Mar 11 2009

L’Iran… no, e’ l’Italia a presentare un emendamento per bandire Facebook

Category: Media e informazione,Società e politicagiorgio @ 19:37

 

Pubblicato martedì 24 febbraio 2009 in Olanda

[de nieuwe reporter]

 

L’UDC e’ il partito ‘di opposizione’ della destra con piu’ deputati perseguiti penalmente. Giampiero D’Alia, senatore del partito, ha recentemente redatto l’emendamento 50bis per mezzo del quale siti come Facebook e Youtube potrebbero essere chiusi sul territorio nazionale su richiesta del Ministero degli Interni. L’emendamento e’ stato approvato come parte del grande pacchetto sicurezza del governo italiano.

Il network Facebook cresce in maniera velocissima in Italia. Un grafico mostra la crescita esponenziale di Facebook comparandolo a Myspace, Blogger e Splinder. Il sito contava 4.149.320 registrazioni a novembre dello scorso anno, mentre nel febbraio di quest’anno e’ cresciuto del 55,59%, fino a 6.455.960 registrazioni.

La comunita’ italiana di Facebook mostra un vivace e intricato groviglio di contatti. Gli studenti italiani hanno spesso usato Facebook lo scorso autunno per le loro proteste contro i cambiamenti nel sistema scolastico. Un programma TV su Gaza in cui un giornalista se ne era andato via arrabbiato, ha comportato numerose reazioni sul sito. Nel frattempo la questione di Eluana Englaro, sfruttata dalle logiche politiche e del vaticano in modo estremo, e’ stata a lungo discussa anche su Facebook mentre sono stati inseriti online ‘testamenti biologici’ come conseguenza della tragedia di Eluana.

Pacchetto sicurezza

L’emendamento 50bis di D’Alia e’ parte del piu’ grande ‘pacchetto sicurezza’ che in passato ha reso possibile la presenza dell’esercito e polizia extra a Napoli e in altre zone, e che prevede sull’isola di Lampedusa una sorta di Alcatraz per immigranti illigali.  Il parlamentare motiva il suo emendamento nominando siti come Facebook in cui nei mesi scorsi sono comparsi gruppi che idolatrano mafiosi di primo ordine come i siciliani Toto’ Riina e Bernardo Provenzano e il camorrista napoletano Cutolo, o la organizzazione terroristica delle Brigate Rosse. Questi gruppi non contano che circa duecento membri. Gli altri gruppi italiani con decine di migliaia di soci su Facebook portano invece nomi di famosi giudici uccisi dalla mafia.

In un’intervista con il settimanale L’Espresso il senatore D’Alia ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Nel caso di simili contenuti dannosi il ministero intimera’ il provider che avra’ pertanto due possibilita’: o accettare, e quindi cancellare i contenuti indicati, o non farlo. Nell’ultimo caso diviene complice di chi inneggia a Provenzano e Riina, e si da’ ragione pertanto della soppressione del sito.[…] Lo stesso vale per i video su Youtube, che concernono lo scambio di offese e minacce tra gli utenti, e vale anche per i commenti sui blog”.

Protesta

Subito si sono formati gruppi di protesta su Facebook contro l’emendamento di D’Alia. Ma non sono le prime proteste italiane contro le limitazioni alla liberta’ di espressione sul web. E non sono nemmeno i primi tentativi per regolare la comunicazione digitale.

Infatti nel 2007 su iniziativa di un parlamentare, ancora dell’ UDC, fu oscurato un sito italiano. E’ accaduto a causa del gioco-video flash-based Operation Pedopriest. Il gioco nel 2007 e’ stata la provocatoria risposta dei mediartisti di Molleindustria al documentario della BBC ‘Sex, Crime and the Vatican’.

A giugno di quell’anno Luca Volonte’, all’epoca a capo dell’UDC al Senato, protesto’ presso tre ministri che il gioco aveva lo scopo di attaccare la Chiesa e il Papa Benedetto XVI. Richiese pertanto ai ministri di prendere dei provvedimenti urgenti in modo che la liberta’ d’espressione non diventasse un alibi per giustificare l’offesa di sentimenti umani e religiosi e soprattutto della religione cattolica.

l Ministero degli Interni fece sapere che il sito era stato gia’ ispezionato dalla giustizia, e gli artisti tolsero il loro sito dal web, “per non peggiorare la situazione del nostro web provider, che è responsabile legalmente per tutto il contenuto’. Dopodiche’, come era prevedibile, il gioco e’ rimbalzato ed e’ stato copiato in Italia e all’estero.

