Feb 12 2014

CONDIZIONI CIVILI DI VERONA NEL SECOLO X

Category: Chiesa Veronese Storia Pighi,Libri e fontigiorgio @ 00:03

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Affreschi del X – XI  secolo, proveniente  dal sacello  dei Santi Nazzaro e Celso sotto il monte Costiglione o Castiglione,  dietro l’attuale chiesa di San Nazzario e Celso.  Attualmente si trovano al museo degli affreschi di Verona

 

 

 EPOCA II – CAPO XIII

 

SOMMARIO. – Importanza della città di Verona – Sua annessione al regno germanico – Preludi all’indipendenza comunale – Privilegio del « Mundeburdium » – Potere dei vescovi – Privilegi della chiesa veronese – Concessione ad alcuni uomini di Lazise – Gli « urbani » veronesi giudici in una causa contro il vescovo Raterio – Invasione degli Ungheri – « Iconografia rateriana » – Quale fosse Verona – Cinte murali – Cultura letteraria – Scuola calligrafica – Inizii della Lingua italiana – Alcuni affreschi.

 

Sotto questo appellativo « condizioni civili », intendiamo comprendere tutte quelle, che per sè sono estranee alla religione; spettanti sia alla politica od alla topografia, sia alla cultura letteraria ed artistica, ecc.

 

Sotto l’aspetto politico il secolo X è uno dei più importanti nella storia di Verona; sia, perchè  in essa ed attorno di essa si svolsero molteplici e varie vicende di lotte politiche: sia,  perché  in tal secolo essa acquistò una specie di preminenza sulle altre città dell’Italia superiore, ed in essa si radicarono quei germi di autonomia comunale, che ebbero poi il loro completo sviluppo nei secoli posteriori.

 

Verona ripete i primordi della sua importanza fra le città del regno italico dal re Berengario I, che la ebbe a sua residenza ordinaria, e l’avrebbe resa prospera e forse, se il suo regime non fosse stato turbato da nemici e da fedifraghi amici.  Ucciso Berengario (924), Verona fu quasi il centro di nuove lotte fra varii principotti, Ugo di Provenza, Milone, Rodolfo, Lotario, Arnolfo.

Sperava di goder un po’ di pace, quando venuto a Verona nel 950 Berengario II, e bene accolto dai veronesi memori delle benemerenze del suo zio, riuscì ad impossessarsi del regno d’Italia, e farsi coronare re insieme col figlio Adalberto in S. Michele di Pavia (15-20 dicembre 950).

A rassodare la sua posizione Berengario tentò di fare sposa a suo figlio Adalberto la giovane Adelaide, vedova di Lotario, che era morto il 22 novembre 950, forse avvelenato per ordine di Berengario. Deluso nei suoi tentativi, perseguitò l’infelice Adelaide e la fece rinchiudere nella rocca di Garda (1): indi nuove sommosse degli italiani, che chiamarono in Italia Ottone re della Germania.  Questi si impadronì facilmente del regno d’Italia, e lo affidò allo stesso Berengario ed al figlio Adalberto con la condizione che lo riconoscessero come in feudo da Ottone e gli giurassero fedeltà.  Ne tolse però l’antica Marca foroiuliese e con essa anche Verona, che diede al proprio fratello Enrico duca di Baviera: questa, secondo i Ballerini, sarebbe l’origine della Marca veronese, la quale avrebbe così sostituita la tridentina (2): primo duca o marchese fu Enrico figlio di Ottone nel 952.

Ottone scese una seconda volta in Italia nell’agosto dell’anno 961; e, superata l’opposizione fattagli da Adalberto alla Chiusa, si fece coronare con la corona ferrea a Pavia verso la fine del 961. Così l’Italia superiore e, con essa Verona, fu annessa definitivamente alla Germania.

 

Questa annessione, che a prima vista e secondo gli odierni ideali parrebbe un servaggio, fu per i veronesi la restaurazione della pace, il primo inizio di libertà, anzi un preludio a quella autonomia, che si maturò poi all’ epoca dei comuni nei secoli XII e XIII.

