Mar 26 2014

OPERE DI BENEFICENZA

Category: Chiesa Veronese Storia Pighi,Libri e fontigiorgio @ 22:18

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Atrio della chiesa della Santissima Trinità. Nel 1536 il vescovo di Verona Matteo Giberti ottenne da papa Paolo III che il complesso  della chiesa della SS. Trinità diventasse una casa di ritiro per donne in difficoltà, le cosiddette “Convertite”. Perché assistessero alle funzioni senza essere viste, fu eretta la loggia, un tempo protetta  da grate.  Un’iscrizione posta nell’atrio della chiesa della SS. Trinità dall’arciprete Gaetano Giacobbe ricorda quest’opera insigne del Giberti: «lo Matth. Gibertus Ep. N. coenobium puellis nuptisq. e vitae coeno revocand. ad frugemque bonam reducendis vectig. ad tributa certisq. legibus constituit».

 

 

VOLUME  II –  EPOCA  IV – CAPO V

 

SOMMARIO. – Santa casa della Misericordia – Conservatorio delle convertite – Compagnia della Carità – Istituzioni rinnovate o ricostituite e migliorate.

 

 

Quanto Verona abbia sempre favorito le opere di beneficenza per i pellegrini, per i poveri, per gli infermi comunque bisognosi dell’altrui carità, apparisce, non fosse altro dalle Notizie storiche delle Chiese di Verona del nostro Biancolini, nella quale opera vengono registrati circa quaranta ospizi, eretti presso a poco entro i sette secoli dal decimo al decimosettimo, oltre non pochi nel territorio(1).

 

Noi qui diremo delle opere di beneficenza erette in Verona al principio e verso la metà del secolo XVI.

 

Nei primordi di questo secolo troviamo un’opera insigne di beneficenza, l’Ospedale della Misericordia; al quale, assai umile nel suo principio, diedero occasione alcuni scandali di donne corrotte e corruttrici.  Un semplice operaio, Giannantonio Ferrari, mantovano, lavoratore di spade, fu mosso a pietà di due povere fanciulle tradite; ne assunse la cura ed il mantenimento, e provvisoriamente le collocò sotto i portici della chiesa di Sant’Agnese, prossima all’anfiteatro, i covoli del quale erano, pur troppo, il ricapito delle corruttrici.  In  seguito, mediante il concorso ed i sussidii di altri benefattori, poté acquistare alcune case adiacenti alla stessa chiesa, ed oltre le povere giovani pericolanti, vi accolse alcuni uomini e donne, che vivevano limosinando per le vie ed alcuni infermi. Questo primo nucleo di persone indigenti della carità altrui apparisce formato verso l’anno 1516.

 

Per quest’opera fu provvidenziale la venuta di S. Gaetano a Verona nel 1519. Egli ben conobbe quanto vantaggiosa fosse questa istituzione, non solo al bene materiale di tanti infelici, ma insieme e più ancora al loro bene spirituale e morale. Tosto vi prestò l’opera sua, visitando, ajutando, confortando gl’infelici ivi raccolti; ed inoltre si interessò per essi presso i rettori della Città, e poté ottenere che fosse loro assegnata una casa più comoda ed adatta allo scopo, la quale era di ragione all’ospitale dei ss. Jacopo e Lazzaro di Tomba. Da allora l’istituzione fu detta Santa Casa della Misericordia, e, nonostante le varie peripezie a cui in questi secoli andò soggetta esiste tutt’ ora e conservò lo stesso nome sino al principio del secolo scorso.

 

Tra gli insigni benefattori di questo ospitale fu il conte Provolo Giusti, il quale con generose largizioni lo soccorse in vita, e più ancora col suo testamento del 12 marzo 1524.

