Mar 02 2009

Ritrovati i frammenti mancanti del “Papiro Reale” di Torino

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 13:20

Trovati i pezzi mancanti del Canone (o Papiro) Reale di Torino, conservato nel Museo Egizio a Torino. I frammenti non inseriti nella ricostruzione del papiro sono stati ritrovati nei sotterranei del Museo, dove giacevano dimenticati da oltre mezzo secolo. Una nuova ricomposizione dei frammenti sarà forse operata a Londra, a cura di specialisti del British Museum

Il Canone (o Papiro) Reale di Torino è un elenco di sovrano defunti dell’antico Egitto in onore dei quali si continuava a officiare i riti funerari in determinati templi e santuari. Elenchi analoghi sono la Lista di Abydos, la Lista di Karnak e la Lista di Saqqara. Tutte queste fonti risalgono al Nuovo Regno (XVIII-XX dinastia, circa 1551-1306 a.C.).

La più importante è la Lista di Abydos. E’ incisa sulle pareti del grande tempio di Sethi I (circa 1304-1290 a.C.), secondo sovrano della XIX dinastia, ad Abydos, e raffigura questo re, accompagnato dal figlio maggiore Ramesse, futuro Ramesse II, in atto di fare offerte a 76 re che considera come suoi antenati, ognuno rappresentato da un cartiglio. I cartigli vanno dalla I alla XIX dinastia e iniziano con quello di Meni, fondatore della I dinastia.

La Lista di Karnak è incisa nel grande tempio di Amon a Karnak (Luxor) e risale al regno di Tuthmosis III (circa 1490-1436 a.C.), sesto sovrano della XVIII dinastia. In origine conteneva 61 nomi reali, dalla III dinastia al Tuthmosi citato, una cinquantina dei quali sono ancor oggi leggibili in parte o per intero. Questo elenco, poiché cita sovrani omessi dalle altre Liste, è molto interessante, ma ha il difetto di non collocare i re nell’esatto ordine cronologico.

La Lista di Saqqara fu scoperta nel 1861 nella tomba di un costruttore di Menfi e in origine recava i cartigli di 57 sovrani, ai quali Ramesse II, (circa 1290-1224 a.C.), loro discendente, rendeva onore. A causa di guasti alla parete si é però ridotta a 47 cartigli, che vanno da quello di Semerkhet, sesto sovrano della I dinastia, a quello di Ramesse II.

Il Canone Reale di Torino, conservato nel Museo Egizio a Torino, è la più importante fra le fonti scritte di cui disponiamo per delineare le cronologie del Periodo Protodinastico, dell’Antico Regno e del Primo Periodo Intermedio. E’ stato redatto in Ieratico sul retro di un papiro giù usato, sotto il regno di Ramesse II (circa 1297-1212 a.C.); e contiene i nomi di numerosi dèi e semidèi che avrebbero regnato in Egitto prima della fondazione dello Stato Faraonico, e numerosi altri nomi di re, appartenenti a tutte le dinastie comprese fra la I e la XVIII. Per ogni re, indica la durata del regno e distribuisce i re nelle dinastie. In origine andava a ritroso fin oltre la I dinastia, pertanto fino all’epoca dei Seguaci di Horus. Alcuni nomi di re predinastici dell’Alto o del Basso Egitto si sono conservati: Ptah, Ra, Shu, Geb, Osiride, Seth (sovrano al quale vengono attribuiti 200 anni di regno), Horus (300 anni di regno), Thoth (3.126 anni di regno), Maat (regina dell’Alto e del Basso Egitto, sposa del dio Thot). La sua importanza consiste nel fatto che non è stato redatto per celebrare un determinato sovrano, ma per elencare tutti i sovrani di tutte le dinastie, compresi quelli poco importanti e i presunti usurpatori. Sfortunatamente é mal conservato e presenta gravi lacune. Inoltre, le sue indicazioni non coincidono con quelle delle altre Liste, nè con la compilazione di Manetone. Talvolta vi sono indicati i nomi dei re, ma non la durata del loro regno, e viceversa.

