Feb 14 2014

L’AUTORITÀ VESCOVILE UN PO’ SCOSSA

Category: Chiesa Veronese Storia Pighi,Libri e fontigiorgio @ 13:22

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Elenco delle reliquie in occasione della Consacrazione della Chiesa di S. Giorgio/S. Elena  da parte di Andrea, patriarca di Aquilea (842-847).  Chiesa di S. Elena, presso il  Duomo di Verona

 

 

EPOCA II – CAPO XV

 

SOMMARIO. – I Canonici – Contese col vescovo Raterio – Contese col vescovo Milone – La « Canonica S. Mariae et S. Georgli» – Il prevosto «custos et rector S. veronensis ecclesiae» – Congregazioni del clero – Rilassamento della disciplina – Vescovi eletti dal clero, altri dagli imperatori – L’elezione dei vescovi dopo la lotta delle investiture – Autorità del Patriarca di Aquileia in Verona – Abbazia di S. Zeno.

 

 

Da quanto abbiamo detto nei capi precedenti è chiaro che la vita religiosa della nostra chiesa dal principio del secolo X alla metà del secolo XI rimase sopraffatta ed attutita dalle vicende politiche. Le stesse vicende forse trassero seco un’altra conseguenza, un rallentamento nel clero e nei fedeli di quello spirito di sommissione, che dovrebbe stringere i sudditi ai loro superiori: così in quest’epoca troviamo nelle corporazioni del clero regolare e secolare una tendenza a sottrarsi alla giurisdizione del vescovo di Verona (a).

 

Una mutazione radicale avvenne nel corpo del clero maggiore addetto alla chiesa di S. Maria Matricolare (cattedrale) verso la metà del secolo X. Gli ordinari, seguendo l’esempio di altre chiese della Francia, cominciarono a radunarsi a vita comune nelle case che avea loro lasciate il vescovo Ratoldo: da allora si dissero canonici, ed il luogo di abitazione comune si disse canonica. Certamente questa vita comune giovò per unificare gli animi dei canonici ed intensificarne l’operosità e regolarizzare meglio l’ufficiatura della cattedrale e sopprimere od almeno attenuare quel brutto vizio della « mulierositas ».

Dobbiamo per altro deplorare che essa forse influì ad acuire l’opposizione dei canonici verso il vescovo Raterio, massime a riguardo dell’amministrazione dei beni della cattedrale. Chè anzi nell’anno 967, mentre Raterio tentava introdurre una più equa distribuzione dei beni tra i canonici ed i sacerdoti e chierici minori, i canonici ricorsero al papa Giovanni XIII, e questi sotto pene gravissime impose a Raterio che nè egli nè alcuno dei suoi successori « de clericorum se inframitteret rebus» (1).

Altra sentenza ancor più favorevole, non solo per l’amministrazione dei loro beni, ma anche per la loro esenzione personale, avrebbero avuto i canonici da  Rodoaldo patriarca di Aquileia con altri canonici e sacerdoti e « commilitones domini Ratherii episcopi », radunati nel monastero di S. Maria in Organo il 14 maggio dell’anno 968.

Ma tanto il  Judicatum, quanto il suo Compendium (2), sono documenti fabbricati in epoca posteriore: le prove date dal Ballerini son troppo evidenti (3), e non vengono punto confutate da quanto nel secolo XVIII ne scrissero gli apologisti dei privilegi canonicali (4).

 

Altre contese pare abbiano avute i canonici anche col vescovo Milone successore di Raterio; ma non è del tutto certa l’autenticità della lettera del papa Benedetto VI, che ne sarebbe l’unica prova (5).

 

Non possiamo definire quali siano state le relazioni dei canonici coi vescovi del secolo seguente; poiché nulla ci dicono i documenti. Però è molto verosimile che esse non fossero troppo benevole, massime per il fatto che i vescovi furono nominati dagli imperatori, e non scelti tra il corpo dei canonici: anzi erano quasi tutti forestieri; e l’unico veronese, Giovanni, non era canonico, ma prete della chiesa dei santi Apostoli.

