Apr 19 2009

Così ho avvelenato Napoli

Category: Società e politicagiorgio @ 21:01

 

di Gianluca Di Feo e Emiliano Fittipaldi

 

Le confessioni di Gaetano Vassallo, il boss che per 20 anni ha nascosto rifiuti tossici in Campania pagando politici e funzionari

 

 Temo per la mia vita e per questo ho deciso di collaborare con la giustizia e dire tutto quello che mi riguarda, anche reati da me commessi. In particolare, intendo riferire sullo smaltimento illegale dei rifiuti speciali, tossici e nocivi, a partire dal 1987-88 fino all’anno 2005. Smaltimenti realizzati in cave, in terreni vergini, in discariche non autorizzate e in siti che posso materialmente indicare, avendo anche io contribuito… Comincia così il più sconvolgente racconto della devastazione di una regione: venti anni di veleni nascosti ovunque, che hanno contaminato il suolo, l’acqua e l’aria della Campania. Venti anni di denaro facile che hanno consolidato il potere dei casalesi, diventati praticamente i monopolisti di questo business sporco e redditizio. La testimonianza choc di una follia collettiva, che dalla fine degli anni Ottanta ha spinto sindaci, boss e contadini a seminare scorie tossiche nelle campagne tra Napoli e Caserta. Con il Commissariato di governo che in nome dell’emergenza ha poi legalizzato questo inferno.

 

Gaetano Vassallo è stato l’inventore del traffico: l’imprenditore che ha aperto la rotta dei rifiuti tossici alle aziende del Nord. E ha amministrato il grande affare per conto della famiglia Bidognetti, seguendone ascesa e declino nell’impero di Gomorra. 

I primi clienti li ha raccolti in Toscana, in quelle aziende fiorentine dove la massoneria di Licio Gelli continua ad avere un peso. I controlli non sono mai stati un problema: dichiara di avere avuto a libro paga i responsabili. Anche con la politica ha curato rapporti e investimenti, prendendo la tessera di Forza Italia e puntando sul partito di Berlusconi. 

 

La rete di protezione 

 

Quando Vassallo si presenta ai magistrati dell’Antimafia di Napoli è il primo aprile. Mancano due settimane alle elezioni, tante cose dovevano ancora accadere. Due mesi esatti dopo, Michele Orsi, uno dei protagonisti delle sue rivelazioni è stato assassinato da un commando di killer casalesi. E 42 giorni dopo Nicola Cosentino, il più importante parlamentare da lui chiamato in causa, è diventato sottosegretario del governo Berlusconi.

 

Vassallo non si è preoccupato. Ha continuato a riempire decine di verbali di accuse, che vengono vagliati da un pool di pm della direzione distrettuale antimafia napoletana e da squadre specializzate delle forze dell’ordine: poliziotti, finanzieri, carabinieri e Dia. Finora i riscontri alle sue testimonianze sono stati numerosi: per gli inquirenti è altamente attendibile. 

 

Anche perché ha conservato pacchi di documenti per dare forza alle sue parole. Che aprono un abisso sulla devastazione dei suoli campani e poi, attraverso i roghi e la commercializzazione dei prodotti agro-alimentari, sulla minaccia alla salute di tutti i cittadini. Come è stato possibile? 

 

“Nel corso degli anni, quanto meno fino al 2002, ho proseguito nella sfruttamento della ex discarica di Giugliano, insieme ai miei fratelli, corrompendo l’architetto Bovier del Commissariato di governo e l’ingegner Avallone dell’Arpac (l’agenzia regionale dell’ambiente). Il primo è stato remunerato continuativamente perché consentiva, falsificando i certificati o i verbali di accertamento, di far apparire conforme al materiale di bonifica i rifiuti che venivano smaltiti illecitamente. Ha ricevuto in tutto somme prossime ai 70 milioni di lire. L’ingegner Avallone era praticamente ‘stipendiato’ con tre milioni di lire al mese, essendo lo stesso incaricato anche di predisporre il progetto di bonifica della nostra discarica, progetto che ci consentiva la copertura formale per poter smaltire illecitamente i rifiuti”. 

 

Il gran pentito dei veleni parla anche di uomini delle forze dell’ordine ‘a disposizione’ e di decine di sindaci prezzolati. Ci sono persino funzionari della provincia di Caserta che firmano licenze per siti che sono fuori dai loro territori. Una lista sterminata di tangenti, versate attraverso i canali più diversi: si parte dalle fidejussioni affidate negli anni Ottanta alla moglie di Rosario Gava, fratello del patriarca dc, fino alla partecipazione occulta dell’ultima leva politica alle società dell’immondizia.