Ottone I, principe religioso, quanto valente in guerra, altrettanto savio e prudente in pace, non volle fare Verona tedesca, ma più italiana di prima, e seppe cattivarsi la stima e l’affetto dei veronesi, usando la sua naturale fierezza per restituire anche a Verona quella tranquillità dell’ordine, in cui consiste la pace. Anzi, ed egli ed i due Ottoni suoi successori con ampie concessioni e privilegi appianarono lentamente la via a libertà sempre maggiori. « L’unione di Verona con una provincia tedesca non trasformò la popolazione cittadina: anzi quasi si potrebbe dire che la stessa fusione politica fosse in certo modo piuttosto nominale, che effettiva »(3). Questa fusione fu poi confermata da Ottone II, quando nella dieta dei Grandi tenuta a Verona nel giugno 983 fece eleggere a re di Germania e d’Italia suo figlio Ottone (III).

 

Il primo privilegio che troviamo concesso da Ottone I ad alcune comunità di Verona, è il « Mundeburdium ». A quanto riferisce Raterio, esso era « quoddam genus regalis tuitionis; quod qui habuerit, speciali quodam privilegio ita regia tuetur (passivo) auctoritate, ut nec vi nec iudicio aliquid etiam in culpa reprehensus ab aliquo patiatur, antequam in praesentia eiusdem maiestatis audiatur »(4).  Era adunque una esenzione dai duchi o marchesi od altri rettori di Verona, un diritto di essere giudicati direttamente dall’imperatore o da un messo imperiale.

Nei documenti conosciuti troviamo concesso questo privilegio a tre comunità di Verona con diploma del 9 ottobre 951; ai canonici di Verona ed a due ospitali: « Nos … veronensem congregationem cum canonica ipsius ecclesiae sub nostri mundeburdii tutelam accepimus; … nec non et illa duo xenodochia, unum quod obtulit Notkerius sanctae ipsius ecclesiae episcopus; aliud quod obtulit Dagibertus diaconus; unum quod nominatur State, aliud quod est infra ipsam urbem cum ecclesia sancti Sebastiani; et omnia illuc aspicientia inibi confirmo eo tenore, quo sub nostrae permaneant aula defensionis, nostraeque providentiae immunitate perpetua; prohinde volumus ut nullus iudex publicus aut ulli iudiciaria potestas aliquam his exerceat potestatem in vicis aut in castellis aut in libellariis ... »(5).  Lo stesso privilegio concesse Ottone I al monastero di S. Zeno con diploma del 3 dicembre 961 (6).

 

L’imperatore Ottone I si studiò pure di accrescere il potere ai vescovi, opponendoli così ai principi secolari, in mano dei quali lo stato era piombato nell’anarchia (7). Con diploma del 5 novembre 967 concesse al nostro vescovo Raterio il «mundeburdium», accennando che già lo aveano anche altri vescovi.  Con lo stesso diploma concesse alla chiesa veronese, e perciò a Raterio e suoi successori, intiera giurisdizione sulle terre e castelli proprietà della chiesa veronese, con diritto di giudicare i coloni che vi abitassero, in guisa che nulla in dette terre e castelli comandassero nè i viscontinè gli sculdascii: confermò pure ai vescovi di Verona il diritto di teloneo sulle due porte di S. Zeno e di S. Fermo, due porzioni del ripatico di Verona e tutto quello del castello di Porto presso Legnago (8).

 

Il nostro Cipolla dà molta importanza ad un diploma di Ottone II, dato il 7 maggio 983(9).  Quel diploma accordava diritti e favori ad alcuni uomini che abitavano nella terra e nel castello di Lazise sul lago di Garda: il Cipolla vi riconosce nientemeno che l’organizzazione di una forma qualsiasi di governo popolare in quel villaggio, dove mancavano i vincoli del governo ufficiale; vi vede una prima apparizione di Comune (10) (a).