 

Oltre il corpo dei canonici, detto più tardi capitolo, v’era pure un corpo di sacerdoti e chierici addetti alla chiesa cattedrale, i quali forse vivevano essi pure in comune.  Sin verso la metà del secolo XI ricorre ancora la « schola sacerdotum »: la quale probabilmente, più che un ceto di insegnanti e discenti, indicava il ceto di questi sacerdoti. In seguito quell’appellativo sparisce; e sottentra l’altro  « canonica santae Mariae et sancti Georgii »(6), che dovrebbe designare l’insieme dei due ceti ecclesiastici addetti all’ufficiatura ed alla cura della cattedrale (7). Così, mentre il servilismo dei vescovi verso il potere laico era a discapito della loro autorità spirituale, sorgeva presso il vescovo questo potente collegio di canonici, il cui prevosto in un documento dell’anno 1104 è detto nientemeno che « custos et rector sanctae veronensis ecclesiae » (8).

 

 

Probabilmente per le stesse ragioni verso la metà del secolo X si formò tra i rettori delle chiese urbane un’altra associazione, detta poi « Congregatio veronensis », e più tardi « Congregatio intrinseca» o «cleri intrinseci », quando una simile congregazione si formò tra i plebani e rettori delle chiese rurali.  Questa congregazione intrinseca avea il suo presidente eletto dai rettori stessi, e chiamato « Archipresbyter »: il primo, di cui si ha memoria, è Ghiselberto nell’anno 976, di cui si fa menzione nelle costituzioni della congregazione (9). In seguito, forse dopo il concordato di Worms, agli arcipreti delle due congregazioni insieme col capitolo dei canonici fu dato il diritto di eleggere per compromesso il vescovo di Verona.

 

La formazione di queste corporazioni del clero dovea naturalmente limitare il potere del vescovo, e quindi paralizzare la sua autorità con detrimento della disciplina e dei buoni studi. Di questa esautorizzazione dell’autorità episcopale si lamentava ai suoi tempi Raterio, senza voler riconoscere che non tutta di altri ne era la colpa.

Un tentativo di indipendenza dei rettori di alcune chiese si ebbe durante l’episcopato di Otberto e diede occasione al concilio tenuto a Verona dal patriarca di Aquileia nel 995; e nell’anno 1022 il vescovo Giovanni deplorava che prima della sua venuta a Verona la disciplina dei rettori delle chiese e dei monasteri fosse quasi annientata: «Il ius episcopii ecclesiarum culmina atque coenobitarum regula ferme … ante nostri adventum fuerant deleta »(10).

Tuttavia la formazione di queste corporazioni nei disegni di Dio fu provvidenziale per l’avvenire della nostra chiesa. Dopo la morte del vescovo Walterio (1052) la chiesa veronese ebbe un numero stragrande di Vescovi; di alcuni dei quali nulla sappiamo, neppure la legittimità o le circostanze della loro elezione. È verosimile che durante il periodo della lotta delle Investiture si avessero contemporaneamente due Vescovi: uno imposto dagli imperatori e rigettato dal capitolo e dalla congregazione;  l’altro eletto dal capitolo e dalla congregazione e non riconosciuto dall’imperatore.

Così, dopo che la chiesa riebbe la sua libertà per il concordato di Worms, l’elezione del vescovo quasi da sé divenne diritto del capitolo, della congregazione del clero intrinseco e della congregazione del clero estrinseco formatasi poco dopo la precedente. Queste tre corporazioni designavano i loro rappresentati, i quali per compromesso eleggevano il vescovo: pare che il primo vescovo eletto in questa forma sia stato Tebaldo nell’anno 1135. Questo diritto fu confermato alla congregazione intrinseca per la terza parte dal pontefice Urbano III con bolla data da Verona, il 28 gennaio 1186: «Jus et auctoritatem, quam pro tertia parte in efectione vestri Pontificis habuistis hactenus et habetis, vobis et per vos successoribus vestris auctoritate apostolica confirmamus »(11). Con gli stessi termini la confermò pure il pontefice Innocenzo III con bolla del 23 maggio 1202(12).

 

A restizione dell’autorità episcopale era pure la soggezione immediata di alcune chiese e monasteri alla giurisdizione del Patriarca. Per questo titolo i canonici della cattedrale pretendevano d’essere esenti dalla giurisdizione del vescovo, almeno nella chiesa di S. Giorgio; e ciò in forza di un atto del vescovo Ratoldo del 16 settembre 813 (13).

