Dic 03 2014

ARUNDHATI ROY: IL GENOCIDIO CHE VERRÀ

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Arundhati Roy

 

 

Arundhati Roy è conosciuta internazionalmente come scrittrice impegnata culturalmente sul fronte della critica alla globalizzazione – da ‘Il dio delle piccole cose’ ai suoi scritti ecologisti, come ‘La fine delle illusioni’, a quelli più dolenti, sulla guerra, ‘War Talks’.  Le riflessioni di Arundhati colpiscono per la sua prosa semplice ed incisiva, la sua passione letteraria e politica – che e’ anche la nostra.  Ma nella conferenza che ha tenuto ad Istambul nel gennaio 2008, Arundhati si e’ spinta più in là sul terreno dell’analisi storico-sociale, scegliendo come tema il genocidio, ovvero lo sterminio volontario di un popolo considerato nemico. Nel primo anniversario dell’uccisione di Hrant Dink, attivista armeno assassinato ad Istambul, Arundhati riporta alla nostra coscienza una storia dimenticata dal mondo dopo gli orrori della Shoa. Gli armeni rappresentavano una minoranza cristiana nell’impero ottomano; avevano vissuto in Anatolia fino alla primavera 1915, quando  un milione e mezzo di loro furono sistematicamente uccisi : ancora oggi l’accadimento di questo genocidio e’ negato dal governo turco. « Un milione e mezzo, più uno » avrebbe scritto Arundhati su un cartello, se avesse potuto essere presente ai funerali di Hrant Dink.  Mentre oggi ad Istambul si e’ diffuso un nuovo logo: il berretto bianco usato dall’assassino e’ di moda tra i giovani della capitale che intendono così manifestare la loro solidarietà personale con chi ha ucciso. Una carrellata di genocidi, racconta Arundhati, quelli del passato e quelli del presente, quelli della destra e quelli più scomodi per noi, fatti in nome della sinistra, quelli etnici, quelli religiosi. In questa traduzione/riduzione ho privilegiato gli elementi analitici rispetto a quelli di cronaca affinché emergesse chiaramente il punto teorico centrale dell’argomentazione di Arundhati: tutti i genocidi hanno una base socio-economica e sono messi in atto in nome del progresso e del benessere – variamente definiti. Questa “abitudine umana”, il genocidio, sarebbe in realtà un costrutto funzionale. Che incontri il silenzio o la celebrazione, la rimozione o la rivendicazione, il risultato non cambia poiché i presupposti sono simili. Il titolo originale della conferenza di Arundhati « Listening to the Grasshoppers » (Ascoltando le cavallette) prende spunto da un racconto che le aveva fatto la madre di un amico armeno, prima di morire vecchissima. Aveva dieci anni nel 1915 ma ricordava ancora il senso di allarme destato dall’arrivo di uno sciame di cavallette nel suo villaggio. Gli anziani sapevano che si trattava di un cattivo auspicio, e avevano ragione. Da li’ a pochi mesi, quando il grano era maturo, il villaggio non esisteva più, gli uomini erano stati uccisi e le donne deportate. Forse, si chiede Arundhati, oggi dovremmo imparare ad ascoltare le cavallette, i segni premonitori di qualcosa che sta per succedere. Ciò riguarda l’India « la più grande democrazia del mondo » che ha spalancato le porte al neoliberismo – ma riguarda anche il nostro mondo, quei rigurgiti autoritari e sciovinisti, viriloidi e fascisti, xenofobi e razzisti – così funzionali alle nuove forme di accumulazione e di difesa dei privilegi, così radicati nei sentimenti di paura e insicurezza sociale – che proprio il neoliberismo crea.  Arundhati ci suggerisce che abbiamo davanti agli occhi gli elementi per poter parlare del futuro, del genocidio che verrà. [Laura Corradi]

 

  1. Cosa è un genocidio

 

(…) Nello stato del Gujarat c’è stato un genocidio contro la comunità musulmana nel 2002. (…) Il genocidio e’ iniziato come punizione per un crimine rimasto irrisolto: l’incendio di un vagone ferroviario in cui 53 pellegrini induisti furono bruciati vivi. In una pianificata orgia di vendetta, 2000 musulmani sono stati macellati in pieno giorno da squadroni di killer armati ed organizzati da milizie fasciste, protetti dal governo del Gujarat. Donne musulmane hanno subito stupri di gruppo e sono state bruciate vive. Negozi, bancarelle, uffici e moschee sono stati sistematicamente distrutti. Circa 150.000 persone hanno dovuto lasciare le loro case.

Ancora oggi molti di loro vivono in ghetti, alcuni costruiti su montagne di spazzatura, senza acqua ne’ fognature, senza illuminazione ne’ assistenza sanitaria. Vivono come cittadini di seconda classe, boicottati economicamente e socialmente. Nel frattempo i killer, sia poliziotti che civili, sono stati ricompensati e promossi. Tale stato di cose e’ considerato normale. Per suggellare la « normalità » nel 2004 sia Tata che Ambani, i leader industriali dell’India, hanno definito pubblicamente il Gujarat come una destinazione da sogno per il capitale finanziario.

 

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