 

Una tal quale apparenza di assemblea popolare si ha pure in un fatto, a dir vero, poco onorifico per Verona.  Ad un processo mosso contro il vescovo  Raterio, sotto la presidenza del conte Nannone, quale messo imperiale, furono chiamati i cittadini «urbani »: non quali testi, ma quali giudici. « Ipsa beati Pauli Apostoli solemnitate pene tota civitas affuit », Alla domanda di Nannone « Quid vobis videtur, de isto prato, quem exaratum videtis? Responderunt omnes: Pessime … Quid iudicatis de ista domo (la residenza vescovile), quam sic destructam videtis? – Culpa est episcopi – omnes respondent … »(11). In questa forma di procedere il Cipolla vede un fatto sintomatico, una preparazione all’assemblea comunale.

 

Abbiamo detto che questa assemblea è un fatto poco onorifico per Verona: i veronesi, chierici e laici, giudicano e condannano il loro vescovo.  Raterio qualifica questo giudizio per una usurpazione dei diritti di Dio. Mentre dovevano rispondere: « Quid ad nos? Hoc penes omnes homines ipse efficit Deus », essi, gli « urbani… porcino magis universi concrepaverunt stridore ». Questo insulto del « vulgus veronense », commesso il 30 giugno del 968, indusse Raterio ad abbandonare definitivamente Verona sulla fine del luglio seguente od al principio dell’agosto; lasciando così la sede di Verona a Milone, che l’avea usurpava nel 951.

Per altro la memoria di Raterio fu più tardi rivendicata nel concilio tenuto a Reims verso l’anno 991; nel quale furono abrogati tutti i decreti, « quae circa Ratherium Veronensem Episcopum provenerunt ».

 

Dal complesso di questi fatti apparisce come non senza ragione fu detto essere stato Ottone I il fondatore dei nostri comuni: egli iniziò quella serie di atti e di provvedimenti, che nel loro svolgimento naturale dovevano più tardi condurre alla vita vigorosa dei comuni.

 

Per completare questa breve relazione sulle condizioni politiche di Verona, aggiungeremo come i suoi suburbi furono in quest’epoca più volte molestati dalle scorrerie degli Ungheri (negli anni 899,906, 924, e forse 951), e ne rimasero assai danneggiate le chiese di S. Zeno, S. Procolo, S. Fermo, S. Nazaro (12).   Per evitar una profanazione e forse un furto del corpo di S. Zeno, questo fu allora trasferito nella chiesa di S. Maria Matricolare, donde tornò ben presto alla sua basilica (13).

A riparare i danni di quella basilica concorse l’imperatore Ottone I, rimettendo a tale scopo una somma nelle mani del vescovo Raterio (14).  nche queste incursioni degli Ungheri indirettamente giovarono per favorire gli inizii di indipendenza; poiché i re e gli imperatori permisero ai vescovi, ai canonici, alle plebi, di fabbricare mura e castelli per difendere i loro diritti e proprietà dagli Ungheri.  Così sorsero i castelli e le torri di Caldiero, Montorio, Monteforte, Nogara, Cerea, Porto e Legnago (15).

 

Per la topografia di Verona nei secoli IX e X è della massima importanza la così detta « Iconografia Rateriana ». Fra i preziosi tesori di memorie veronesi raccolti da Scipione Maffei nel suo viaggio scientifico in Francia, nel Belgio, in Germania (1732-1736), si trova un codice del monastero di Lobes contenente molti manoscritti di origine veronese, probabilmente colà trasportati da Raterio nel suo ultimo ritiro da Verona nell’agosto 968.  In un catalogo di questi manoscritti, tra gli altri titoli si trovava questo « Civitas Veronensis depicta ». In seguito l’abate Teodolfo di Lobes, dietro istanza del Maffei, gli trasmise una copia di questa Civitas Veronensis depicta: altra copia per mezzo di un mercante di Aquisgrana se ne procurò il Biancolini dall’abate Dubois nel 1752.