Certamente nell’epoca, di cui trattiamo, ne erano esenti la chiesa ed il monastero importantissimo e ricchissimo di S. Maria « in Organo », e con esso altre chiese e monasteri da esso dipendenti: tali erano il monastero di S. Maria in Solaro, le chiese di S. Maria antiqua, di S. Siro, S. Margherita, S. Faustino, Santa Apollonia, S. Cecilia, e parecchie del territorio. Difficile è definire quando abbia avuto principio questa soggezione immediata al patriarca di Aquileia: probabilmente essa risale agli ultimi decennii del secolo X (14). In forza di essa il patriarca di Aquileia, non solo ufficiava in alcune chiese di Verona, ma sedeva «pro tribunali» nel monastero di S. Maria in Organo, nella chiesa di S. Maria antiqua  ed in altre; ed il vescovo di Verona interveniva, non quale giudice o presidente, ma quale persona dei cui diritti o torti si dovea trattare: così avvenne nel giudizio tenuto nella chiesa di S. Maria antiqua l’anno 995.

 

Anche le relazioni tra l’abbazia di S. Zeno ed il vescovo di Verona subirono qualche modificazione in quest’epoca.  L’ultimo ricordo sulla connessione tra quella e questo si ha nel fatto di Ottone I, che nel 967 dà una somma a Raterio per riparare la basilica di S. Zeno, forse danneggiata per le incursioni degli Ungheri. Ma « al principio del secolo XI ogni relazione è già scomparsa, e l’abbazia procede per la sua via del tutto indipendente dai vescovi »(15).

 

 

 

NOTE

 

 

1 – RATHERIUS, Op. Apologeticus Liber, Num. 7, col. 507.  Di fronte a questa intimazione e la sanzione «perpetuo anathemate “, Raterio sfoga l’animo suo in pieno stile rateriano, chiamando Roma «urbem venalem » e la lettera del papa « emptas quasi apostolicas litteras ».

 

2 – BALLERINI, Ratherii Op., col. 663-666.

 

3 – BALLERINI, Rath. Op., Admon., post col. 652, De privilegiis … pag.  77, La falsità … pag. 57, Conferma.: 102. Vedi anche GIULlARI, Archivio Veneto, XVIII, 15.

 

4 – DIONISI, Apologiche riflessioni; FLORIO, Dei privilegi… del Capitolo di Verona (Roma 1754).

 

5 -Vedi nel capo precedente la Nota 9.

 

6 – Cosi in Atto del 1007, presso MAFFEI, Istoria teol., App., pag.  215. 7 SPAGNOLO, Le scuole acolitali, pag. 6, seg.

 

8 – Presso MUSELLI, Cronaca ed appunti per una storia della chiesa veronese, all’anno 1104. (E’ un manoscritto della biblioteca Capitolare).

 

9 – BIANCOLINI, Chiese di Verona, II., 531; IV. 542.

 

10 – Presso MAFFEI, Istoria teol., Append., pag. 245. Il Canonico L. Gaiter nel 1877 scriveva che Leone IX nel 1050 era venuto a Verona anche allo scopo di riordinare alcuni monasteri di uomini e di donne.

 

11 – Presso BIANCOLlNI, Chiese di Verona, IV. 545; JAFFE’, Num. 15526.

 

l2 – Presso BIANCOLlNI, Chiese, IV., 549; POTTHAST, Regesta RR. PP. II.  Addenda, Num. 1680a.

 

13 – Ne abbiamo trattato nel Capo III. (Bollett, eccl. 1917, pag. 135).

 

14 – Cosi pensa BIANCOLlNI, Chiese di Verona, I, 289.

 

15 -.SIMEONI, La Basilica di S. Zeno in Verona, pag. 9.

 

 

ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. XV (a cura di A. Orlandì )

 

 

(a) pag. 278. – L’autore, in questo capitolo, come in altri casi, prende un atteggiamento decisamente apologetico, che si comprende bene rapportato all’epoca in cui egli scriveva. Tuttavia bisogna riconoscere al Pighi la conoscenza dei documenti e l’onestà nel riferirli, anche se poi egli cerca di interpretarli nella maniera più benevola possibile.

Dobbiamo aggiungere che restano ancora da chiarire i motivi per cui si formarono i corpi ecclesiastici (Capitolo canonicale e congregazioni del clero «intrinseco» ed « estrinseco ») di cui si parla nel capitolo. Non pare giusto attribuire il fatto a semplici atteggiamenti di ribellione: vi era certamente anche un motivo di difesa non solo di privilegi, ma anche di una propria fisionomia culturale da imposizioni che talora non ne tenevano conto e che d’altra parte non avevano diretta connessione con problemi di fede.

 

 

Fonte:  srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume I

 

 

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