Ritrovato intatto a Tebe nel 1822 dal diplomatico piemontese Bernardino Drovetti, il Canone Reale di Torino si è frammentato in centinaia di pezzi durante il suo trasporto in Italia ed è stato faticosamente ricostruito solo in parte nel 1938 dall’egittologo Giulio Farina. Alcuni dei frammenti che non sono stati inseriti nella ricostruzione sono minuziosamente riprodotti nella Tavola IX del volume Royal Canon of Turin, scritto nel 1959 dall’egittologo Alan Henderson Gardiner per l’Oxford Griffith Institute.

Per oltre 70 anni, nessuno ha mai osato mettere in discussione la ricostruzione di Farina e la sequenza dei regni da essa derivante.

Nel febbraio 2009, Richard Parkinson, inviato del “British Museum” presso il Museo Egizio a Torino, e la sua collega Bridget Leach, restauratrice di papiri, hanno chiesto di potere vedere i frammenti mancanti. E’ stata questa l’occasione per cercare quei frammenti, i quali, grazie all’intuizione di Elvira D’Amicone, egittologa del ministero italiano dei beni culturali, sotto stati infine rinvenuti in un armadio nei sotterranei del Museo, dove giacevano dimenticati da più di mezzo secolo. Alcuni erano stati inseriti tra due lastre di vetro affinchè potessero conservarsi meglio.

Dopo un primo esame dei frammenti rinvenuti è emerso che la ricostruzione del papiro fatta da Farina potrebbe essere erronea, con la conseguenza che la sequenza dei regni, in buona parte, potrebbe non essere quella che dovrebbe essere. E’ dunque possibile che i pezzi siano da ricollocare in un modo diverso e che all’elenco dei re conosciuti si debbano aggiungere nuovi nomi.

Secondo le notizie di stampa, inoltre, è possibile che un incarico per una nuova ricomposizione dei frammenti sia affidato agli specialisti del British Museum.

(19 Febbraio 2009)

 

Fonte: http://www.lastampa.it/la porta del tempo


Feb 28 2009

La Biblioteca di Alessandria d’Egitto

 

La Biblioteca di Alessandria era non solo una delle glorie dell’antico Egitto, ma si può dire di tutto il Mediterraneo e  del mondo antico.  Storicamente, si può collocare la sua fondazione all’inizio del III Secolo a.C.; voluta da Tolomeo I Sotere con l’idea di custodire l’intero scibile umano

Tolomeo I,  grande cultore delle arti letterarie, intuì quanto fosse importante preservare tutto il sapere dell’umanità, non solo per metterlo a  disposizione dei dotti, ma al fine di tramandarlo ai posteri. Possiamo comprendere quanto fosse difficile l’idea del sovrano. In quel periodo la conservazione dei testi era per lo più affidata a scribi, sacerdoti o a pochi  privati; la diffusione dei testi era molto limitata anche a causa del costo proibitivo di tavolette, papiro e pergamene. 

Il primo a concepire l’idea di una trasmissione dei testi sotto forma di raccolta fu Aristotele, che  tramandò la sua opera letteraria ai propri allievi, tra i quali  vi era Teofrasto, a sua volta amico di Demetrio Falereo.

Per dare vita alla proprio progetto, Tolomeo si avvalse proprio della collaborazione dell’ illustre letterato dell’epoca, il greco Demetrio Falereo che, fuggito da Atene, si era rifugiato  ad Alessandria presso i Tolomei.   La Biblioteca di Alessandria fu pertanto concepita  sul modello di quella  aristotelica, cioè sulla raccolta sistematica dei testi che venivano in seguito messi a disposizione di un più vasto pubblico.