 

L’età dell’oro 

 

Vassallo sa tutto. Perché per venti anni è stato il ministro dei rifiuti di Francesco Bidognetti, l’uomo che assieme a Francesco ‘Sandokan’ Schiavone domina il clan dei casalesi. All’inizio i veleni finivano in una discarica autorizzata, quella di Giugliano, legalmente gestita. Le scorie arrivavano soprattutto dalle concerie della Toscana, sui camion della ditta di Elio e Generoso Roma. C’era poi un giro campano con tutti i rifiuti speciali provenienti dalla rottamazione di veicoli: fiumi di olii nocivi. 

 

I protagonisti sono colletti bianchi, che fanno da prestanome per i padrini latitanti, li nascondono nelle loro ville e trasmettono gli ordini dal carcere dei boss detenuti. In pratica, accusa tutte le aziende campane che hanno operato nel settore, citando minuziosamente coperture e referenti. C’è l’avvocato Cipriano Chianese. C’è Gaetano Cerci “che peraltro è in contatto con Licio Gelli e con il suo vice così come mi ha riferito dieci giorni fa”. 

 

Il racconto è agghiacciante. Sembra che la zona tra Napoli e Caserta venga colpita dalla nuova febbre dell’oro. Tutti corrono a sversare liquidi tossici, improvvisandosi riciclatori. “Verso la fine degli Ottanta ogni clan si era organizzato autonomamente per interrare i carichi in discariche abusive. Finora è stato scoperto solo uno dei gruppi, ma vi erano sistemi paralleli gestiti anche da altre famiglie”. 

 

Ci sono trafficanti fai-dai-te che buttano liquidi fetidi nei campi coltivati in pieno giorno. Contadini che offrono i loro frutteti alle autobotti della morte. E se qualcuno protesta, intervengono i camorristi con la mitraglietta in pugno.

 

La banalità del male 

 

Chi, come Vassallo, possiede una discarica lecita, la sfrutta all’infinito. Il sistema è terribilmente banale: nei permessi non viene indicata l’esatta posizione dell’invaso, né il suo perimetro. Così le voragini vengono triplicate. “Tutte le discariche campane con tale espediente hanno continuato a smaltire in modo abusivo, sfruttando autorizzazioni meramente cartolari. Ovviamente, nel creare nuovi invasi mi sono disinteressato di attrezzare quegli spazi in modo da impermeabilizzare i terreni; non fu realizzato nessun sistema di controllo del percolato e nessuna vasca di raccolta, sicché mai si è provveduto a controllare quella discarica ed a sanarla”. In uno di questi ‘buchi’ semilegali Vassallo fa seppellire un milione di metri cubi di detriti pericolosi.

 

L’aspetto più assurdo è che durante le emergenze che si sono accavallate, tutte queste discariche – quelle lecite e i satelliti abusivi – vengono espropriate dal Commissariato di governo per fare spazio all’immondizia di Napoli città. All’imprenditore della camorra Vassallo, pluri-inquisito, lo Stato concede ricchi risarcimenti: quasi due milioni e mezzo di euro. E altra monnezza seppellisce così il sarcofago dei veleni, creando un danno ancora più grave. 

 

“I rifiuti del Commissariato furono collocati in sopra-elevazione; la zone è stata poi ‘sistemata’, anche se sono rimasti sotterrati rifiuti speciali (includendo anche i tossici), senza che fosse stata realizzata alcuna impermeabilizzazione. Non è mai stato fatto uno studio serio in ordine alla qualità dell’acqua della falda. E quella zona è ad alta vocazione agricola”.

 

L’import di scorie pericolose fruttava al clan 10 lire al chilo. “In quel periodo solo da me guadagnarono due miliardi”. Il calcolo è semplice: furono nascoste 200 mila tonnellate di sostanze tossiche. Questo soltanto per l’asse Vassallo-casalesi, senza contare gli altri i boss napoletani che si erano lanciati nell’affare, a partire dai Mallardo. 

 

“Una volta colmate le discariche, i rifiuti venivano interrati ovunque. In questi casi gli imprenditori venivano sostanzialmente by-passati, ma talora ci veniva richiesto di concedere l’uso dei nostri timbri, in modo da ‘coprire’ e giustificare lo smaltimento dei produttori di rifiuti, del Nord Italia… Ricordo i rifiuti dell’Acna di Cengio, che furono smaltiti nella mia discarica per 6.000 quintali. Ma carichi ben superiori dall’Acna furono gestiti dall’avvocato Chianese: trattava 70 o 80 autotreni al giorno. La fila di autotreni era tale che formava una fila di circa un chilometro e mezzo”.