Così ne vennero a Verona due copie; mentre l’originale perì, quando l’archivio del monastero di Lobes andò distrutto sulla fine del secolo XVIII. Ora ne abbiamo due riproduzioni, rare ambedue. Il Biancolini pubblicò nel 1757 quell’iconografia secondo la copia che egli se ne avea procurata direttamente (16): il Cipolla pubblicò la copia del Maffei nell’anno 1901 in un periodico scientifico di Roma (17).

 

Tra i nostri eruditi si disputò sull’epoca di questa iconografia.

Il can. Dionisi la volea connessa e contemporanea ai Versus de Verona; e perciò la attribuiva al principio del secolo IX (18):  il Cipolla la vuole di molto posteriore; secondo lui, appartiene alla fine del secolo IX, e forse ai primi decenni del secolo X: perciò sarebbe di poco anteriore a Raterio (19): certo è anteriore all’anno 915, perché vi manca la chiesa di S. Siro. Secondo alcuni sarebbe opera di Raterio: secondo altri, Raterio la copiò o la fece copiare e la inserì nel codice, che egli portò poi al monastero di Lobes (20).

 

L’iconografia in forma rozza e grossolana ci presenta Verona quale era in quell’epoca, veduta presso a poco dal punto dove ora si trova la Cittadella.  Alla sommità del colle a sinistra dell’Adige sta una chiesa con la scritta « Ecclesia sancti Petri »: alla quale si ascende per una scala angolosa con la scritta « gradus ».  A destra (di chi guarda) e un po’ sotto, un fabbricato « Arena minor »: indi un altro « Palatium ».

Più lontano, presso a poco dove ora si trova la chiesa di S. Zeno in Monte, sta una fabbrica rotonda con la scritta « Orfanum ».  Su questo titolo hanno pur disputato i nostri: alcuni lo vorrebbero un errore per «organum », arsenale (come dicono alcuni), che certo esisteva in questi dintorni: ma non v’è dubbio che l’originale avea «orfanum »; il Biancolini congettura che fosse una specie di orfanotrofio.

Il fiume (Atiesis nella copia di Biancolini, Athesis in quella del Maffei) sbocca da una testa barbata: su di esso sta il « Pons marmoreus », l’unico allora esistente, perché del ponte Postumio non rimanevano che l’appellativo del posto « Pons fractus ».

Sulla destra dell’Adige sta l’anfiteatro con la scritta « Theatrum », ed una fabbrica rotonda « Horreum ». Secondo il Biancolini vi sarebbero rappresentati due recinti di mura (romane e teodoriciane), cinque porte, la residenza vescovile, gli archi del foro, e dieci chiese oltre quella di S. Pietro.

Secondo le Memorie storiche sulle chiese di Verona premesse allo Stato personale, verso la metà del secolo X esistevano in Verona quarantotto chiese: ma non sappiamo su quali documenti sia basata questa asserzione (b).

 

Attorno ai lati del panorama stanno questi distici:

 

De summo montis castrum prospectat in urbem

Dedalea factum arte viisque tetris.

Nobile, praecipuum, memorabile, grande theatrum

Ad decus exstructum, sacra Verona, tuum.

Magna Verona, vale: valeas per saecula semper

Et celebrent gentes nomen in orbe tuum!

 

 

Crediamo che questi pochi cenni bastino per far comprendere la somma importanza storica di questo documento felicemente dopo otto secoli ricuperato dai nostri Maffei e Biancolini (21).

 

Biancolini, basato sulla iconografia ed altri documenti di quell’epoca si studia di ricostruire la Verona dei secoli IX e X, massime in riguardo alle sue cinta murali (22).

Sulla destra dell’Adige, le mura dette di Gallieno dall’Adige venivano fin presso la chiesa attuale di S. Nicolò; indi piegando ad angolo retto tornavano all’Adige passando presso la chiesa attuale di S. Sebastiano: ad esse apparteneva la Porta S. Zenonis (Borsari), detta così dal vicino Palatium S. Zenonis.