Un mese piu’ tardi e’ stato registrato un dominio online dal nome lucavolonte.eu per una parodia, una copia quasi esatta del sito di Volonte’, con l’Operazione Pedopriest ben in vista.

Il sito e’ stato prontamente chiuso a causa della ’sostituzione di persona e calunnia a mezzo stampa’. Ma non e’ ancora finita, perche’ ora il sito si trova con la stessa parodia negli USA. Voci dicono che il PM italiano stia valutando se presentare una richiesta internazionale alle autorita’ americane.

Emigrazione

L’emendanmento 50bis comportera’ probabilmente nel contesto internazionale una emigrazione di siti e servers fuori dall’Italia, sull’esempio della crescente emigrazione di gente dal Paese.

Facebook e Google hanno intanto reagito in modo scosso all’emendamento 50bis di D’Alia. Marco Pancini di Google Italia ha detto alla stampa di non essere d’accordo con “queste leggi ad aziendam. [..] Qui si ha a che fare con reati di opinione”. Pancini fa sapere che “la polemica circola a livello internazionale e la cosa continua ancora.[..] C’e’ una corrente all’interno della politica contro l’industria internet e il mondo degli utenti” afferma Pancini. Facebook paragona l’emendamento ad un blocco dei binari a seguito di graffiti indecenti nella stazione.

La formulazione dell’emendamento trova origine nell’esigenza di combattere il culto dei mafiosi nei gruppi di Facebook ma in pratica avra’ il carattere di una censura vera e propria che si estendera’ anche a siti come Youtube. Le aziende della telecomunicazione sono ritenute responsabili della cancellazione dei contenuti incriminati con multe fino a 300.000 euro. Per il provider sara’ forse piu’ semplice chiudere un intero sito che andare in cerca di un aspetto di un contenuto illegale su una certa piattaforma.

Skype

Il prossimo mezzo di comunicazione digitale che diventera’ forse bersaglio del governo italiano e’ Skype. L’intercettazione telefonica di un trafficante di cocaina e’ sotto l’attenzione da un paio di mesi: ” Ne riparliamo di nuovo su Skype di quei due chili di cocaina”.

PS. In questo momento c’e’, sempre in relazione al ‘pacchetto sicurezza’ del governo italiano, un provvedimento per bandire le intercettazioni telefoniche nel corso di inchieste giudiziarie. I giornalisti e i giornali sono punibili (fino a 3 anni) se scrivono su persone indagate o nominano i magistrati legati all’inchiesta o, ancora, se informano su processi non ancora conclusi.

PPS. Gabriella Carlucci del PdL (il partito di Berlusconi) attraverso la proposta di legge 2195 vuole “assicurare la legalita su internet” per cui, secondo lei, il governo dovrebbe nominare un comitato che vigili che ogni testo online sia riferito riconducibile all’autore”. In altre parole, con tale proposta di legge si vuole che l’anonimato sulla rete giunga a termine. La proposta, nelle intenzioni di chi l’ha formulata, si vuole abbia valore anche fuori dai confini geografici italiani. La proposta non e’ ancora ufficiale, ma alcune parti circolano gia’ sul web.

 

Fonte: http://italiadallestero.info/archives/3981

[Articolo originale di Cecile Landman]  http://www.denieuwereporter.nl/2009/02/iran-nee-italie-regelt-facebook-ban-per-amendement/

 


Mar 11 2009

La Dea delle miniere di turchese del Sinai

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 08:07

Si dai tempi pre-dinastici, gli antichi Egizi andavano nella Penisola del Sinai per via terrestre, o attraversando il Mar Rosso, alla ricerca di minerali. I loro obiettivi principali erano il turchese e il rame, che si estraevano in quei luoghi.

Gli archeologi che esaminano le tracce, risalenti 8000 anni fa, hanno concluso che i più antichi insediamenti conosciuti nel Sinai sono proprio quelli dei minatori. 

Verso il 3500 a.C. furono scoperti i filoni di turchese a Serabit Al-Khadim. Circa 500 anni dopo, gli Egizi controllavano il Sinai ed avevano avviato una rete di operazioni minerarie a Serabit Al-Khadim, per estrarre grandi quantità di turchese. I materiali erano portati per il Wadi Matalla al porto di Al-Markha, a sud dell’attuale villaggio di Abu Zenima, e poi salpavano per mare.

Il turchese era molto apprezzato e divenne parte di un simbolismo rituale nelle cerimonie religiose dell’antico Egitto. In esso erano intagliati scarabei sacri e gioielli, o se ne facevano pigmenti per dipingere statuette, mattoni e bassorilievi sui muri.

