le leggi penali eran più dolci. I paesi liberi sono quelli nei quali i diritti dell’uomo sono rispettati, e dove di conseguenza le leggi sono giuste.

Dappertutto dove esse offendono l’umanità con un eccesso di rigore, si ha la prova che la dignità dell’uomo non è conosciuta, che quella del cittadino non esiste; si ha la prova che il legislatore non è che un padrone che comanda a degli schiavi, e che li colpisce spietatamente seguendo la sua fantasia.

Io concludo perché la pena di morte sia abrogata.

(Maximilien-François-Marie-Isidore de Robespierre)

 

Fonte: http://www.geocities.com/Athens/Olympus/3656/index.htm


Mar 13 2009

Parigi lustra la ghigliottina

Presso l’Assemblea Nazionale francese sono ore di dibattito: si sta discutendo del futuro della gestione dei diritti di proprietà intellettuale online, si sta tracciando un solco nel quale gli attori del mercato dovranno muovere per difendere la propria attività. La dottrina Sarkozy attende di essere avallata dalle istituzioni.

Al senato era passata all’unanimità, fatta eccezione per l’astensione di sparuti rappresentanti dei cittadini. La loi Création et Internet è ora all’esame dell’Assemblée Nationale. L’obiettivo, ha spiegato del ministro della Cultura Christine Albanel, è quello di dissuadere i cittadini della rete dall’abusare della connettività: “se il downloading illegale si riducesse del 60 o del 70 per cento sarebbe una grande vittoria”. Le armi che la legge potrebbe consegnare nelle mani dell’industria dei contenuti per tutelare mercato e legalità, armi che l’industria dei contenti ambisce ad imbracciare in mezzo mondo, sono missive e ghigliottine sulla connessione. Il primo avvertimento potrebbe giungere a mezzo email: una misura che dovrebbe scoraggiare molti dei downloader. Nel caso in cui entro sei mesi l’industria si trovi a riscontrare una nuova violazione in capo all’indirizzo IP dietro a cui si cela l’abbonato, il provider si troverà a dover recapitare una seconda ingiunzione. Il terzo avvertimento potrebbe arrivare per posta, con una raccomandata con ricevuta di ritorno.

Dopo la terza notifica, la disconnessione: i provider non dovranno concedere connettività a coloro che si siano macchiati di violazioni del diritto d’autore. Le pene potrebbero oscillare da un mese ad un anno: a comminarle, l’Haute Autorité pour la diffusion des ?uvres et la protection des droits sur Internet (Hadopi), l’autorità indipendente posta a presidio della ghigliottina francese. Non sarà l’autorità giudiziaria a fare da filtro tra i detentori dei diritti e i cittadini della rete: se il disegno di legge dovesse entrare in vigore, all’industria dei contenti basterà rastrellare indirizzi IP e chiedere all’Hadopi di intercedere presso i provider. Gli ISP potrebbero essere costretti a consegnare il nome dell’intestatario dell’abbonamento a cui è riconducibile l’indirizzo IP colto in fallo dall’industria, il cittadino potrà patteggiare o fare ricorso rivolgendosi all’autorità giudiziaria. Le autorità ritengono che l’individuazione e la punizione di un indirizzo IP sia la strada da battere, nonostante la stessa magistratura francese abbia riconosciuto che l’IP non consenta di delimitare una responsabilità individuale. Una volta identificato e avvertito l’intestatario dell’abbonamento, questa la dinamica che i relatori della legge prevedono si inneschi, sarà lui stesso ad operare il controllo e un’azione dissuasiva nei confronti dei fruitori della connettività che mette a disposizione, siano essi pargoli irretiti dalla rete o infidi piggybacker.

Non è ancora chiaro quanto costerà innescare il meccanismo di risposta graduale: le istituzioni meditano di stanziare 15 milioni di euro per sostenere le attività dell’autorità, ma la ripartizione dei capitoli di spesa sembra ancora da discutere. I provider potrebbero essere gli anelli della catena più penalizzati: si stima che possano dover spendere oltre 30 milioni di euro per sostenere il proprio ruolo di boia a tutela del diritto d’autore. Sembrerebbe trattarsi di un contrappasso: la motivazione di un alto tasso di pirateria, ha denunciato il ministro Albanel, sarebbe da imputare alle offerte di banda illimitata messe a disposizione degli ISP.

