Feb 07 2009

La famiglia di Mosè – (Quinta parte)

Category: Bibbia ed Egitto,Conoscenza variegiorgio @ 09:28

 

 

Con la distruzione del Tempio di Gerusalemme, le 24 famiglie sacerdotali mosaiche che dai tempi di Esdra possedevano l’ esclusività del sacerdozio, sono uscite fortemente decimate e private di quello che per secoli era stato il centro e lo strumento del loro potere: il Tempio. Ma non scomparvero fisicamente.

Dal resoconto di Giuseppe Flavio sappiamo che i sopravvissuti si contavano a centinaia. Di questi, almeno una quindicina costituivano un gruppo omogeneo ecompatto, perchè tutti appartenevano alle prime famiglie sacerdotali. Erano stati risparmiati perche più o meno coinvolti nella consegna del tesoro del Tempio a Vespasiano, ma erano considerati dagli altri Ebrei come traditori della propria patria. Tutti, quindi, avevano interesse a scomparire, almeno dal mondo ebraico.

Non è però realistico pensare cha abbiano rinnegato le proprie origini, il proprio passato e le proprie tradizioni, chiudendo definitivamente il capitolo più significativo e glorioso della storia ebraica. Erano legati fra loro da vincoli di parentela, da un millenario passato e da potenti tradizioni, e tutti possedevano larghi mezzi finanziari, perchè, come riferisce Giuseppe Flavio, furono reintegrati nei loro beni da Vespasiano e fatti oggetto di generose donazioni.

 Il che significa che, individualmente, ciascuno di loro era assai più ricco di quanto fossero mai stati i singoli membri della famiglia, anche al culmine della loro potenza e prosperità.

Godevano, inoltre, del favore e della protezione del potere politico, perchè il loro esponente di maggiore spicco, Giuseppe, era stato addirittura cooptato quale membro della famiglia imperiale stessa. Facevano, infine, parte di un’organizzazione familiare salda e collaudata, quella creata da Esdra, che non era stata smantellata insieme al Tempio, ma che continuò a mantenere intatta la sua struttura ed il suo potenziale. Non è possibile che sia scomparsa nel nulla. Se non ne abbiamo più notizia, è perchè decisero di scomparire nella clandestinità.

Fu un cambiamento di strategia – rimanendo nell’ alveo di una tradizione consolidata che aveva già fatto scomparire l’origine mosaica – volto non al suicidio collettivo, ma alla perpetuazione delle fortune della famiglia.

 

VERSO UN TEMPIO SPIRITIALE

 

Dopo la distruzione di Gerusalemme, sappiamo solo di colui che, da quel momento in poi, va considerato il rappresentante della famiglia: Giuseppe Flavio. Seguì Tito a Roma, sulla sua stessa nave, e passò il resto della propria vita nella lussuosa villa che gli era stata regalata da Vespasiano. Degli altri, le fonti non danno notizia, ma è certo che lasciarono la Palestina per lidi più ospitali. Ne loro, ne alcun discendente comparve mai più nella storia di quel paese o di una qualunque comunità ebraica, dentro o fuori l’impero romano. Cosa comprensibile: erano considerati tutti dei traditori. D’altra parte, costiuivano un gruppo troppo cospicuo perchè la loro presenza potesse passare inosservata in un qualunque paese di provincia. Dobbiamo quindi ritenere che, almeno in un primo momento, abbiano seguito Giuseppe a Roma, città che, popolata com’era da gente proveniente da tutto l’impero, garantiva facilmente l’anonimato.

Qualche anno dopo, Giuseppe, Flavio iniziò la stesura della sua opera monumentale. E proprio da quest’ opera che possiamo valutare la sua abilità nel volgere a proprio vantaggio le situazioni più disperate e l’enorme ambizione che lo muoveva. 