 

Alla santificazione dell’opera coadjuvò molto S. Girolamo Emiliani, venuto da Venezia a Verona l’anno 1530. La sua vita era tutta fra i poveri, coi quali e per i quali girava accattando come essi il pane, cogliendone occasione di istruirli e promuovere in essi la vita cristiana. Prese cura particolare dei giovani orfani (e per qualche pestilenza e carestia erano molti), e cercò di farli ospitare nella Casa della Misericordia. Questa aggiunta di nuovi indigenti non pregiudicò agli interessi della chiesa; anzi ne vantaggiò le condizioni per la cooperazione che le acquistò di insigni benefattori, mons. Ludovico di Canossa ed il nostro vescovo Giammatteo Giberti. Pare che S. Girolamo abbia compilato gli statuti dell’ospitale, e che ad istanza del vescovo Giberti abbia concesso alcuni dei suoi chierici (detti più tardi Somaschi) all’ educazione e direzione spirituale degli orfanelli, che accolti tra gli anni 7 e 12, vi rimanevano fino ai 18.

 

La nuova opera era sotto la protezione di Maria, come ci dice una incisione di Gaetano Zancon: essa rappresenta in alto la ss. Vergine con due angeli che le tengono sollevato il manto, e di sotto i letti degli ammalati e gli orfanelli in atto di preghiera, con la iscrizione: «Regina misericordiae – aegrotantium pupillorum mater – nosocomii civitatis Veronae Mater»(2)

 

Verso la metà di questo secolo, essendo aumentato il numero degli indigenti accolti nell’ospitale, e forse anche diminuiti i proventi, per decreto del Consiglio delle Città furono assegnati alla Casa della Misericordia i beni di altre istituzioni della città e del territorio.

Nel 1600 gli infermi degenti in quell’ospitale erano sessanta.

 

Altra istituzione di beneficenza corporale, ma più ancora spirituale, fu il Ritiro o Conservatorio delle Convertite. Nei primordi quest’opera era una sola con la precedente: ebbe esistenza da sè, quando per l’opera del vescovo Giberti e di S. Girolamo Emiliani si aumentò di molto il numero di donne ravvedute. Prima necessità parve quella di trarle fuori dei pericoli: il Giberti prima le collocò in una casa di Cittadella, poi con la sua destrezza riuscì ad avere l’ex-convento dei Benedettini Vallombrosani adiacente alla chiesa della SS. Trinità; ed ivi poté collocarle nel 1536. In seguito collocò tra esse le orfanelle, che prima erano insieme con gli orfani nella Casa della Misericordia a Sant’Agnese. Un’iscrizione posta nell’atrio della chiesa della SS. Trinità dall’arciprete Gaetano Giacobbe ricorda quest’opera insigne del Giberti: «lo Matth. Gibertus Ep. N. coenobium puellis nuptisq. e vitae coeno revocand. ad frugemque bonam reducendis vectig. ad tributa certisq. legibus constituit»(3).

 

Quanto alla direzione del Conservatorio, il Giberti la affidò a Dorotea Quistelli dei principi di Mirandola; donna, che al dir di Francesco Zini, pare a venuta dal cielo per cooperare in questa santa opera al vescovo: lo stesso Zini minutamente descrive quanto fosse corretta e quasi monastica la vita delle donne e fanciulle ricoverate in quella casa(4). La Quistelli profuse a pro di quella casa i suoi beni in vita e poi anche nel suo testamento: morì nel 1551.

 

Altra opera di beneficenza per Verona fu la Compagnia della Carità, istituita a sollievo spirituale e corporale dei veri indigenti. Autore primo di essa fu il vescovo Giberti, il quale di comune accordo con Luigi Contarini Provveditore di Verona ne pose i primi fondamenti nel 1531. In quest’anno insieme con alcuni deputati della città riuscì a comporre gli Statuti della Compagnia, i quali furono poi a pieni voti accettati ed approvati dal Consiglio della città nella seduta dell’11 maggio 1539(5).

