Set 15 2018

GLI ITALIANI ALLA BATTAGLIA DEL CARBONE

Nella foto minatori friulani in Belgio, 1961. Museo provinciale della vita contadina

 

 

Il nuovo dittatore belga, ASSELBORN, un esponente del Partito Operaio Socialista, è un altro che NON HA STUDIATO la sua STORIA e racconta una grossa bugia affermando che i migranti italiani (MINATORI con contratto di lavoro in mano) non sono mai stati respinti, però non precisa come venivano costretti a lavorare.

 

Va ricordato, anche a Salvini, che la «BATTAGLIA DEL CARBONE» era stata lanciata nel febbraio del 1945 dal primo ministro belga Achille Van Acker, con l’obiettivo di convincere il maggior numero di cittadini belgi a scendere nei pozzi, ma non erano disposti sia per la durezza del lavoro sia soprattutto per la sua pericolosità, nonostante gli incentivi promessi (miglioramento di salari, pensioni, ferie, nuove case operaie). Conseguenza, il progetto fallì e rimase lettera morta fino al 1951. 

 

Con la creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), venne varata la politica di “immigrazione flessibile“, cioè ingresso forza lavoro legato agli andamenti del mercato: ogni qualvolta si minacciava un rallentamento dell’attività economica ed un ristagno dell’occupazione interna, l’immigrazione veniva bloccata e i contratti non rinnovati.

 

Nonostante ciò il Governo di De Gasperi, con l’approvazione dell’opposizione per assicurarsi rimesse e fonti energetiche per la ricostruzione del paese, nel 1947 aveva firmato un secondo accordo che assicurava un costante afflusso di lavoratori fino alla terribile catastrofe di Marcinelle dell’8 agosto 1956, quando l’immigrazione ufficiale dall’Italia fu sospesa e le autorità belghe si rivolsero verso nuovi paesi esportatori di manodopera (Spagna, Grecia, Marocco, Turchia).

 

IL RECLUTAMENTO BELGA

 

Le offerte di impiego arrivavano al nostro Ministero del Lavoro dal loro Ministero secondo le richieste pervenute dai datori di lavoro belgi. In realtà funzionava un sistema parallelo di reclutamento sul posto, organizzato dalle singole miniere, per privilegiare candidati politicamente inoffensivi ed originari di precise regioni . 

 

LA QUESTIONE SANITARIA e LE DISCRIMINAZIONI

 

I nostri migranti, dopo aver sostenuto in Italia la visita medica di idoneità, passavano negli uffici provinciali di collocamento per un’ulteriore verifica quindi avviati alla Stazione Centrale di Milano. Qui attendevano per giorni, in condizioni di totale promiscuità nei sotterranei della stazione, i convogli settimanali e la decisone finale dopo l’ulteriore visita della Mission belge d’immigratione al controllo incrociato della polizia belga e italiana. In pratica venivano rimandati a casa perché «indesiderabili» quei lavoratori agricoli che avevano partecipato all’occupazione delle terre. Inizialmente le miniere si rifiutavano di assumere «des ouvriers originaires des provinces du Sud de l’Italie qui ne conviennent nullement au travail des mines»!

 

IL DRAMMATICO ARRIVO

 

Dopo un viaggio che poteva durare quasi 52 ore, gli immigrati venivano trasportati su autocarri solitamente utilizzati per il trasporto del carbone nei villaggi dei carbonai, scortati da agenti in incognito, con lo scopo di individuare eventuali elementi agitatori.

 

Chi non superava l’ultima visita medico-attitudinale a scendere nelle viscere della terra veniva impiegato nei lavori di superficie, sempre con contratti annuali rinnovabili, ma non potevano lasciare il paese per cinque anni.

 

LO CHOC DELLA DISCESA

 

La prima «discesa al fondo», la tipologia e le condizioni di lavoro.

 

Dopo che i manifesti italiani avevano pubblicizzato il reclutamento senza precisare le condizioni di lavoro, l’emigrante scopriva una volta arrivato in miniera che il contratto tipo non prevedeva alcuna iniziale formazione professionale, che doveva apprendere il mestiere direttamente al fondo, senza alcuna precauzione e senza alcuna conoscenza della lingua.

 

A causa della loro scarsa qualifica, i salari erano nettamente inferiori a quelli sperati, in effetti il salario era composto da una parte fissa ed una parte proporzionale alla loro produzione, così aumentavano le probabilità di incidenti mortali.

 

RECLUSI

 

A tutto ciò va aggiunto che dovevano alloggiare nelle baracche dei villaggi dei “campi di lavoro” utilizzati per i prigionieri di guerra durante il conflitto.

 

 

Fonte: da facebook di Giovanni Cecchinato del  14 settembre 2018

Link: https://www.facebook.com/gianni.cecchinato.1/posts/1586235014814155?__tn__=K-R

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