Da semplice governatore di una provincia della Palestina, si trovava a far parte della famiglia imperiale romana. I suoi orizzonti si erano allargati dalla Palestina al mondo intero. Ed è in questa condizione che si trovò ad essere responsabile dei destini futuri della famiglia sacerdotale, la più nobile delle famiglie esistenti sulla Terra, perchè discendente dallo stesso Mosè. Il primo grande sforzo cui dedicò ogni energia, come traspare nettamente dalle sue opere, fu quello di trovare una giustificazione al tradimento perpetrato e di gettare nuove basi su cui ricostruire il ruolo e le fortune della propria famiglia.

Come al solito, in questi casi, la giustificazione venne cercata nella Divinità stessa.

 Giuseppe si era deciso al tradimento dopo la caduta della città di Iotpata. Si era rifugiato con 40 compagni in una cisterna e, tutti d’ accordo, avevano deciso di suicidarsi, anzichè consegnarsi ai Romani. Rimasto ultimo, Giuseppe anziché uccidersi si consegnò ai Romani, dicendo che Dio stesso gli aveva imposto di salvarsi per annunciare a Vespasiano la notizia che sarebbe divenuto imperatore. 

Secondo Giuseppe, Dio aveva ormai abbandonato Israele, accordando il suo favore ai Romani, e lui non poteva opporsi al volere di Dio ma dovette farsene strumento suo malgrado. Così egli giustifica il proprio tradimento. E questa fu la giustificazione che dovettero adottare anche gli altri sacerdoti: hanno abbandonato Israele, consegnato il Tempio ed il suo tesoro al nuovo padrone del mondo prescelto da Dio, e lo hanno seguito a Roma, solo per adempiere alla missione cui erano stati chiamati. E così che la famiglia mosaica avrebbe legato il proprio destino a quello imperiale di Roma. Il suo palcoscenico non era più la Palestina, ma il mondo intero.

 

Non esistono informazioni storiche su come Giuseppe Flavio riorganizzo la famiglia sacerdotale e su quale fu il nuovo ruolo che le attribuì. C’è però una fonte non storica, sulla cui natura ed attendibilità discuteremo in seguito, che ci fornisce informazioni di prima mano sulle attività del gruppo: i rituali massonici.

 

Da questa fonte apprendiamo che, subito dopo la distruzione del Tempio, il gruppo di sacerdoti superstiti si riunì tra le rovine fumanti, per decidere dei propri destini futuri. 

Le loro argomentazioni furono le stesse che costituiscono il leitmotiv delle opere di Giuseppe Flavio: Dio ha abbandonato Israele e si è schierato definitivamente dalla parte di Roma; non è saggio opporsi alla sua volontà.

 

La potenza dell’impero romano era al suo apogeo: impensabile sperare in un capovolgimento di fortuna tale da consentire la ricostruzione del tempio, a Gerusalemme, in un prevedibile futuro.

I sacerdoti, quindi, decidono di continuare le tradizioni della famiglia ma a Roma e nella clandestinità, e di non affidare mai più, come in passato, le proprie sorti ad un tempio materiale, soggetto a profanazioni e distruzioni, ma di dedicarsi alla costruzione di un “tempio spirituale” .

Pertanto, la famiglia sacerdotale mosaica, all’indomani della catastrofe, avrebbe conservato identità ed organizzazione, cambiando però strategia, scomparendo nella clandestinità e creando un’istituzione immateriale che doveva garantire il potere e la prosperità della famiglia, nell’alveo delle passate tradizioni. Se il tempio di Gerusalemme aveva consentito alla famiglia di Mosè di prosperare per oltre un millennio, il “tempio spirituale” doveva raggiungere lo stesso scopo. Ma l’esistenza della famiglia non doveva più, essere rivelata pubblicamente, per non renderla vulnerabile come in passato. Anche questo rientrava nelle tradizioni di famiglia: al ritorno dall’esilio babilonese i sacerdoti avevano scelto di non far più apparire pubblicamente la loro discendenza da Mosè, precostituendosi antenati aronnidi.

