di Anna Iseppon
Fa innervosire leggere che, in epoca preunitaria, un francese vedesse con tanta chiarezza quello che stava succedendo nella penisola e come sarebbe andata a finire. Fa innervosire che lo vedesse prima delle sanguinose guerre risorgimentali, prima del brigantaggio, dei paesi rasi al suolo, prima dell’emigrazione di massa, delle catastrofiche guerre mondiali, prima della dittatura, dello scandalo della banca di Roma, prima di mani pulite, delle olgettine…
Eppure, ancora oggi, molti veneti moderni si ostinano a non vedere. O meglio, solo adesso cominciano a vedere. Meglio tardi che mai! Sappiamo che il risveglio è cominciato e con altrettanta chiarezza sappiamo che sarà INARRESTABILE.
Leggendo un libro di Lorenzo Del Boca (“Polentoni”) mi sono imbattuta in qualcosa che, da molti anni, avremmo dovuto sapere… tutti noi! Vi riporto alcuni stralci del libro in questione
Nel 1848, quando l’Europa è stata incendiata dalle rivoluzioni, Proudhon stava sulle barricate di Parigi e, nel giugno di quell’anno, è stato eletto deputato all’assemblea costituente. Per quello che era possibile in quelle condizioni, il parlamento francese aveva cercato di aiutare i movimenti libertari che si erano sviluppati anche in Italia. […]
Stagione breve. I vecchi regimi sono stati restaurati e Proudhon, per evitare i guai giudiziari delle sue scelte politiche, ha preso la strada del Belgio. Da quell’osservatorio ha seguito le vicende del Risorgimento che gli hanno strappato commenti al vetriolo “Quando l’unità sarà realizzata, il popolo italiano non starà affatto meglio!”. […] Cupe previsioni.
“Il primo effetto della centralizzazione sarà la scomparsa di ogni sorta di carattere indigeno nelle diverse località del paese. Si crede, con questo, di esaltare nella massa la vita politica: invece la si distrugge nelle sue parti costitutive e fin nei suoi elementi. Uno stato di ventisei milioni di anime è uno stato nel quale ogni libertà provinciale e municipale è confiscata a vantaggio di un potere superiore che è il governo. Ogni località deve tacere. Il campanilismo deve fare silenzio.
Si fa appello alla nazionalità e il primo atto dell’indipendenza è fagocitarla: napoletani, romani, lombardi, toscani non sono in Italia più di quanto ungheresi, boemi, croati siano in Austria…Contraddizione clamorosa, derisione della specificità individuali, delusione per un progetto destinato a morire.” […]
“Per far funzionare questa macchina immensa” – sosteneva – “è necessaria una burocrazia prodigiosa e legioni di funzionari. Per difenderla dall’interno e dall’esterno, renderla rispettabile ai propri sudditi e ai propri avversari, occorre un esercito permanente […] Le spese generali dello Stato aumentano in modo proporzionale alla centralizzazione e in modo inverso alla libertà lasciata alle province.” […]
Ed ancora “L’Italia è una lunga penisola, divisa nella sua lunghezza da una catena continua di montagne dalle quali si dipartono, su entrambi i lati, un gran numero di vallate, separate da altrettanti crinali e perfettamente indipendenti. Lo si direbbe lo scheletro di un immenso cetaceo. La conformazione più originale e più decisamente federalista che ci sia al mondo. Queste piccole divisioni sono tanto ravvicinate da poter consentire un mutuo soccorso ma altrettanto indipendenti e libere da ogni vincolo reciproco. Come riunificarle senza fare loro violenza?
Che bisogno c’è di unire sotto uno stesso governo la Sicilia e la Sardegna? Che bisogno hanno queste isole l’una dell’altra, o del continente dirimpetto, per la loro sicurezza, la loro agricoltura o la loro industria? Solo il commercio potrebbe giustificare l’annessione, ma il commercio, l’attività più necessaria dopo il lavoro, è quella che più volentieri fa a meno della centralizzazione. Non c’è forse il libero scambio?
Si potrebbero creare sessanta sovranità in Italia! Del resto è così che ha vissuto per molti secoli, prima della conquista romana e, con la caduta dell’impero d’Occidente, è ritornata alla sua condizione naturale. E fanno mille anni.
La lezione è una sola: è evidente – di un’evidenza immediata – che l’Italia è antiunitaria.[…]
Il movimento dell’unità d’Italia è diventato camarilla governativa. La camarilla è la politica degli affari. Se vogliamo chiamarla con il suo nome è corruzione. Unità dunque centralizzazione, grossi emolumenti, sinecure, monopoli, privilegi, concessioni, regalie”
* “Contro l’Unità d’Italia” di Pierre-Joseph Proudhon
Fonte: visto su VIVERE VENETO del 3 novembre 2013
Link: http://vivereveneto.com/2013/11/03/contro-unita-italia/