Sono finora oltre 400 gli emendamenti depositati. Una volta illustrato il testo della legge, l’Assemblea Nazionale passerà al vaglio le altre istanze proposte. C’è chi ambisce ad abolire i sistemi DRM, una volta che le violazioni siano scoraggiate con la minaccia della disconnessione, c’è chi vorrebbe scongiurare il rischio che agli intermediari venga imposto l’onere di filtrare i contenuti in rete, c’è chi sembrerebbe invece voler imporre ai gatekeeper della rete di incanalare i cittadini verso offerte legali messe in campo per contrastare i traffici illeciti. Con ogni probabilità si deciderà solo dopo la fine del mese di marzo.

Se il dibattito parlamentare si sopirà e verrà rimandato di settimane per lasciare spazio ad altre priorità, il confronto fuori dall’Assemblea infuria. La spaccatura non risparmia la stessa maggioranza: “Internet non è un giocattolo – ha denunciato Lionel Tardy, deputato dell’UMP, facendo riferimento all’orientamento espresso in sede europea – ma un servizio universale”. Per questo motivo Tardy chiede la mediazione dell’autorità giudiziaria: solo un magistrato può decidere di delimitare la libertà di esprimersi e di informarsi che spettano al cittadino. Sulle sanzioni vertono inoltre numerose delle critiche mosse alla loi Création et Internet: c’è chi ritiene la disconnessione una misura troppo radicale, e propone di convertirla in un’ammenda, garantendo così l’accesso a servizi di utilità fondamentale.

I cittadini della rete, nel contempo, organizzano la mobilitazione e tentano di insinuare nel Palazzo il concetto di licenza globale per accedere alle opere, che garantirebbe la possibilità di attingere a flussi di contenuti senza per questo privare i detentori dei diritti dell’equo compenso che spetta loro. Basterebbero tra i due e i sette euro al mese, spiega Philippe Aigrain, cofondatore dell’associazione a tutela dei diritti dei netizen La Quadrature du Net: qualora aderissero 18 milioni di utenti si potrebbe ricompensare abbondantemente tutta la filiera dell’audiovisivo.

Fonte: srs di Gaia Bottà, da Punto informatico del 13,aprile,2009


Mar 13 2009

Wikipedia cede al diritto d’autore italiota

Roma – Se ancora li avesse, probabilmente anche Fuksas si metterebbe le mani nei capelli. Secondo quanto deciso da amministratori ed utenti di Wikimedia Commons e della Wikipedia italiana, infatti, le fotografie delle sue opere – assieme a quelle di un nutrito numero di colleghi – vanno eliminate dalla nota enciclopedia telematica a causa del diritto d’autore. L’intera architettura contemporanea e moderna italiana, perciò, rischia di non poter essere raffigurata nella più grande enciclopedia del mondo, col pesante danno per i beni culturali italiani che questo comporta.

 

Mentre il Brunelleschi se la rideva dal suo sepolcro in Santa Maria del Fiore, già nel gennaio 2007 la Soprintendenza per il Polo Museale fiorentino pensava bene di diffidare l’uso “in modo non autorizzato di immagini di opere conservate nei musei statali di Firenze”, inviando una lettera formale tramite il sistema OTRS alla Wikimedia Foundation (che gestisce tutti i progetti intorno a Wikipedia).

 

Da allora si è animato un ampio dibattito, fino ad arrivare alla sofferta decisione di eliminare le fotografie raffiguranti opere architettoniche in Italia di progettisti ancora in vita, o morti da meno di 70 anni (come previsto dalla Legge 633/1941 sul diritto d’autore). Questo perché la legislazione italiana, a differenza di molti altri paesi, non contemplerebbe il cosiddetto panorama freedom (libertà di panorama), che permette a chiunque di fotografare e riprodurre quanto pubblicamente visibile senza preoccuparsi di dover trovare il progettista e pagargli i diritti d’autore.