 

PAOLO E GIUSEPPE

 

Tracce di questa famiglia vanno ricercate nel mondo cristiano. Le argomentazioni addotte da Giuseppe Flavio, per giustificare il proprio tradimento e quello dei suoi confratelli, sembrano riecheggiare le parole di San Paolo, considerato come colui che gettò le basi ideologiche della Chiesa Romana. I due sembrano perfettamente in sintonia per quanto attiene l’atteggiamento nei confrontiti del mondo romano. Paolo, ad esempio, stimava suo compito svincolare la Chiesa di Cristo dalle strettoie del Giudaismo e dalla terra di Palestina e renderla universale, legandola a Roma. I due sono in sintonia anche su altri punti significativi: entrambi si dichiarano aderenti all’ideologia farisaica, su cui si basò poi la Chiesa Romana. Caso fortuito o c’è invece un collegamento preciso?

 

Quasi certamente i due si conoscevano. Nel 63-64 d.C., infatti, Giuseppe Flavio, giovane di 27 anni, era a Roma quale membro di un’ambasceria del Sinedrio presso Nerone. Erano gli anni dell’incendio della capitale e della successiva persecuzione anticristiana, durante la quale S. Paolo fu giustiziato. 

Non è verosimile che due membri così eminenti della comunità giudaica abbiano convissuto nella stessa città senza conoscersi e frequentarsi. Giuseppe Flavio non dice una sola parola in merito a quegli avvenimenti, di cui pure fu testimone oculare. 

Un silenzio che, per uno storico quale lui era, è ancora più eloquente di una confessione. In qualche modo, quei fatti dovettero toccarlo assai profondamente. 

Fu allora, forse, che s’insinuarono i primi dubbi nella mente del giovane ed ambizioso sacerdote e che vennero gettati i semi che dovevano dare frutto di lì a pochi anni.

Dalle informazioni storiche che possediamo è legittimo supporre che Giuseppe Flavio, e gli altri sacerdoti che erano con lui, abbiano svolto un ruolo decisivo nella nascita ed affermazione della Chiesa Cristiana. 

Dei 30 anni che vanno dal 70 al 100 d.C., e cioè dall’arrivo di Giuseppe Flavio a Roma in poi, non sappiamo praticamente nulla di quel che accadde nella Chiesa Romana. 

È un black -out pressoche totale che lascia sconcertati, perchè si tratta di un periodo cruciale nella storia della formazione della Chiesa, che ne uscì completamente trasformata, soprattutto nella sua struttura gerarchica. Da quel momento iniziò una prodigiosa espansione chela portò, nel giro di due secoli, a divenire religione di stato dell’impero. 

Mentre nel periodo apostolico non esisteva “una” Chiesa Cristiana, ma più chiese indipendenti, ciascuna retta da un consiglio di presbiteri, dalla fine del I secolo la direzione delle chiese assunse una forma monarchica: ciascuna eraretta da un vescovo con poteri assoluti e questi ultimierano tutti soggetti all’autorità del vescovo di Roma, figura equivalente al sommo sacerdote di Gerusalemme.

La conferma di una stretta relazione tra i sacerdoti superstiti e la Chiesa di Roma ci viene ancora una volta dalla fonte d’informazione “non storica”. 

In un rituale massonico ritroviamo i sacerdoti superstiti riuniti a Roma quali seguaci di Gesù Cristo e soggetti a persecuzione da parte di Tito Flavio Domiziano, succeduto alla morte del grande protettore di Giuseppe, Tito. Persecuzione attraverso cui, peraltro, passarono quasi indenni.

L’informazione è di estremo interesse e coerente con idati di carattere storico innostro possesso. I punti più importanti di questa fonte sono, innanzitutto, che i sacerdoti superstiti abbiano continuato l’organizzazione sacerdotale creata a suo tempo da Esdra, mantenendone struttura, contenuti e rituali, ma in segreto, rendendola invisibile al mondo profano. In secondo luogo, che si siano “convertiti” al Cristianesimo. 

Che Giuseppe Flavio si fosse “convertito” al Cristianesimo è praticamente certo, sulla base dei suoi scritti e delle circostanze storiche. La parola “convertito” è fra virgolette perchè, in realtà, non si trattò di un grande passo. Gesù era Ebreo e non aveva mai rinnegato la “legge mosaica” (anzi, la insegnava agli stessi sacerdoti nel Tempio). La sua era una predicazione da Ebreo rivolto ad altri Ebrei, il cui contenuto era in sintonia con il pensiero e lo stile di vita della setta degli Esseni, normalmente considerati molto vicini, se non addirittura precursori, dei Cristiani.

