Lug 17 2014

EVASIONE FISCALE, LEGALITA’ OPPURE TOTALITARISMO?

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di MATTEO CORSINI

 

In occasione del 240 anniversario della istituzione della Guardia di Finanza, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha pronunciato le parole

“L’evasione fiscale ha effetti distorsivi sull’allocazione delle risorse e interferisce con il normale funzionamento della concorrenza nel mercato.”

Parole che suonano come un copia e incolla di quello che tutti i suoi predecessori hanno detto in occasioni simili.

 

La narrazione di quelli che credono (o vogliono far credere) che il problema dei problemi dell’Italia sia l’evasione fiscale si basa su alcuni punti fissi, uno dei quali è proprio la presunta distorsione sull’allocazione delle risorse e sulla concorrenza nel mercato.

 

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Lug 17 2014

I GIORNALISTI? SONO PIÙ DISONESTI DEI POLITICI»

Category: Media e informazionegiorgio @ 13:31

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Massimo Fini

 

 

LUNGA INTERVISTA A MASSIMO FINI, SULL’ONESTÀ DEL GIORNALISMO E SULLA FEDELTÀ A SÉ STESSI

 

Andrea Coccia

Quando sei convinto di avere un appuntamento a casa di Massimo Fini alle 6 di sera e alle 4, mentre stai riguardando le domande che ti sei preparato, il telefono squilla con il suo nome sullo schermo, sei portato a pensare che l’intervista che stavi aspettando da settimane non sia esattamente partita con il piede migliore. Prima di rispondere ti schiarisci la voce, poi scorri il tuo ditone sullo schermo e rispondi: «Sì, pronto, buonasera… sì… effettivamente… alle 6… non c’è problema… in un quarto d’ora sono lì…».

 

La prima volta che vidi Massimo Fini fu un pomeriggio di settembre della prima metà degli anni Duemila, mi sembra il 2004. Eravamo a Mantova, lui in una delle sue rare apparizioni festivaliere — a presentare Sudditi. Manifesto contro la democrazia, che era uscito da poco per Marsilio — io nelle vesti di un giovane volontario del Festivaletteratura, di quelli con la maglietta blu. Non avevo idea di chi fosse, non lo avevo mai sentito nominare e men che meno l’avevo sentito parlare o avevo letto qualche suo articolo. Era un perfetto sconosciuto, ma mi capitò di prestare servizio proprio al suo evento, e lo ascoltai, seduto per terra, con le gambe formicolanti, per una bella oretta e mezza. Alla fine, quando mi alzai, ebbi la netta sensazione di non essere esattamente la stessa persona di quando mi ero seduto. E non soltanto perché non sentivo più la gamba destra. Nei dieci anni che separano quella gamba formicolante da quel telefono che vibra sono successe un sacco di cose: Fini ha scritto altri libri — ma non è più tornato a Mantova — ha cominciato a scrivere sul Fatto Quotidiano (che all’epoca ancora non esisteva) e ha fondato un movimento. Io, invece, che intanto sono decisamente meno giovane e non metto più magliette blu nemmeno durante il Festival, di Massimo Fini mi sono letto un sacco di libri: cominciando da Sudditi, che lessi d’un fiato proprio quella sera, passando poi per Il vizio oscuro dell’Occidente, il Di[zion]ario erotico, La Ragione aveva torto?, il Mullah Omar e Ragazzo, fino a Il Conformista, piccola bibbia del giornalismo sulle cui pagine torno spesso, soprattutto nei momenti di difficoltà. Insomma, Massimo Fini è per me un personaggio dannatamente affascinante. E lo è per un motivo che insieme è molto semplice e molto raro: è uno dei pochissimi giornalisti che oggi, in Italia, è dotato di una straordinaria onestà intellettuale, di un’irriducibile coerenza con se stesso che viene sempre prima di ogni altra cosa e che lo ha portato spesso a giocarsi tutto — visibilità, carriera, fama — pur di non sacrificarla. È per tutte queste cose che il 3 giugno, alle 5 del pomeriggio, accompagnato dall’immancabile ansia tipica di questi incontri, mi sono ritrovato nel salotto di Massimo Fini, un salotto stracolmo di libri, impilati sul tavolo, appoggiati disordinatamente su sedie e tavolini, pigiati nella libreria-muraglia, su scaffali dalla tassonomia diligentemente etichettata.

 

«Sono figlio di un giornalista», attacca lui, alla mia domanda su come ha iniziato a scrivere per i giornali, «ma per ribellismo non ho voluto fare il lavoro di mio padre, almeno all’inizio. È per questo che da giovane ho fatto un sacco di lavori diversi. Ho lavorato alla Pirelli — un lavoro straziante — ho fondato un’agenzia pubblicitaria e molte altre cose».

 

Uhm, tanti lavori diversi. Mi ricorda qualcosa.

 

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