Realizzata nei dieci anni in cui Demetrio Falereo restò nella città,  venne impostata  su due importanti istituzioni: la Biblioteca ed il Museo. Essa si trovava all’interno del palazzo imperiale, che occupava almeno un quarto della città di Alessandria.

La Biblioteca ed il Museo furono costruiti molto vicini l’una all’altro, i testi venivano materialmente raccolti nella Biblioteca, mentre nel Museo venivano redatte le rispettive relazioni critiche; lo scopo iniziale era quello di raccogliere i soli testi greci, ma ben presto la collezione si arricchì di opere che spaziavano in ogni campo e che provenivano da ogni parte del mondo. In virtù della sua enorme popolarità la Biblioteca venne ingrandita, fino ad avere dieci enormi sale e, altre salette più piccole, riservate agli studiosi.

Non solo per la Biblioteca si ricercavano i libri in tutte le città del mondo allora conosciuto, in gara con le altre biblioteche dell’ecumene greca, tra cui quella di Atene del Liceo aristotelico e quella di Pergamo, ma se ne studiavano i testi e si compilavano, attraverso il loro confronto, i commenti e le edizioni critiche.

Si dava la caccia alle edizioni rare e si copiavano le opere ancora mancanti dei grandi filosofi, astronomi, matematici, filologi, grammatici, ecc.  Tutti i libri in possesso delle navi, in transito da Alessandria, erano vagliati e, se non erano presenti  nella Biblioteca, venivano copiati. Questi erano catalogati come «libri delle navi”.

Zenodoto di Efeso fu il primo bibliotecario; il poeta Callimaco che gli successe pose in atto il catalogo, un’opera necessaria per poter consultare i quattrocentomila rotoli di papiro, il cui numero era in continua crescita.  Il terzo bibliotecario fu Eratostene, uno scienziato, poeta e critico letterario, che elaborò la carta geografica della terra abitata e preparò una cronologia universale.

Divenne in breve tappa obbligata per tutti gli studiosi dell’antichità: la frequentarono assiduamente Euclide, il padre della geometria, Aristarco di Samo ed Erone di Alessandria.

Giunta al massimo del proprio splendore accadde però l’imprevedibile. 

Nel 47 a.C., i romani di Giulio Cesare incendiarono una delle sezioni della Biblioteca trasformando in cenere circa quarantamila rotoli; seguirono gli incendi ad opera di Zenobia, sovrana di Paimyra, di Diocleziano nel 295 d.C., fino alla completa distruzione da parte del Generale Amr Ibnel-as, agli ordini del Califfo Omar I.

Ma la tradizione che fosse stato Cesare a provocare l’incendio della Biblioteca potrebbe essere errata: lo ha dimostrato Luciano Canfora ne “La biblioteca scomparsa” (Sellerio Editore), studiando le fonti: essa fu distrutta, o almeno quel che ne rimaneva dopo molti secoli, da parte del Generale Amr Ibnel-as, agli ordini del Califfo Omar I. In quell’occasione il destino della Biblioteca di Alessandria si compì tragicamente e definitivamente. 

Era il 646 d.C. quando Omar I pronunciò le famose parole: 

…….Se i libri non riportano quanto scritto nel Corano allora vanno distrutti, poiché non dicono il vero. Se i libri riportano quanto scritto nel Corano vanno distrutti ugualmente perché sono inutili”.

La Biblioteca, tutto il suo contenuto ed il sogno che essa rappresentava, vennero per sempre avvolti dalle fiamme. I rotoli furono usati anche come combustibile per i bagni di Alessandria, ben quattromila, e sembra che ci siano voluti sei mesi per distruggere tutto il materiale.

Un’ irreparabile  perdita per l’umanità, ma anche un monito per il futuro. 

Questo oggi è quello che rimane della Biblioteca perduta di Alessandria


Feb 27 2009

Google Earth rivela probabili tracce di impatti di meteoriti nel Mediterraneo

Category: Bibbia ed Egitto,Natura e scienzagiorgio @ 22:26

La mappatura  dei fondali, attuata recentemente da Google, mostra quello che potrebbero  essere le tracce di impatti di meteoriti nel Mediterraneo.