Ma i contenuti dottrinari del Cristianesimo che emergeda questo periodo di blackout, sono straordinariamente vicini a quelli della setta degli Esseni (lo stesso S. Paolo, durante il processo subito nel Tempio, dichiara di aderirvi).

Giuseppe Flavio nelle sue opere dedica molto spazio agli Esseni e non nasconde la sua simpatia per essi. Da giovane aveva trascorso tre anni da eremita nel deserto di Giuda, con un sant’uomo di nome Banno (Vita 7-12).

Al termine di questa esperienza “essena”, però, tornato a Gerusalemme prese a vivere “seguendo i precetti della scuola farisaica”, la stessa di San Paolo.

Non si può, quindi, parlare di vera “conversione” se egli abbracciò le idee di Gesù, perchè non rinnegò nulla della religione professata fino a quel momento. La vera differenza, quella che distingueva un Ebreo da un Ebreo Cristiano, era il fatto di accettare Gesù come il tanto ateso Messia. 

La maggioranza degli Ebrei pensava al Messia come ad un sovrano (non per niente doveva essere della stirpe di Davide) che avrebbe ristabilito materialmente il regno e la potenza di Israele. Gesù, invece, proponendosi come Messia, specificò chiaramente “il mio regno non è di questo mondo”. 

Dunque, quel che proponeva era un “regno spirituale”. Un concetto che noi oggi accettiamo come normale, all’epoca, però, era una novità straordinaria. Una novità abbracciata piena mente da S. Paolo, ma anche da Giuseppe Flavio e dai sacerdoti che erano con lui, i quali avevano deciso, in fatti, di dedicarsi alla costruzione di un “tempio spirituale”.

Un tempio spirituale per un regno spirituale. Semplice coincidenza?

 

L’ASCESA DEL CRISTIANESIMO

 

Una relazione fu i due concetti appare più che verosimile e presuppone che gli “edificatori” del tempio spirituale avessero riconosciuto Cristo come il Messia, diventando promotori del suo regno spirituale. 

Esistono riscontri precisi in proposito. Giuseppe Flavio, in un famoso passo delle ”Antichità Giudaiche” (il cosiddetto Testimonium Flavianum, libro xvrn, ID, 3) scrive testualmente: “Allo stesso tempo visse Gesù, uomo saggio, se pure lo si può chiamare uomo; poiché egli compì opere sorprendenti e fu maestro di persone che accoglievano con piacere la verità. Egli era il Cristo. Quando Pilato udì che dai principali nostri uomini era accusato, lo condannò alla croce. Coloro che fin dal principio lo avevano amato non cessarono di aderire a lui.Nel terzo giorno apparve loro nuovamente vivo: per che i profèti di Dio avevano profètato queste e innumerevoli altre cose meravigliose su di lui”. 

Parole del genere possono venire soltanto da un Cristiano, perchè testimoniano l’accettazione di due punti essenziali: la resurrezione di Cristo e la sua identificazione con il Messia del

 

le profezie. Le simpatie cristiane di Giuseppe Flavio traspaiono chiaramente anche da altri brani della stessa opera. In XVIII, V, 2 egli parla con grande ammirazione di Giovanni Battista e delle sue azioni e predicazione, esaltando la validità del battesimo e condannando Erode per il suo assassinio. In XX, IX, 1 esprime uguale simpatia per Giacomo, fratello di Gesù. 

Un ulteriore indizio è costituito dal fatto che la persecuzione anticristiana di Domiziano, di cui parlano le fonti cristiane e la fonte “non storica” già menzionata, in realtà non c’è mai stata. E unico martire romano del periodo, annoverato come cristiano, è il senatore ed ex-console Tito Flavio Clemente. Ma, secondo Svetonio, Domiziano lo fece giustiziare non perchè cristiano bensì per ragioni sue personali, sotto l’accusa pretestuosa di “ateismo” e di “deviazione verso costumi giudaici” (l’imperatore era estremamente lunatico e feroce, tanto da far uccidere persone del suo entourage per motivi del tutto banali). 

