Nov 08 2016

L’IMMIGRAZIONE E IL DISEGNO DI CANCELLARE LA NOSTRA IDENTITÀ

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di GILBERTO ONETO

 

Lo striscione della fotografia è comparso tempo fa allo stadio di Roma e sembra sia riferito a un allenatore che proviene dalla Repubblica Ceka. Niente di male. Ma si provi a immaginare se ci fosse stato scritto roba come “Via il ghaniano”, e che magari lo stadio fosse stato – un posto non scelto a caso – quello di Busto Arsizio. Sarebbe successo il finimondo su giornali e televisioni, si sarebbero mobilitate frotte di antirazzisti e progressisti a stigmatizzare l’odioso episodio di xenofobia.

Ed è anche andata bene che ormai solo i più anziani ricordano il testo di una vecchia canzone di Dalida “Zingaro chi sei? Sei figlio di Boemia”, altrimenti anche in questo specifico caso si sarebbe scatenata la solita cagnara in difesa degli strolighi.  Invece chiedere di cacciare via un boemo è del tutto legittimo. Fosse stato un bergamasco o un cuneese sarebbe stato anche meglio e sicuramente più “politicamente corretto”.

 

È un piccolo segno, apparentemente marginale, che però da esattamente il polso di una situazione ormai malata e degenerata, di un razzismo esercitato con sistematicità contro la nostra gente dietro l’ipocrita paravento di accuse di veterorazzismo biologico che ci sono solo nella testa del peggior becerume progressista,  pieno di complessi di colpa per le sue reali e pericolose pulsioni antisemite.

 

Non è solo materia da psicanalisti, è anche l’espressione di un preciso disegno politico di annientamento della coscienza comunitaria delle popolazioni dell’Occidente europeo e più in particolare dei padani. All’interno di un più vasto progetto di demolizione della società occidentale e dei suoi valori (buoni o cattivi che siano, ma “suoi”) si sviluppa infatti il coerente e freddo disegno di distruzione  del senso di appartenenza delle comunità padane e delle loro residue capacità di reazione.

 

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Nov 07 2016

LA GRANDE GUERRA DEL 15-18: SU 5,5 MILIONI DI SOLDATI SOLO 8MILA VOLONTARI

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di GILBERTO ONETO

 

La guerra del 1915-’18 – sintomaticamente ricordata come la Grande Guerra – ha rifinito l’unità italiana: qualcuno la ricorda anche come la quarta guerra di indipendenza, con la quale si è concluso il grande e sfolgorante disegno di unificazione sotto un unico paterno Stato di tutte le parti di mondo che si trovano all’interno dei “sacri confini”, la cui definizione qualcuno attribuisce con un eccesso di autobenevolenza e con qualche acrobazia teologica al Buon Dio in persona.

 

Con scarsa coerenza patriottica ma con un insperato sussulto di buon senso non si parla più di una quinta crociata nazionale per “liberare” il Canton Ticino, Nizza, la Corsica e San Marino, irriverente foruncolo di libertà dentro al corpo della grande patria tricolore. Uno degli aspetti più sventolati del grande tormentone quindici-diciottesco è costituito dai martiri e dagli eroi, dagli esponenti della maschia gioventù che si sono lanciati nell’avventura e immolati sull’altare della riunificazione, sorta di “ultimo chilometro” di una gara iniziata tanti anni prima da Garibaldi, Mazzini e comitiva cantante.

 

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Nov 06 2016

CINQUE SPUNTI DI RIFLESSIONE PER FOTOGRAFI INSODDISFATTI DEL PROPRIO CORREDO

Category: Fotografie e immaginigiorgio @ 03:31

 

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Bisogna avere il fuoco dentro

 

 

 

Quanto sto per scrivere potrebbe apparire crudo, antipatico, fin anche scostante, ma – ahimè – come si suol dire: la realtà dei fatti non sempre è gradevole. Ma quel che conta, alla fine della lettura, è se quest’ultima possa o meno essere stata utile.

 

 

  1. Il mito del corredo ideale

 

Moltissimi fotografi, principianti e non, trascorrono gran parte della propria vita fotografica alla perenne ricerca del “corredo ideale”, spesso senza neanche rendersene realmente conto o, peggio, senza volerlo ammettere, prima di tutto a sé stessi.

 

Naturalmente, tutti o quasi siamo ben consapevoli che il corredo ideale non esiste: è solo un mito, una ingenua chimera cavalcata nei decenni da un marketing tutt’altro che ingenuo verso (o meglio, contro) una ingenua clientela. E chiedendo ad ognuno, dalle risposte si potrebbe essere tentati di pensare che tale consapevolezza sia reale.

 

Tuttavia, un conto è non inseguire volontariamente una chimera, ben altra cosa è, invece, non finire col farlo inconsapevolmente. Se invece di limitarci alle risposte che ci vengono date a fronte di una domanda diretta, ci mettiamo ad osservare i comportamenti effettivi dei nostri amici e conoscenti fotografi, possiamo facilmente constatare che la gran parte di essi predica bene ma razzola davvero male.