Per estrarre  il turchese, gli Egizi praticavano ampie gallerie nella montagna. All’entrata erano scolpiti i ritratti dei Faraoni regnanti, come simbolo dell’autorità dello stato d’Egitto su quelle miniere.

Un tempio dedicato alla Dea Hathor fu costruito durante la XII Dinastia, quando Serabit Al-Khadim era il centro delle miniere di rame e di turchese ed un fiorente centro commerciale. E’ uno dei pochi monumenti faraonici conosciuti nel Sinai, è diverso da altri templi del periodo, contiene un gran numero di bassorilievi e di steli che presentano le date delle diverse missioni arrivate per estrarre  il turchese nell’antichità, col numero dei membri e la durata di ciascuna missione. Da una dinastia all’altra il tempio era ampliato e abbellito, e gli ultimi ampliamenti ebbero luogo durante la XX Dinastia.

Per raggiungere il tempio occorre attraversare una sequenza di 14 blocchi perfettamente intagliati, che formano un’anticamera, ed un piccolo pilone  prima di raggiungere il cortile centrale. Alla fine del cortile c’è il santuario con due grotte, dove gli dei Hathor e Sopdu erano adorati, e rimangono le loro immagini. Questa parte era accessibile solo ai sacerdoti del Faraone. Purtroppo, un tentativo britannico, nel periodo coloniale (sec. XIX), per riaprire le miniere, distrusse alcuni bassorilievi.

Il sito di Serabit Al-Khadim, posto su una montagna a quasi 900 m di altitudine, fu scoperto dall’archeologo inglese Flinders Petrie nel 1905. Petrie scavò alcune sculture, steli e oggetti sacrificali dell’epoca di Senefru (IV Dinastia).

Petrie trovò anche tracce di scrittura Proto- Sinaitica, una specie di antenato dell’attuale alfabeto. Quegli scritti, insieme ai geroglifici, indicavano i nomi dei minatori ed i loro lavori. Poi si sviluppo la scrittura alfabetica detta Proto-Cananea.

Il tempio di Serabit Al-Khadim ha una doppia serie di steli che conducono ad una cappella sotterranea, dedicata alla Dea Hathor. Molti erano i templi o santuari della Dea Hathor che, tra i propri attributi, era la patrona dei minatori di rame e di turchese. Come abbiamo visto, la prima parte del tempio di Hathor, che ha un cortile frontale ed un portico, è datata alla XII Dinastia e risale probabilmente al Faraone Amenemhet III, quando le miniere erano molto attive.

Diversi dipinti raffigurano Hathor nell’ascensione al trono nuovo Faraone, e nella sua divinizzazione. In una scena Hathor allatta il Faraone. In un’altra Hathor offre al Faraone il simbolico ankh, chiave di vita.

Il tempio fu poi ampliato durante il Nuovo Impero, niente di meno che dalla Regina Hatshepsut, insieme a Tuthmosis III e Amenhotep III. Fu un periodo di rinascita per le miniere, dopo un temporaneo declino durato nel secondo Periodo Intermedio. Non sono comuni questi tipi di ampliamento dei templi, ad ovest della struttura primitiva.

A nord del tempio c’è un santuario dedicato ai Faraoni divinizzati. Lungo un muro sono disposte numerose steli. Più a sud del tempio principale c’è un santuario più piccolo dedicato a Sopdu, dio del Deserto Orientale.

Attualmente è in corso il restauro e lo studio di tutto il sito, per renderlo visitabile ai turisti. Mohamed Abdel-Maqsoud, capo dell’amministrazione centrale delle antichità del Basso Egitto, ha detto che i restauri ripuliranno tutti i muri ed i rilievi. Saranno inoltre consolidati e rinforzati i rilievi, i colori dei dipinti e le strutture di fabbrica. Il restauro sarà compiuto dalla SCA, con la collaborazione documentaria e tecnica della CULTNAT.

Zahi Hawass, segretario generale della SCA, ha detto che ogni scoperta sarà fotografata, disegnata e videoripresa su tutti i lati e poi sarà ricollocata nella sua posizione originaria. Sarà inoltre predisposto un progetto di gestione del sito.

 

di Nevine El-Aref (26 Febbraio 2009)

 

Fonte: Al-Ahram Weekly ondine/link:http://weekly.ahram.org.eg/2009/936/he1.htm/ la porta del tempo.


Mar 11 2009

Sono un cavallo e odio l’estate

Category: Mondo animalegiorgio @ 05:30

Il mio nome non ha importanza, ne lo hanno razza e mantello. 