 

Un’altra misteriosa ondata di piena arriva tra la fine del 2001 e l’inizio del 2002: “Si trattava di un composto umido derivante dalla lavorazione dei rifiuti solidi urbani triturati, contenente molta plastica e vetro”. Decine di camion provenienti da un impianto pubblico: a Vassallo dicono che partono da Milano e vanno fatti scomparire in fretta.

 

Il patto con la politica 

 

Uno dei capitoli più importanti riguarda la società mista che curava la nettezza urbana a Mondragone e in altri centri del casertano. È lì che parla dei fratelli Michele e Sergio Orsi, imprenditori con forti agganci nei palazzi del potere: il primo è stato ammazzato a giugno. I due, arrestati nel 2006, si erano difesi descrivendo le pressioni di boss e di politici. 

 

Ma Vassallo va molto oltre: “Confesso che ho agito per conto della famiglia Bidognetti quale loro referente nel controllo della società Eco4 gestita dai fratelli Orsi. Ai fratelli Orsi era stata fissata una tangente mensile di 50 mila euro… Posso dire che la società Eco4 era controllata dall’onorevole Nicola Cosentino e anche l’onorevole Mario Landoldi (An) vi aveva svariati interessi. Presenziai personalmente alla consegna di 50 mila euro in contanti da parte di Sergio Orsi a Cosentino, incontro avvenuto a casa di quest’ultimo a Casal di Principe. Ricordo che Cosentino ebbe a ricevere la somma in una busta gialla e Sergio mi informò del suo contenuto”. 

 

Rapporti antichi, quelli con il politico che la scorsa settimana ha accompagnato Berlusconi nell’ultimo bagno di folla napoletano: “La mia conoscenza con Cosentino risale agli anni ’80, quando lo stesso era appena uscito dal Psdi e si era candidato alla provincia. Ricordo che in quella occasione fui contattato da Bernardo Cirillo, il quale mi disse che dovevamo organizzare un incontro elettorale per il Cosentino che era uno dei ‘nostri’ candidati ossia un candidato del clan Bidognetti. In particolare il Cirillo specificò che era stato proprio ‘lo zio’ a far arrivare questo messaggio”. 

 

Lo ‘zio’, spiega, è Francesco Bidognetti: condannato all’ergastolo in appello nel processo Spartacus e, su ordine del ministro Alfano, sottoposto allo stesso regime carcerario di Totò Riina e Bernardo Provenzano. L’elezione alla provincia di Caserta è stata invece il secondo gradino della carriera di Cosentino, l’avvocato di Casal di Principe oggi leader campano della Pdl e sottosegretario all’Economia. “Faccio presente che sono tesserato ‘Forza Italia’ e grazie a me sono state tesserate numerose persone presso la sezione di Cesa. Mi è capitato in due occasioni di sponsorizzare la campagna elettorale di Cosentino offrendogli cene presso il ristorante di mio fratello, cene costose con centinaia di invitati. L’ho sostenuto nel 2001 e incontrato spesso dopo l’elezione in Parlamento”.

 

Ma quando si presenta a chiedere un intervento per rientrare nel gioco grande della spazzatura, gli assetti criminali sono cambiati. Il progetto più importante è stato spostato nel territorio di ‘Sandokan’ Schiavone. Il parlamentare lo riceve a casa e può offrirgli solo una soluzione di ripiego: “Cosentino mi disse che si era adeguato alle scelte fatte ‘a monte’ dai casalesi che avevano deciso di realizzare il termovalorizzatore a Santa Maria La Fossa. Egli, pertanto, aveva dovuto seguire tale linea ed avvantaggiare solo il gruppo Schiavone nella gestione dell’affare e, di conseguenza, tenere fuori il gruppo Bidognetti e quindi anche me”.

 

Vassallo non se la prende. È abituato a cadere e rialzarsi. Negli ultimi venti anni è stato arrestato tre volte. Dal 1993 in poi, ad ogni retata seguiva un periodo di stallo. Poi nel giro di due anni un’emergenza che gli riapriva le porte delle discariche. “Fui condannato in primo grado e prosciolto in appello. Ma io ero colpevole”. Una situazione paradossale: anche mentre sta confessando reati odiosi, ottiene dallo Stato un indennizzo di un milione 200 mila euro. E avverte: “Conviene che li blocchiate prima che i miei fratelli li facciano sparire…”.

 

Fonte: L’espresso del  (11 settembre 2008)

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