Dic 12 2008

Verona-La Pieve di San Martino di Negrar e il suo campanile

Category: Chiesa veronese,Verona storia e artegiorgio @ 13:58

Chiesa di Negrar

E’ nominata per la prima volta in un documento del 1067.  Di quell’antica chiesa, non si è conservato nulla, forse distrutta dal terremoto del 1117. Della successiva chiesa romanica,  rimane invece il bel campanile in tufo, finemente lavorato e la Carta Lapidaria.

La chiesa antica.

Con S. Zeno, il vescovo moro (362-380) il paganesimo a Verona città fu, si può dire, definitivamente vinto, ed il Cristianesimo poté iniziare ad affermarsi a poco a poco anche nelle campagne. Sorsero cosi le prime chiese, che vennero chiamate Pievi. Pieve da « plebs », nel significato di distretto è una parola che si riallaccia alle prime istituzioni romano-cristiane.

Si usò nell’Italia Settentrionale per indicare i larghi distretti delle prime chiese battesimali, corrispondenti forse alle antiche circoscrizioni pagensi-italiche; poi passò a indicare anche la Chiesa del capoluogo nel suo edificio materiale e nella sua personalità giuridica, che fu alle origini certamente sempre di diritto pubblico.  La Pieve era formata da un presbiterio di chierici, cioè preti, diaconi,

La difesa del castello e della pieve di Negrar

In un clima di continue guerre  più o meno intense ed ampie, nel 1238 il comune di Negrar adottò un provvedimento di sorveglianza e difesa del territorio.  Il capo del Comune, sindicus sive vilfcus,  due decani, i consiglieri in tutto 12. fra i quali figura anche il notaio estensore dell’atto provenienti da varie località del territorio – ricordiamo Ceriago, Tomenighe, Piega, provvidero ad emanare gli statuta et ordinamenta relativi al castello e alla pieve di Negrar.

Tutti gli abitanti del districtus di Negrar dovevano prestare servizi di  guardia al castello e alla pieve;  per la pieve si trattava in concreto di svolgere servizio di sentinella sulla sommità del campanile per l’avvistamento del pericolo;  penalità specifiche erano previste per chi non adempisse la guardia o lasciasse entrare persone non autorizzate o forestiere;  altre pene venivano stabilite per i furti all’interno del castello e della pieve,  per chi non obbedisse agli ordini dei capita decenis o dei due capitani,  o non accorresse al  suono delle campane;  ecc.

Alla fine, con il consenso unanime, furono scelti due capitani del castello e della pieve: il primo sarebbe rimasto in carica fino a san Pietro in Giugno, il secondo solo per un mese.
Il capitano del castello -non l’altro,  probabilmente perché  Il suo compito era effettivamente di assai più scarso peso – giurò gli ordinamenti,  salvo l’onore e lo statuto, ovvero le norme in materia del Comune di Verona, e salvo il diritto del vilicus del Comune di Negrar di variare le disposizioni, con il consenso di tutto il Consiglio o della maggioranza.

L’ultima parte del documento, concernente la durata degli incarichi, dà l’impressione di trovarsi di fronte ad una situazione straordinaria: in assenza di un intervento diretto del Comune cittadino, forse in tutt’altre faccende affaccendato dal momento che la lotta civile infieriva in quel periodo,  la popolazione locale decise di provvedere alla propria sicurezza. Norme assai precise degli statuti cittadini regoleranno in seguito la custodia armata dei castelli del territorio.

 

La pieve di San Martino

 

La prima menzione relativa alla pieve di San Martino di Negrar figura in un documento del 1067,  giuntoci in tardo regesto,  nel quale si nomina un suo arciprete.
La chiesa è elencata nella nota bolla del 1145 di papa Eugenio III dove si fa anche un generico cenno alle cappelle ad essa soggette ed al diritto di decima,  che appare riconfermato e condiviso col vescovo di Verona,  come si dichiara nel privilegio di Federico I  Barbarossa del 1154.

In quest’epoca doveva già esser stata costruita la chiesa sorta sulle rovine di quella precedente, forse distrutta dal terremoto del 1117.

Rimane il bellissimo,  possente  campanile, in bei conci regolari di, tufo biondo, decorato con lesene ed archetti pensili finemente lavorati.

Il lato meridionale reca incisa una lunghissima iscrizione in lingua latina, datata 1166, da cui risulta che l’arciprete Wizardo ed il clero della pieve riscattavano un censo annuale in denaro e in vino dovuto ad alcuni cittadini veronesi (SIMEONI 1889, 9, 13).

Notizie sulla vita della pieve si ricavano dal verbale della visita pastorale effettuata dal vescovo Ermolao Barbaro nel 1458.

Il presule dichiara la chiesa ampia et magna; l’arciprete Domenico, appoggiato dalla popolazione, chiede gli sia concesso un coadiutore.

Dalla stessa fonte si ha notizia delle otto cappelle soggette alla pieve: Fane, Cerna, Prun,  Mazzano, SanVito,  Santa Maria di Moron,  Santa Maria in Progno, Torbe.

Negrar era chiesa collegiata e l’arciprete faceva vita in comune con dei confratelli (tre preti, un diacono,  due accoliti ed un chierico).

Le entrate del pievanato consistevano in congrui quantitativi di denaro, di frumento, olio, uva, legumi e polli.

I chierici di Negrar governavano  nove  chiericati, officiavano un altare nella parrocchiale e disponevano di notevoli entrate di cui usufruirono fino agli inizi del secolo scorso. (l. r.)