Osservando i depositi alluvionali sotto il livello del mare al largo della  foce del Nilo, si notano chiaramente degli avvallamenti che sembrano essere causati da  impatti  di meteoriti sui depositi alluvionali del delta e non ancora ricoperti dalle successive alluvioni; ciò fa pensare ad una datazione temporale dell’evento relativamente recente, tale da poter essere ricordata dalle popolazioni che ne furono  testimoni o che ne subirono le conseguenze…  e  la separazione delle acque di biblica memoria, ne potrebbe esserne  un  ricordo.


Feb 27 2009

Iscrizione di Ponzio Pilato Gerusalemme

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 19:38

Israel Antiquities Authority. 26-36 d.C.

Gli archeologi italiani dell’Istituto Lombardo di Milano, nel 1961 durante uno scavo a Cesarea, il più importante porto della Giudea, rinvennero un documento storico unico: un’iscrizione recante il nome di Ponzio Pilato, il Prefetto Romano della Giudea negli anni 26-36 d.C. 

Questo personaggio che, secondo la tradizione avrebbe autorizzato la morte di Gesù, è menzionato dai Vangeli. 

Sebbene negli scavi siano state trovate monete coniate durante il suo governo, nessuna di esse presenta il suo nome. 

L’iscrizione, su pietra calcarea, è stata trovata in un teatro romano (databile fra il III e IV secolo), nel quale era stata riutilizzata come gradino; il reimpiego ha fatto perdere una parte del testo, del quale ora si legge: 

[…] Tiberieum/[…] [Po]ntius Pilatus/[…] [Praef]ectus Iuda[ea]e (Ponzio Pilato, prefetto di Giudea [ha eretto l’edificio in onore di Tiberio]). 

 

Fonte: Storia Libera/ Israel Antiquities Authority/La porta del tempo


Feb 27 2009

Frammenti d’ iscrizione greca della “Stele di Eliodoro” getta nuova luce sui Maccabei

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 13:21

La stele di Eliodoro  – Foto: The Israel Antiquities Authority

Tre frammenti di un’iscrizione greca, ritenuta parte della ‘stele di Eliodoro’, sono stati trovati recentemente a sud di Gerusalemme  in uno scavo dell’Israel Antiquities Authority nel Parco Nazionale di Beit Guvrin.

La stele di Eliodoro, che risale al 178 a.e.v. e che consiste di 23 righe incise su calcare, è considerata una delle iscrizioni antiche più importanti rinvenute in Israele.

Dov Gera, che ha studiato le iscrizioni, ha stabilito che i frammenti erano in realtà la parte inferiore della ‘stele di Eliodoro’. Questa scoperta ha conferma l’idea che la stele originariamente fosse situata in uno dei templi situati dove oggi si trova il Parco Nazionale Maresha- Beit Guvrin.

I nuovi frammenti sono stati scoperti in un complesso sotterraneo dai partecipanti al programma Dig for a Day (scava per un giorno) dell’Archaeological Seminars Institute.

Come è stato scritto dai professori Cotton e Wörrle nel 2007, questa stele reale in pietra reca un proclama da parte del re dei Seleucidi, Seleuco IV (padre di Antioco IV). Il contenuto della stele ha fatto luce sul coinvolgimento del governo dei Seleucidi nei templi locali, menzionando un tale di nome Olympiodoros, il ‘supervisore’ designato dei templi di Coele Syria-Phoenicia, compresa la Giudea.

L’ordine del re fu inviato a Eliodoro, che era probabilmente la stessa persona menzionata nel libro Maccabei II. Secondo la storia narrata in Maccabei, Eliodoro, come rappresentante del re Seleuco IV, cercò di rubare del denaro dal Tempio di Gerusalemme ma invece fu picchiato con violenza grazie all’intervento divino.