Clemente era della casa dei Flavi, cugino dello stesso imperatore, ed è certo, quindi, che avesse stretti rapporti con il parente acquisito Giuseppe Flavio (la prova più evidente di questi rapporti è proprio l’accusa mossagli da Domiziano). Quale altro “cristiano”, in quegli anni, poteva essere in una posizione tale da avvicinare un personaggio così altolocato?

E chi altri, se non una Chiesa legata al gruppo di Giuseppe Flavio, poteva rivendicare Flavio Clemente come un proprio martire? Il “martire cristiano” Flavio Clemente costituisce, quindi, un preciso legame con Giuseppe Flavio ed un indizio consistente del fatto che quest’ultimo rivestiva un ruolo importante nella Chiesa di allora.

D’altra parte, l’inserimento nella comunità cristiana di allora (costituita per la maggior parte da Ebrei) di un gruppo così cospicuo e numeroso di sacerdoti superstiti, non poteva non avere conseguenze profonde sull’organizzazione della comunità. Invisi agli altri Ebrei perchè considerati traditori, i sacerdoti dovevano essere invece ben visti fra i Cristiani, che accettavano la loro giustificazione di essere stati prescelti da Dio per l’edificazione del regno spirituale.

C’è da osservare, però, che la famiglia sacerdotale che per oltre un millennio aveva guidato i destini del popolo ebraico e nelle cui vene scorreva sangue reale, non poteva accettare ruoli subalterni in seno alla comunità in cui si era inserita.

 Certamente si mise alla sua guida e prese saldamente in mano le redini della nascente Chiesa Romana. Non a caso, proprio da quel momento iniziò l’irresistibile ascesa del Cristianesimo che, nel tempo incredibilmente breve di due secoli, divenne “religione di stato” dell’impero romano. 

Si realizzava così il sogno di Giuseppe Flavio, la missione per cui era stato predestinato da Dio: la famiglia sacerdotale mosaica era divenuta per Roma ed il suo impero quello che era stata un tempo per Gerusalemme e la Palestina; il suo potere, però, non era più fondato sulla gestione di un tempio materiale, come in passato, ma su di un “tempio spirituale”: la Chiesa di Roma.

Questa incredibile ascesa, che ha stupito gli stessi storici cristiani successivi, non desta meraviglia se si considera chi furono i protagonisti. 

Sapevano meglio di chiunque altro al mondo come si organizza e si gestisce una religione, indipendentemente dal suo contenuto dottrinario. 

Misero la loro esperienza millenaria e se stessi al servizio della nascente religione cristiana, impostandola secondo gli schemi collaudati, ma con una novità essenziale: l’apertura al mondo pagano. 

 

Aveva cominciato lo stesso S. Pietro ad accogliere pagani nella comunità, tra le proteste degli altri Ebrei che pretendevano dai neo-convertiti il rispetto totale  della legge mosaico. S. Paolo rese sistematico l’ingresso dei non-Ebrei, creando le opportune giustificazioni dottrinarie. Ai tempi di Giuseppe Flavio, pochi Ebrei entrarono nella comunità cristiana, vista la fama che godevano i loro capi, ma il mondo pagano accorse in massa, dal momento che il proselitismo veniva fatto da un membro stesso della famiglia imperiale.

 

L’argomento urta suscettibilità profonde e molti, certamente, insorgeranno all’idea. Prove assolute in senso storico, al momento, non ce ne sono ma le coincidenze sono tante e tali da rendere concreta e verosimile l’ ipotesi che fu proprio la famiglia sacerdotale mosaica a prendere saldamente il controllo della nascente religione cristiana, tramite la propria organizzazione occulta, e a guidarne i destini da quel momento in poi. .

 

(Fine quinta parte di settei)

 

 

Fonte: srs di  Flavio Barbiero, da Hera  n° 23 anno  Novembre 2001

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