 

Al che, dovremmo porci ragionevolmente una domanda: se così tanti sono vittime inconsapevoli di questo mito, siamo proprio sicuri di non esserne vittima anche noi stessi? Perché il fatto non è affatto trascurabile, ma comporta gravi conseguenze.

 

Infatti, continuare ad inseguire un simile mito – consapevolmente o meno, poco importa – conduce inesorabilmente ad un perenne stato di insoddisfazione, che può degenerare in vera e propria frustrazione. Tale fenomeno è molto diffuso (e non riguarda solo la fotografia, ma è comune a tanti altri settori), al punto che gli è stato dato anche un nome: “Sindrome del Santo Graal”.

 

PRIMA RIFLESSIONE PROVOCATORIA: Come si può sperare di non essere confusi sulla scelta delle attrezzature se nella nostra mente inseguiamo – consciamente o meno – un obiettivo che non è raggiungibile in quanto non esiste?

 

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Nov 05 2016

IL BAMBINO E L’AVVOLTOIO: LA VERA STORIA DI UNA FOTOGRAFIA CHE CAMBIÒ IL MONDO

Category: Fotografie e immaginigiorgio @ 00:10

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Kevin Carter fu un reporter Sudafricano che documentò per il Johannesburg Star diverse circostanze in cui le condizioni di vita in Africa erano terrificanti, immortalando pratiche come il Necklacing ma anche esecuzioni sommarie tipiche di quegli anni di guerra.

Durante la sua breve vita scattò un’immagine che avrebbe cambiato, probabilmente per sempre, la percezione dell’occidente nei confronti delle condizioni di vita in Africa.

Era il 1993 e Kevin si trovava in un recente campo ONU in Sudan vicino al villaggio di Ayod, una regione dilaniata dalla guerra civile e dalle carestie che uccidevano gli abitanti locali.

 

Carter fotografò allora un bambino in evidenti condizioni di malnutrizione che era osservato da un avvoltoio. La foto è di così grande potenza visiva che è difficile, a parole, descrivere anche solo una delle emozioni che riesce a scatenare. Carter scattò la fotografia ma non diede una spiegazione circostanziata su quello che accadde prima e quel che successe dopo il momento dello scatto.

 

 

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Nov 04 2016

DOVE C’È LIBERTÀ C’È LA MIA PATRIA

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Fiume Po, 15 settembre  1996

 

 

di GILBERTO ONETO

 

«La mia patria è ovunque si combatta la mia battaglia», sia che lo si faccia con gli strumenti pacifici della democrazia, o che ci sia bisogno di lotte molto più energiche.

La battaglia per la libertà e per l’indipendenza dei popoli si combatte oggi un po’ dappertutto, dal Quebéc ai Paesi Baschi, dal Darfour al Tibet. Ovunque ci sia qualcuno che lotta per la libertà, l’identità e l’indipendenza,  là – in termini ideali – “è Padania”.

Ma c’è una modalità tutta europea di lotta, una sorta di indipendentismo post-moderno che ha caratteri tutti propri e che avvicina ancora di più fra di loro tutte le nazioni negate del vecchio continente, che sono per questo, ancora “più Padania.

 

L’oppressione europea degli ultimi decenni non è quasi mai esplicita o brutale, non è l’imposizione conclamata di una etnia, di una religione o di un gruppo umano su un altro. Si tratta quasi sempre di oppressioni striscianti e subdole, che si nascondono dietro il paravento della legalità, del riconoscimento democratico (ma limitato) delle alterità. Sono fatte in nome di un interesse superiore, di identità inventate di Stati inventati; sono nascoste dietro il paravento di processi storici che cercano rispettabilità nella loro antichità, sono acquattate dietro a grandi ideali di solidarietà imposte in nome di valori etici. A farne le spese sono comunità civili, evolute, economicamente avanzate, che in genere sono la parte più ricca dello Stato che devono sostenere.

 

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Nov 03 2016

VENEZIA HA IL SUO 121° DOGE, ELETTO ALBERTO GARDIN

Category: Veneto e dintornigiorgio @ 00:12

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Albert Gardin

 

 

Sono convinto che abbiamo compiuto un autentico miracolo politico”.

Albert Gardin, esponente indipendentista della prima ora, è stato eletto Doge. Proprio così: secondo chi sogna una Venezia di nuovo Capitale di una Repubblica autonoma, sabato è stato un giorno cruciale. Per altri, invece, è stato solo un giorno in cui ricordare l’annessione di quella che fu la Serenissima al Regno d’Italia. Per altri ancora, invece, sarà un giorno da ricordare soprattutto per l’intervento della Digos all’interno del Palazzo Ducale.