Un po’ più estesa era la cinta delle mura di Teodorico: dall’Adige tra la chiesa di S. Micheletto e quella di S. Lorenzo procedevano parallele alle prima inchiudendo il theatrum (23); indi parallele alle prime andavano all’Adige; ad esse apparteneva la Porta S. Firmi. Se a questa porta apparteneva il così detto Arco dei Leoni, le mura non dovrebbero essere di Teodorico, ma romane; perché romano è quell’arco. Del resto molto si è discusso su quell’arco: il Saraina lo giudicò un arco trionfale; il Maffei una porta d’ingresso al foro giudiziale; i più lo vogliono una porta della città (24).  Alla sinistra dell’Adige, presso il Pons marmoreus era la Porta Romana; e perciò la chiesa di S. Stefano era ancor fuori della città. Sulla via Postumia vicino alla chiesa di S. Faustino era la Porta Organi; dalla quale deviava a sinistra il borgo Tascherium (25).

 

Per quanto spetta alla cultura letteraria, artistica, ecc., si avverta che siamo nel secolo di ferro. Pur tuttavia a Verona non mancavano scuole: non si ha vestigio di quella istituita per ordine di Lotario nell’825; ma Raterio parla di una scuola per i chierici esistente in città, forse presso la cattedrale, e di altre in un monastero e presso persone sagge (26); anzi egli stesso assegnò una somma, perché i chierici attendendo all’istruzione della mente non difettassero del necessario per vivere.

Quanto poi alla letteratura profana, Raterio dice Verona « quondam Platonica Athenis », e deplora che nessuno dei suoi sapienti abbia celebrato i meriti di S. Metrone, « etsi non metrico, stilo saltem prosaico ».

Accenna pure come già da tempo era costume dei poeti e scrittori scrivere versi sui muri della città (27).

 Di lui sappiamo che, forse primo tra gli scrittori medioevali, mostrò di conoscere e leggere i versi di Catullo (28): anzi recenti scrittori osservano, come Raterio, cultore appassionato degli studi classici, cita Cicerone, Varrone, Terenzio, Persio, Seneca, Orazio ed anche alcuni greci (29), e si appellano a lui per provare che gli studi sacri e profani nel secolo X erano tutt’altro che negletti in Italia (30).

 

Presso la cattedrale, oltre la « schola sacerdotum », e forse come appartenente ad essa, era anche in questo secolo una scuola calligrafica. Nella nostra biblioteca Capitolare si conserva un bellissimo messale con l’orazione « pro gloriosissimo rege nostro Ottone », e con una Messa propria di S. Zeno confessore: dunque quel messale spetta alla seconda metà del secolo X, ed è veronese (31).

 

I cultori della storia letteraria d’Italia osservano pure come il secolo X segna nell’uso comune un transito dalla lingua latina alla  lingua italiana o semiitaliana (32).

Noteremo alcune parole occorrenti negli scritti di Raterio: Curtinulae per vela aulea, it. cortine; bausiator per bugiardo, o meglio doppione, impostore;  puta (sit venia verbo) per donna di mal fare; caballus per equus;  scardus per parcus, d’onde l’italiano scarso; anzi al testo di Raterio risponde meglio il nostro scurso.  Facilmente con un po’ di pazienza se ne potrebbero trovare delle altre. –  Troviamo pure forme italiane in alcuni cognomi.

Così quel Giovanni traditore della causa di Berengario, a cui fu mozzo il capo nell’Arena nel 905, era soprannominato Braccacurta.  In un atto scritto a Verona nel 945 troviamo un Lupo soprannominato Suplainpunio, ossia Soffiainpugno. – In un istrumento di permuta, redatto a Verona nel 977, una « terra aratoria habet per longum perticas trenta ».