Scopo della Compagnia era sovvenire ai bisogni degli infermi o comunque bisognosi nella propria casa: ma sopra il bene corporale la Compagnia tendeva allo spirituale; intento della compagnia, dice lo stesso Zini, era che nessuno offenda Dio, nessuno amareggi il suo prossimo, nessuno pecchi, e nessuno manchi del cibo e delle cose necessarie, cessi ogni contrasto, ogni odio, ogni rancore, e nell’adorare ed onorare il sommo Iddio omnium sit cor unum et anima una. Questo intento della Compagnia apparisce chiaro anche dai suoi Statuti; i quali suonano, non filantropia, ma vera carità cristiana. Essa fu arricchita di indulgenze dai pontefici Clemente VII e Paolo III, e dal 1539 in poi si diffuse anche in molte parrocchie della diocesi. Così a Verona nel secolo XVI si preludeva alle Conferenze di S. Vincenzo de’ Paoli. (b)

 

Il Monte di Pietà, istituito a Verona sulla fine del secolo precedente, ebbe notevoli incrementi, massime per i consigli ed i sussidi del vescovo Giberti. Inoltre per opera dello stesso vescovo in diversi luoghi della diocesi si fondarono simili istituti: i quali tendevano soprattutto ad impedire il dissanguamento usuraio dei contadini da parte degli Ebrei, fungendo da casse di prestito»,

 

A queste possiamo aggiungere altre istituzioni di beneficenza, come l’ospedale di S. Bovo, quello di Ognissanti, l’ospizio di S. Giovanni in Sacco ed altre, le quali, erette antecedentemente, furono rinnovate o ricostituite e migliorate verso la metà del secolo XVI.

 

 

NOTE

 

 

1 – BIANCOLINI, Notizie delle Chiese di Verona, IV, pag. 786, sego Si vegga anche BAGATTA, Storia degli spedali e degli istituti di beneficenza in Verona (Verona 1862). (a)

 

2 – Sac. ANTONIO PIGHI, Origine del civico ospedale, in Verona Fedele, 23 ma9gio 1912.

 

3 -GIACOBBE-CINQUETTI, Elogi funebri ecc. pag. L VIII. (Verona 1915).

 

4 – FR. ZINI,  Boni pastoris exemplum, presso BALLERINI, Jo M. Giberti opera, pag. 284-288.

 

5 – Furono pubblicati dai BALLERINI, Op. cit., pag. 228-221.

 

6 – GOTHEIN, Die Kulturantwink. suditaliens … , pag. 192 (Breslau 1886)

 

 

ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. V (a cura di Angelo Orlandi)

 

 

a) Sull’argomento di ospedali e di assistenza si veda: V. FAINELLI, Storia degli ospedali di Verona dai tempi di San Zeno ai giorni nostri, Verona, 1962, pp. XIII-505.; G.F. VIVIANI, L’ assistenza agli “esposti” nella provincia di Verona (1426-1969), Verona, 1969, pp. IV-153.

 

b) La “Compagnia della Carità” si diffuse non solo nelle parrocchie della diocesi, ma anche in altre diocesi. Nel 1542 se ne trova una a Salò: Cf. A. CISTELLINI, La “Confraternita della Carità di Salò (1542), in Rivista di Storia della Chiesa in Italia, A. I (1947), pp. 392-408. La diffuse poi il card. A. Valier in alcune diocesi in cui fece la visita apostolica. Cf. A. G. MATANIC, Il  Cardinale Agostino Valier (†1606) iniziatore della Compagnia della S. Carità in Dalmazia ed Istria, in Rivista di Storia della Chiesa in Italia, A. XXII (1968), pp. 492-495; G. MANTESE, Il card. Agostino Valier (1606) e l’origine delle Compagnie della Carità, in Archivio Veneto, s. V, vol. XC, pp. 5-26. L’autore illustra le origini delle Compagnie della Carità di Vicenza e di Sarmego.

 

 

Fonte:  srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume II

 

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