 

Il campanile della pieve

 

Della struttura romanica della pieve di Negrar, intitolata a San Martino e le cui prime notizie risalgono al 1067 (CASTAGNETTI 1984, 144), non è rimasta traccia.

L’attuale chiesa è infatti del 1809.
Il campanile invece è un esempio romanico di eleganza a matrice cittadina; a base quadrata, è stato costruito in tufo a conci regolari intervallati da qualche filare in calcare rosso, mentre lesene centrali ne accentuano la verticalità definita da lesene angolari più robuste.

La parete è articolata in tre file di archetti pensili con cornice a dentelli.
La cella campanaria, non sormontata dalla pigna, presenta quattro bifore con colonne binate e capitelli a stampella.

Sul lato meridionale del campanile è conservata un’iscrizione del,  che può fornire un’indicazione interessante ai fini di una datazione del manufatto.

Il linguaggio decorativo del campanile contiene elementi del lessico architettonico cittadino,  esportato nella provincia a partire dal 1120 circa e ravvisabile specie nell’elaborazione degli archetti, o delle mensole allungate ad incisioni orizzontali presenti ad esempio nell’abside di San Giovanni in  Fonte e nel corpo orientale della Madonna della Stra’ a Belfiore.

Per quanto riguarda invece l’articolazione della parete, vi sono analogie con il campanile di San Zeno, con quello di San Floriano e di San Giorgio nell’area della Valpolicella.

Il campanile romanico 

 

Il Campanile.

É fama che l’anno 1101 sono state ordinate le tre pievi di S. Martino di Negrar di S. Floriano e di S. Giorgio Ingannapoltron  per opera della regina Matilde Cristina Malaspina.

Cosi scrisse G. B. Biancolini nel suo libro: Notizie storiche delle Chiese di Verona.
Ma non essendo comprovato da nessun altro documento si può pensare che sia una leggenda.

È certo però che le suddette chiese ed il loro campanile sono state costruite probabilmente dallo stesso artefice e sicuramente nello stesso tempo.
Esse appartengono alla gloriosa arte romanica, che sorta intorno al Mille, dalla mirabile fusione di elementi bizantini con elementi romani, fiori per circa tre secoli; e della quale esempi tipici abbiamo nelle cattedrali di Parma, Modena, Ferrara, Fidenza, Bari ecc… e nelle basiliche di S. Zeno in Verona, di S. Ambrogio in Milano, di S. Michele Maggiore in Pavia, di San Nicola di Bari ecc…

Il Campanile di Negrar è stato costruito in tufo adoperando il materiale del posto, forse del Monte Masua.Orizzontalmente ha dei sottili strati di vivo e ornato da tre comici di archetti con fregio dentato, che è l’indice dell’ Arte Romanica. Longitudinalmente, nel mezzo ha una lesena.

La sua base è quadrata con il lato di m. 8,40 e l’altezza di m. 45.
È senza pina, come quello di S. Floriano e di S. Giorgio Ingannapoltron.
Ha una leggiadra bifora, il cui arco è sorretto al centro da due colonnine. Alla base vi è una cella (stanza), che non ha nessuna comunicazione con il resto del Campanile.

Secondo Rodolfo Laschi  essa serviva da prigione per i ladri ed i malfattori; era insomma una prigione civile, poiché in quel tempo Pieve e Comune erano un quid unum, cioè una cosa sola.

L’opinione è confermata dallo Statuto di Cerea del 1304.
Al parag. 47 tra l’altro è scritto: Et si non habuerit unde bannum emendet, per X dies in campanile Cerete ed reddat patienti damnum,

Osservando attentamente, il Campanile è d’una bellezza meravigliosa.
La sua mole è grande.
Infatti ingenti turre lo chiamò Gian Giacomo Pìgari nel suo canne Ad Nimphas Pulcellidas.

E più bello apparirebbe ancora, se accanto avesse la sua chiesa in puro stile romanico romanica, che è stata scioccamente abbattuta intorno al 1800, per innalzarvi nello stesso posto, nel 1807 la chiesa attuale.

Il Campanile ha scolpito sulla facciata di mezzogiorno una epigrafe, che è una delle più lunghe d’Italia, in quantochè consta di 64 righe; porta la data del 1166; ed è chiamata la Carta lapidaria di Negrar.

Negli ultimi anni dell’Età Comunale, il Campanile di Negrar, ebbe anche importanza militare.

Nello Statuto del 1238, tra i suoi 13 articoli, uno ve n’era, col quale una guardia doveva costantemente rimanere in cima al Campanile e dare l’allarme, suonando le campane, quum rumor erit in districtu Nigrarii, e tutti gli uomini dai 16 ai 60 anni erano obbligati ad accorrere ed impugnare le armi, altrimenti venivano condannati ad una multa in denaro.
I tempi certo non erano lieti (a Verona comandava fin dal 1232 Ezzelino da Romano, colui che fu creduto figlio del Demonio), se nella valle di sovente avvenivano incursiones, rapinas, incendia, vulnera, cedes.

 

Il Campanile di Negrar è Monumento Nazionale.
Esso è dotato d’un concerto di sei campane fuse dalla ditta Cavadini di Verona.
Le prime cinque, nel 1852 per merito dell’arciprete don Giona Sabaini; l’ultima nel 1933 per merito dell’arciprete don Francesco Beltrame.

 

Fonte: dal materiale  della perpetua della Chiesa di Negrar

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