 

Quanto ad arti, spettano a questo secolo alcuni affreschi. Nell’antica chiesa di S. Pietro in Carnario, sotterranea dell’attuale, tra le altre immagini v’ha quella del Redentore Crocifisso con quattro chiodi e suppedaneo, e con le lettere IC XC sopra due mezze figure di Angeli coi nomi sc.us Michael, sc.us Gabriel: sotto vi è Maria con la penula e S. Giovanni con pallio e sandali: ogni figura ha il diadema; quello del Redentore è spartito da tre tasselli bianchi con entro la croce (33).  Intorno agli affreschi dell’antica chiesa di S. Nazaro sotto il monte Costiglione hanno scritto molto e in vario senso gli eruditi di cose nostre: certamente appartengono’ alla fine del secolo X almeno quelli del locale che precede la vera chiesa; probabilmente anche alcuni di quelli della chiesa: il più antico intonaco di essa porta la data dell’anno 996(34). – Et de hoc satis (35).

 

 

NOTE

 

 

1 – ORTI, Avventure di Adelaide … (Verona 1844); CROSATTI, Bardolino, Nota 1, pag. 25; BUSSINELLO, L’eremo dei Camaldolesi, pag. 71 (Verona 1916).

 

2 – BALLERINI, Rath. Op., Vita, Cap. XII. – Diversa sarebbe l’origine della Marca veronese secondo CIPOLLA, Compendio della storia pol. di Verona, pag. 67.

 

3 – CIPOLLA, Op. cit., pag. 69. – Vedi anche VENTURI, Storia di Verona, VoI. I,  pag. 168.

 

4 – RATHERIUS, Proeloqu., Lib. Iu, Num. 12, col. 113.

 

5 – DE DIONYSIIS,  De Aidone et Notingo, Dipl. XX, pag. 120; SIKEL, Diplom. Regum et Imper., Num. 137, I, pag. 217. – Il primo lo mette in data 8 ottobre 952; il secondo in data 9 ottobre 951.

 

6 – Presso CAVATTONI, Memorie intorno alla vita … di S. Zeno. Docum. 93, pag. 23, segg.; SIKEL, Op. cit., Num. 234, pag. 320.

 

7 – BALAN, Storia d’Italia, Lib. XVIII, Num. 11, seg.

 

8 – Presso BALLERINI, Rath. Op., col. 457-462; SIKEL, Op. cit., Num. 348, pag. 474; MIGNE, Patr. lat., CXXXVI, 599. – E’ dato da Balsomade, località posta presso Monzambano.

 

9 – Presso SIKEL, Op. cit., Tom. II, P. I. Num. 291, pag. 343 (Hann. 1888).  Lo aveva pubblicato Cipolla in Verzeichniss der Kaiserurk in den Archiven  Veronas I, Num. 4.

 

10 – CIPOLLA, Comp. storia di Verona, pag. 72, seg.

 

11 – RATHERIUS, Op., Epist. XII, ad Ambrosium Cancell., Num. 4, col. 565. – Per il Prof. TAMASSIA, Raterio e l’età sua, quell’appellativo « urbani» indica il passaggio dalla vecchia autorità feudale ad una nuova società popolare.

 

12 – Delle varie incursioni degli Ungheri vedi CIPOLLA, Antiche cronache veronesi, pag. 383 (Venezia 1890).

 

13 – CAVATTONI, Memorie intorno alla vita … di S. Zeno, Cap. VII, pag. 65-71.

 

14 – RATHERIUS, Liber apolog., num. 2, 3, col. 500.

 

15 – VENTURI, Storia di Verona, pag. 172, seg. – Per quest’ultimo castello vedi sac. G. TRECCA, Legnago, P. I. pag. 21, (Verona 1900).

 

16 – BIANCOLINI, Dei Vescovi e Govern. di Verona, pag. 54-55 (Verona 1757).

 

17 – CIPOLLA, L’antichissima Iconografia di Verona, in Reale Accademia dei  Lincei, Anno CCXCVIII (Roma 1901).

 

18 – DIONISI, Il Ritmo Pipiniano commentato e difeso (Verona 1773).

 

19 – CIPOLLA, Opusc. Cit. (estratto), pag. 14.

 

20 – BIANCOLINI, Dissert. cit., pag. 56. – Egli la vuole anteriore all’anno 895, perchè vi è la Arena minor, e questa dovette essere abbattuta in quell’anno.  Ma il Diploma, che dicesi aver ordinata quella demolizione, è apocrifo. Vedi Boll. eccles., A.V., pag. 115.