Tre anni dopo, Seleuco IV fu assassinato e gli successe il figlio Antioco IV, che fu il governante, secondo Maccabei II, che finì coll’emettere un editto di persecuzione contro il popolo ebraico e dissacrò il Tempio di Gerusalemme, il che portò alla rivolta dei Maccabei.

In breve, si può stabilire che questa stele reale ebbe origine nella città di Maresha, ed aggiunge importanti testimonianze archeologiche e contesto storico per la comprensione del periodo che portò alla rivolta dei Maccabei, un evento celebrato tutti gli anni con la festa ebraica di Hannukah.

Ian Stern, direttore degli scavi per l’Israel Antiquities Authority, aggiunge: “Questa scoperta è il frutto di uno sforzo congiunto da parte del programma ‘Dig for a Day’ dell’Archaeological Seminars Instititute, dell’Israel Antiquities Authority e dello staff dell’Israel Nature and Parks Authority del Parco Nazionale di Beit Guvrin”.

 

Fonte: Israele.net /da: Ha’aretz, 16.02.09/La porta del tempo


Feb 27 2009

HAPIRU E SA.GAZ: I TAGLIAGOLE DEL DESERTO?

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 01:14

Sethos  raffigurato insieme al dio Horus

Dalla fine del III  alla fine del II millennio a.C. gente chiamata Hapiru dilagò dall’Elam all’altopiano ittita, fino alle frontiere dell’Egitto, sconvolgendo una situazione politicamente instabile. Nei testi cuneiformi che ne tramandano le gesta, gli Hapiru sono ricordati come stranieri, uomini declassati in conflitto con la società, ipotesi sostenuta da un altro termine che li definisce Sa.gaz, letteralmente tagliagole, briganti.

Sebbene la comparsa degli Hapiru coincise con il periodo delle migrazioni indoariane, la loro identità etnica è tuttora da scoprire. Forse questi  sconosciuti appartenevano alla tribù semita del biblico Beniamino.

Gli Hapiru erano stanziati ai confini di Sumer e nell’Elam, in Mesopotamia, ma di fatto provenivano dall’Est, effettuando scorrerie in Siria, in Palestina e nel territorio babilonese a scapito dei possedimenti egizi. Si sa che fondarono una città ed ebbero un re di nome Hanni, principe di Aiapir. I Babilonesi pronunciavano questo nome Apir o Apr, non è escluso quindi che fossero indicati popolarmente come “la gente di Aiapiru”.

Organizzati in bande di piccole dimensioni, gli Hapiru per quasi due millenni servirono ora uno ora l’altro dei signori locali, preferendo gli Ittiti agli Egizi, diventando proverbiale la loro fedeltà nei confronti di chi li assoldava. Alcuni testi cuneiformi parlano infatti di un certo Idrimi (1490-1450 a.c.) re di Alalakh, il quale, sentendosi in pericolo per via delle mire espansionistiche dei suoi vicini, si rifugiò in un accampamento degli Hapiru restandovi sette anni. Se l’onore dei suoi ospiti non fosse stato a tutta prova, sarebbe stato un gioco per i nemici di Idrimi corromperli per farlo assassinare.

Agli Hapiru furono affidati anche compiti di polizia. In un testo del XIII secolo a.c. trovato a Ras-Shamra  fu stilata una convenzione tra questi briganti ed il re ittita Hattusil IIl (1275-1250 a.c.) il quale s’impegnava a rendere al re di Ugarit tutti gli uomini che avrebbero cercato scampo in territorio hapiru. Un compito facile, se è vero che gli schiavi recavano marcato a fuoco sulla fronte l’avvertimento: “Prendetelo, è un fuggitivo!”. Qualche archeologo vede in questo la prova che scagiona gli Hapiru dall’accusa di brigantaggio. In effetti, se tutti sapevano dov’erano, come mai a nessuno venne in mente di andare a snidarli? Gli Egizi combatterono spesso questa gente.