 

E’ lì, nella sala del Maggior Consiglio, come tradizione vuole, che meno di una decina di indipendentisti nel pomeriggio di sabato si è intrufolata, pagando regolarmente il biglietto.

L’intento era chiaro: eleggere il nuovo doge di Venezia, riprendendo il filo di un discorso concluso il 12 maggio 1797 con Ludovico Manin. Gli indipendentisti, “grandi elettori”, come riportano i quotidiani locali, hanno pagato regolarmente il biglietto, poi hanno iniziato la cerimonia di voto. Nel frattempo, com’era inevitabile, è intervenuta la Digos, che ha identificato tutti i presenti. Gli operatori erano già sul posto, visto che in riva degli Schiavoni dalle 15 in poi di sabato si è trovato un gruppo di poco più di un centinaio di indipendentisti, gonfalone di San Marco in mano, per protestare nei confronti dell’annessione di Venezia al Regno d’Itaia.

 

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Il Doge Albert Gardin

 

Una tappa storica vissuta come un lutto per quanti sono poi entrati in Palazzo Ducale:Ringraziamo la Digos di Venezia, intervenuta impropriamante a disturbare pesantemente la proclamazione e investitura del Doge – dichiara Albert Gardin su Facebook – Hanno dimostrato scarsa professionalità o una professionalità non da paese civile. Non c’erano ragioni per tentare di impedire una cerimonia civile. Perché hanno preteso di identificarci? Per quale ragione? Quale contravvenzione avremmo commesso? Il loro intervento è comunque servito a registrare, verbalizzare i fatti. La polizia italiana ci è testimone che l’elezione del 121° Doge è avvenuta“.

 

Fonte: da Rischio Calcolato, del 23 ottobre 2016

Link: http://www.rischiocalcolato.it/blogosfera/venezia-ha-il-suo-121-doge-eletto-alberto-gardin-214922.html

 


Nov 02 2016

INGV: ALCUNE PRECISAZIONI SULLA MAGNITUDO REALE DEL TERREMOTO DI NORCIA

Category: Geografia e ambiente,Natura e scienzagiorgio @ 04:25

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Norcia. Crollo della Chiesa di San Benedetto

 

 

INGV: la magnitudo locale del forte terremoto del 30 ottobre è pari a 6.1 gradi Richter | 6.5 la magnitudo momento

 

Con un comunicato ufficiale sul proprio blog (https://ingvterremoti.wordpress.com/),INGV ha pubblicato alcuni chiarimenti sulla magnitudo ufficiale del forte terremoto di ieri mattina alle 07.40 Italiane

 

“Il terremoto di ieri mattina, 30 ottobre alle 7.40, ha avuto magnitudo Richter 6.1 e magnitudo momento Mw 6.5.”

 

Così inizia il comunicato, e vogliamo innanzitutto spiegarvi quale differenza c’è fra i due tipi di Magnitudo:

 

La magnitudo Richter o locale (Ml) è stata introdotta dal sismologo statunitense Richter nel 1935 per avere una stima della grandezza dei terremoti che fino a quel momento si basava esclusivamente sulla determinazione degli effetti dei terremoti (scale di intensità). Il semplice concetto introdotto da Richter era che si poteva stimare la grandezza di un terremoto direttamente dall’ampiezza di un sismogramma registrato da un sismografo standard chiamato Wood-Anderson. Richter calibrò quindi una relazione che per ogni aumento di ampiezza di 10 volte delle onde sismiche di frequenza pari a circa 1 Hz, equivaleva un aumento di un grado di magnitudo. La magnitudo Richter quindi è una misura della grandezza relativa tra terremoti e non una stima della reale grandezza dei terremoti.

 

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Nov 01 2016

21 OTTOBRE 1860: IL PLEBISCITO ORGANIZZATO DALLA CAMORRA CONSEGNA NAPOLI AL PIEMONTE

 

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Basta che si manifesti il desiderio di votare per il mantenimento dei Borbone, perché si venga arrestati e rinviati a giudizio per rispondere di attentato a distruggere la forma di Governo; basta un semplice sospetto, perché si proceda al fermo preventivo che impedisce a numerosi cittadini di partecipare alle operazioni di voto.

 

Così scriveva lo storico lucano Tommaso Pedìo, un personaggio al quale i Borbone erano tutt’altro che simpatici. Egli, infatti, era dell’opinione che l’insurrezione popolare “brigantesca” contro il neonato Regno d’Italia fosse una semplice reazione al fatto che la nuova dirigenza, lungi dal mantenere comportamenti tali da migliorare la condizione di vita della plebe, era invece parecchio accanita. C’era poi la questione delle terre, promesse e mai date ai contadini. Secondo il Pedìo, perciò, la volontà di una restaurazione borbonica risiedeva nell’ormai proverbiale “si stava meglio quando si stava peggio”, di gattopardiana memoria, guidata dai vecchi proprietari terrieri.

 

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