Sono un cavallo, punto e basta. 

Vivo in un maneggio in collina, dove mi hanno portato qualche giorno fa.  Pare che tra non molto frotte di turisti verranno qui per provare l’ebbrezza di una gita a cavallo, magari dopo una bella mangiata. 

Eh sì, il cartello parla chiaro: “Escursioni, monta western, inglese e spagnola (!), cavalli addestrati, istruttori qualificati.  La prima ora di lezione è gratis. Crescentine e affettato. Ampio parcheggio”.

In verità io non sono addestrato, come quasi tutti i miei colleghi qui.  Siamo magri, perchè ci danno da mangiare poco e male, il fieno è pieno di polvere, il box non lo rifanno mai. 

Come se non bastasse, siamo tormentati giorno e notte da insetti di tutti i tipi, che ci assalgono letteralmente, lasciandoci ricoperti di ponfi fastidiosissimi e dolorosi.

Qui con noi c’è un vecchio pony, che i proprietari considerano una specie di fenomeno da baraccone

per attirare adulti e piccini. 

Ci ha raccontato che ogni estate i padroni fanno un sacco di soldi con i turisti, che le gite sono interminabili e stancanti, spesso sotto il sole cocente, che non esiste nessun istruttore, ma in compenso non mancano diversi improvvisatori, e che la gente pensa che un cavallo sia una moto con cui correre. 

E così il signor Tal dei Tali, per sentirsi John Wayne almeno una volta nella vita, viene qui, si fa la sua ora di lezione gratis, così dopo sa cavalcare, usa speroni e frustino per galoppare, senza magari sapere battere la sella, e via a pancia a terra, che poi lo racconterà agli amici al ritorno dalle vacanze.

Il pony ci ha anche detto che dopo le “allegre” scampagnate, i nostri predecessori non vengono mai asciugati dal sudore, ma anzi, vengono lasciati legati al sole o, al massimo, rimessi nel box così come sono, con la sella addosso, pronti per il prossimo cliente.

 Ma, un momento: cosa vuoI dire i nostri predecessori? Ogni anno i cavalli cambiano? E dove vanno a finire dopo essere stati qui?

Il pony guarda verso il basso, perchè non ha il coraggio di dirci la verità, poi, incapace di mentire, ci racconta che ogni estate, alla fine di settembre, si ripete sempre la stessa scena: arriva un camion con le grate di ferro, carica i cavalli e li porta via, mentre i padroni hanno in mano un bel fascio di banconote. 

La stagione è andata bene. Sì è vero, c’è stato qualche incidente, ma in fondo cosa vuoi che sia un cavallo morto per una colica e un altro azzoppato… Gli altri hanno lavorato anche per loro. «È proprio un bel business questo – dice il padrone con la moglie- Tutti soldi buoni e in nero, poche spese, e alla fine il macellaio ce li ha pure pagati bene questi ronzini maledetti».  Solo allora io e i miei amici capiamo. 

Tre o quattro mesi di lavoro, sudore, fatica, stress, gente che ti picchia per farti andare avanti, sete, fame. 

E così ogni giorno, sotto il sole implacabile, punti dai tafani, con i finimenti che ti segano la pelle, il sottopancia troppo tirato, i morsi che ti feriscono la bocca, ‘erchè la gente tira, tira, strattona a destra e a sinistra con le redini “come si vede fare in televisione nei film di cowboy”. 

E alla fine di tutto, non un bel pascolo per riposarsi, 1’ombra di un albero, 1’erbetta fresca e invitante, no. 

Alla fine arriva un uomo, ci mette una capezza, ci fa salire su un camion e ci porta via. 

Dove? In un posto dove ci tengono qualche giorno, poi ci mettono uno in fila all’altro e a un certo punto quello davanti a te entra in una stanza e non lo vedi più.  Poi ci entri anche tu in quella stanza e allora capisci tutto.

Volevo raccontarvi questa storia. Forse è un po’ triste, ma è la verità. 

Vi auguro comunque di passare una buona estate, ma vi chiedo solo di evitare posti come questo perchè ce ne sono tanti in Italia e anzi, se ne avrete la voglia, di denunciarne i proprietari.

Volete sapere chi sono? Il mio nome non ha importanza, ne lo hanno razza e mantello. 

Sono un cavallo, punto e basta.  Vivo in un maneggio in collina, dove mi hanno portato qualche giorno fa.

 

 

Fonte: srs di Uberto Martinelli/Cavallo magazine 249/agosto 2007