Se visitiamo le imponenti rovine del forte egiziano di Beth Shan, polveroso ricordo dell’espansionismo in Asia del faraone Tutmosis III situato venticinque chilometri a sud della Galilea, e a soli sei dalla riva occidentale del Giordano, potremmo vedere una stele i cui geroglifici narrano gli avvenimenti accaduti nella regione al tempo del faraone Sethos (1317-1301 a.C.).

Ancora una volta è citato il nome degli Hapiru che in questa regione operarono contro gli avamposti egiziani. La debolezza del governo centrale o l’occasione della morte di un faraone, davano spesso il pretesto ai vassalli per insorgere, aiutati dai loro misteriosi alleati briganti.  Sethos  s’era quindi trovato a ricucire insieme ciò che i suoi predecessori, Amenophis III e Amenophis IV, avevano disfatto nel giro di 38 anni del loro regno. Il secondo mistero è legato proprio all’identità di questi due faraoni,  di origine Hapiru, se non ebraica a detta di qualche studioso.

L’Inno al Sole di Amenophi IV, il faraone della diciottesima dinastia noto per aver introdotto il primo culto monoteistico in Egitto, tradirebbe questa discendenza. Amenophi IV era stato sempre sordo ai lamenti dei suoi alleati, che si dolevano delle scorrerie degli Hapiru. Costruita una città ad Amarna, a 300 chilometri da Menfi, lungo il Nilo, in una reggia lontana da ogni influenza nefasta dei sacerdoti dei vecchi dei, compose una bellissima poesia al Sole, l’astro che ha «dato inizio al vivere… dio unico, al di fuori del quale nessuno esiste».

L’apparente mollezza della vita del giovane faraone (aveva allora poco più di 23 anni) era dunque intenzionale? Regnando Amenophi IV, Suppiluliuma, re degli Ittiti, con l’aiuto degli Hapiru aveva conquistato le città di Vasciuganni, di Ugarit e Qadesh, mentre le popolazioni, terrorizzate, si rifugiavano sulle montagne o varcavano le frontiere dell’Egitto chiedendo protezione ai presidi militari. Era necessario porre un freno alle prodezze degli sgherri dei principi asiatici ribelli, ma il comportamento del faraone non approdò a mulla di concreto, provocando lo sdegno dei suoi funzionari. Il governatore di Gerusalemme senza mezzi termini scriveva:

«È molto tempo che vado ripetendo al rappresentante del Re mio Signore: perchè amate gli Hapiru e detestate i vostri governatori?». Era un’accusa passibile di pena di morte poiché insinuava che il faraone tradiva il suo popolo.

Gli Hapiru, in effetti, veneravano un solo dio, un’entità che alcuni testi sumerici identificavano nella stella dei Sa.gal., forse il pianeta Venere, considerato in tutto il Medioriente la “stella dei Pastori”, e in altri testi cuneiformi definita esplicitamente “la stella dei briganti”.

 

Fonte: srs di Joel Sherman da Cronos  N. 2  febbraio 2009


Feb 21 2009

Stele di Kuttamuwa – Scoperto il piu’ antico monumento all’anima

La prima evidenza scritta della convinzione religiosa della separazione tra anima e corpo nelle antiche civiltà del Medio Oriente, è stata scoperta da un gruppo di archeologi americani nel sito di Zincirli, in Turchia, vicino al confine con la Siria. 

Fino a questo momento si riteneva che in tutte le culture semitiche (Arabi, Ebrei, Cananeo-Fenici, Cartaginesi) l’anima e il corpo fossero considerati indissolubili, tanto che la cremazione del defunti era espressamente vietata. Soltanto nelle popolazioni camite dell’Africa, come gli Egizi, si riteneva che dopo la morte l’anima sopravvivesse indipendentemente dal corpo.