 

La prossima volta che fotografiamo la Stazione Centrale di Milano in una calda sera estiva, quindi, oltre a dover fare attenzione a non essere rapinati, sarà meglio verificare che non ci siano nelle vicinanze funzionari della SIAE. Anche le opere dell’architettura (come quelle della pittura, del disegno, della fonografia…), infatti, sono protette dalla legge sul diritto d’autore (Artt. 2 e 13). Di conseguenza, solo gli autori originali avrebbero il diritto esclusivo di riprodurle, in qualsiasi forma: inclusa quella fotografica. La violazione vera e propria (l’uso per scopo personale è consentito), nasce nel momento in cui la fotografia viene caricata su un sito ad accesso pubblico e dotata di una licenza libera, diventando potenzialmente riproducibile anche con fini commerciali. Questa è esattamente la filosofia Wikipedia.

 

Dello stesso avviso è il prof. Enrico Santarelli, ordinario di Politica Economica ed Economia industriale dell’università di Bologna, a cui abbiamo chiesto un parere in proposito. Secondo Santarelli, “la questione, ovviamente, si pone qualora i titolari del diritto intendano farlo valere”.

 

Punto Informatico: Wikipedia (anche quella italiana) si trova su server posti negli Stati Uniti, ove è in vigore la dottrina del “fair use”. Posto questo, crede sia legale la riproduzione fotografica di un’opera architettonica italiana su quei server?

Enrico Santarelli: È un questione complessa che evidenzia il problema – di cui prima o poi qualcuno dovrà occuparsi – della omogeneizzazione delle normative internazionali. È da tener presente che in materia di brevetti, ad esempio, il mancato completamento delle procedure di definizione di un “brevetto europeo” fa sì che in sede di enforcement (quasi) ciascun paese dell’ Unione europea segua procedure diverse. Tornando al caso specifico, credo che gli aventi diritto possano comunque chiedere di oscurare quel sito estero nel paese in cui la normativa non contempla la dottrina del “fair use”.

 

PI: Il nucleo della Legge sul diritto d’autore in Italia risale addirittura al 1941. Si può affermare che sia sostanzialmente arretrata rispetto al quadro mediatico e tecnologico configuratosi negli ultimi anni?

ES: Le attuali tecnologie dell’informazione e della comunicazione rendono imprescindibile una omogeneizzazione delle normative a livello internazionale. In questo caso, parlerei di una ineluttabilità della globalizzazione delle norme a tutela del copyright.

 

Quindi, a meno di un diretto pronunciamento degli interessati o di un’improbabile modifica della legge sul copyright, il destino dell’architettura moderna italiana su uno dei dieci siti più visitati al mondo, pare segnato. L’Auditorium Parco della Musica di Roma, la Fiera di Milano, la Stazione Centrale, il palazzo del rettorato de La Sapienza di Roma, le stazioni della metropolitana di Napoli, il Pirellone, la nuova chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo… scompariranno a breve dalle Wikipedie internazionali: per la gioia del turismo italico, della promozione dei beni culturali, e di quei 60 milioni di utenti che ogni giorno visitano Wikipedia nelle varie lingue. L’ironia maggiore sta nel fatto che un’opera di un architetto italiano collocata, ad esempio, in Germania, può tranquillamente essere riprodotta, poiché la legge tedesca – come la maggioranza degli stati europei – prevede la succitata “libertà di panorama”.

 

Così, mentre la stessa Germania finanzia lo sviluppo di Wikipedia, l’Italia la diffida dall’uso di fotografie di quadri presenti nei propri musei e si trova senza le immagini di tutte le opere architettoniche moderne presenti nel proprio territorio. In attesa di trovare il classico cavillo legale che risolva la situazione, fra mandolini, pizza e maccheroni.

 

Fonte: srs di Luca Spinelli da Punto informatico lunedì 02 luglio 2007


Mar 13 2009

Fotografare nei musei

 

Fotografare i quadri e le opere d’arti nei  musei italiani è vietato perché “si rovinano”, al Louvre di Parigi invece si può…

Della serie,  vivere   nel paese delle balle.