 

21 – Attesa l’importanza e la rarità della Iconografia, avremmo voluto riprodurla sul Bollettino; ma l’amministrazione non ce lo consente.

 

22 – BIANCOLINI, Dissert. cit., pag. 56, segg., con una tavola. – Intorno alle mura di Verona molte e varie furono e sono le opinioni degli scrittori nostri da Saraina a Pompei: noi intendiamo riferire storicamente le idee di Biancolini, senza discuterle.

 

23 -II tratto tra le vie attuali Gran Czara e Scimmie in un diploma di Ottone III (15 ago 998) è detto inter muros. DE DIONYSIIS, De Aidone et Not. Dipl., XLV, pago 184; SIKEL, Op. cit., II, P. II, pago 723 (Hann. 1893).

 

24 – DA PERSICO, Verona e sua provincia, pag. 109-111 (Verona 1838); SIMEONI, Verona Guida stor. art., pag. 206, seg.

 

25 – Un altro borgo Tascherium dal di fuori della « Porta S. Zenonis» andava alla Braida. – Ha forse qualche significato questa voce Tascherium?

 

26 – RATHERIUS, Synodica, Num. 13. – Vedi SPAGNOLO, Le scuole accolitati, pag.5.

 

27 – RATHERIUS, Invectiva de transl. S. Metronis, Num. 5, 6.

 

28 -CIPOLLA, Catullo nel Medioevo in Archivio Ven. (Serie II) XXXIII, P.I.

 

29 – SALVIOLI, L’istruzione pubblica in Italia, pag. 88.

 

30 – NOVATI in Origini della letter. ital., Cap. V, pag. 199-203.

 

31 – MAFFEI, Istoria teologica, App., pag. 91.

 

32 – MAFFEI, Verona illustr., Istoria, Lib. II, pag. 80, segg. (1825); BALAN, Storia d’Italia, Libro XVII, 49; ed altri.

 

33 – BIANCOLINI.  Chiese di Verona, II, pag. 717; DA PERSICO, Op. cit., pag. 99.

 

34 – VENTURI, Storia di Verona, pag. 122, 130 con tavole;  DA PERSICO,  Op. ci t., pag. 173, seg.; SIMEONI, Guida di Verona, pag. 256 (c).

 

35 – Diamo qui una bellissima reminiscenza rateriana della formula di preghiere usata anche nel secolo X  per la raccomandazione dell’anima; la quale ci era sfuggita nel Capo precedente: « Qui liberavit Israelem de manu Pharaonis, liberet Ratherium de manu Bucconis ». RATHERIUS, Ep. XI ad Nannonem, col. 560.

 

 

ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. XIII {a cura di A. Orlandì]

 

 

(a) pag. 262. – G. AGOSTINI, Lazise nella storia e nell’arte, Verona 1955.

 

(b) pag. 265. – Delle chiese di Verona nel sec. IX-XI tratta anche il Volume del Meersseman: MEERSSEMAN, G.G. – E. ADDA – J. DESHUSSES, L’Orazionale dell’Arcidiacono Pacifico e il Carpsum del Cantore Stefano. Studi e testi sulla liturgia di Verona dal IX al XI secolo. Friburgo, 1974.

 

(c) pag. 267 (n. 34). – Alle opere citate si devono aggiungere queste altre pubblicazioni in tema di arte: R. BRENZONI, Intorno alle origini della pittura veronese, Verona, 1925; E. ARSLAN, La pittura e la scultura veronese dal sec. VIII al sec. XIII, Milano, 1943;  F. ZULIANI, I frescanti di S. Maria in Stelle –  I frescanti dei SS. Nazaro e Celso Il frescante della torre di S. Zeno –  Il maestro del Redentore, in « Maestri della pittura veronese» (a cura di P.P. Brugnoli), Verona, Banca Mutua Popolare, 1974, pp. 1-30.

 

 

Fonte:  srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume I

 

 

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