Ott 03 2009

Le cinque giornate di Milano

Category: Italia storia e dintornigiorgio @ 09:50

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RISORGIMENTO.  L’ALTRA VERITA’

Cimch Giornad, Milan la fa deperlee

Li insorti del marzo 1948 misero in fugga l’esercito austriaco contando solo sulle proprie forze: Carlo Alberto si mosse quando la città era libera.

Chiamiamo il ladro…. solo Carlo Alberto può mettere mano a quest’affare”.

Anche se appariva sfrontato e, per certi versi insultante, Massimo d’Azeglio diede proprio questo consiglio ai patrioti torinesi che non sapevano come fare per aiutare i colleghi di Milano, insorti contro gli austriaci e in guerra da cinque giorni. Occorreva rivolgersi a quel furfante del re del Piemonte che tutti cercavano di scansare – tanto poco lo stimavano – ma che, in quella occasione e per ragioni assai lontane dalle loro,  poteva tornare utile al progetto di chi sognava un’ Italia libera e indipendente.

Massimo d’Azeglio era bravino in tutto senza riuscire ad eccellere per davvero in qualcosa: pittore, poeta, tragediografo, politico, ammiratore delle gambe delle ballerine. Si trascinava da sempre una crisi depressiva che, allora; non era una malattia riconosciuta dalle discipline mediche, dunque. inesistente e, perciò, incurabile. Chi ce l’aveva ugualmente si ritrovava con un carattere che, incline al pessimismo, sfociava facilmente nella melanconia. Nel suo caso gli faceva assumere un atteggiamento annoiato tanto da renderlo apatico e, quasi, indifferente a quello che gli capitava intorno. Perciò assisteva al dipanarsi delle polemiche letterarie, contribuiva al dibattito parlamentare, partecipava a costruire scenari di un futuro che non immaginava lontano ma lo faceva senza entusiasmo. Anzi: con quell’aristocratico distacco che gli impediva di inorgoglirsi quando veniva nominato Presidente del Consiglio e lo lasciava abbastanza incurante se lo “rombavano” senza che fosse responsabile di disastri ministeriali.

Tuttavia, almeno un vantaggio c’era: i suoi giudizi, proprio perché disinteressati, non erano mai avari di schiettezza. Dunque, alla congrega di carbonari che, dopo anni di riunioni velleitarie, si trovavano alle prese con un fatto vero maturato a Milano, motivò la sua proposta di bussare al portone di palazzo Carignano.  “Se invitate un  ladro a essere galantuomo e che ve lo prometta, potreste dubitare che mantenga. Ma invitare un ladro a rubare e aver paura che vi manchi di parola, non vedo il perché...?!”.

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