Scavando nell’antica città di Sam’al, presso l’attuale Zincirli, gli archeologi dell’Università di Chicago hanno rinvenuto una stele di basalto, che risale a circa l’800 a.C., con scritte in una lingua semitica che sembra essere una arcaica variante dell’aramaico. La stele, pesante 400 chili e alta 1,2 metri, era stata fatta costruire da un funzionario reale, Kuttamuwa, come luogo di riposo della sua anima dopo la morte. 

 

Sulla stele si legge: “lo, Kuttamuwa, servo del re Panamuwa, ho provveduto in vita alla produzione di questa stele. L’ ho posta nella camera eterna e ho disposto un banchetto per (il dio della tempesta) Hadad, un montone per (il dio del Sole) Shamash, … e un montone per la mia anima che è in questa stele”.

 

Accanto alla scritta è incisa la figura di un uomo, presumibilmente Kuttamuwa, con la barba e un copricapo, nell’atto di sollevare un calice di vino,  mentre è seduto davanti a una tavola imbandita con pane e un’anatra arrostita. 

Un’immagine del genere, sottolineano gli studiosi, rappresentava un invito a portare offerte votive di vino e cibo davanti alla tomba di un defunto. Come ha precisato Joseph Wegner, egittologo dell’Universitàdella Pennsylvania, in Medio Oriente era pratica diffusa portare offerte votive ai morti, ma fino a questo momento non esisteva alcuna testimonianza del concetto della separazione tra anima e corpo in queste civiltà. Peraltro, il ritrovamento nel sito di urne che sembrano dovessero contenere le ceneri dei defunti fa supporre che le popolazioni di Sam’al praticassero la cremazione. La stele di Zincirli rappresenta dunque il più antico (e finora unico) “monumento all’anima” rinvenuto nel Medio Oriente.

Inoltre la scoperta getta una nuova sorprendente luce sulle credenze della vita ultraterrena nell’Età del ferro, e in particolare sulla credenza che l’identità, “l’anima”, del defunto, permanesse abitando all’interno del monumento su cui era stata tracciata la sua immagine, come sottolinea la frase finale dell’incisione

 

Fonte: Storica – National  Geographic – numero 1, marzo 2009


Feb 21 2009

LA PIETRA DI PALERMO: Il primo libro di storia dell’Egitto

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 19:46

L’importanza storica della pietra di Palermo è stata lungamente oscurata dalla famosa pietra di Rosetta, ma Jill Kamil dice che ora la sta riconsiderando come autentico documento storico dell’antico Egitto.
La cosiddetta pietra di Palermo è il più grande e meglio conservato dei frammenti di una lastra rettangolare di basalto, conosciuta come gli annali reali dell’Antico Regno d’Egitto. La sua origine è sconosciuta, ma può provenire da un tempio o da un’altra costruzione importante.


 

Dal 1866 la pietra è a Palermo in Sicilia – città da cui prende il nome – ed ora si trova nel Museo Archeologico Regionale “Antonio Salinas”. La parte restante misura cm 43 d’altezza per 30,5 di larghezza, mentre in origine si ipotizza che avesse una lunghezza di circa 2 metri ed un’altezza di 60 cm. 

Altri frammenti della stessa lastra comparvero sul mercato antiquario fra il 1895 ed il 1963 e sono ora nel Museo Egiziano al Cairo e nel museo Petrie, presso l’Università di Londra.


Estratta dagli annali reali, la “Lista dei Re” predinastici è nel registro superiore della pietra di Palermo. È seguita dagli annali del regno dell’Egitto dall’inizio sino ai re della quinta dinastia. Sotto ogni nome sono indicati gli anni degli eventi importanti, la maggior parte di una natura rituale, e l’altezza dell’inondazione del Nilo è notata alla parte inferiore. Circa 13 studi importanti sono stati intrapresi sui frammenti della pietra e, da quando i primi sono stati pubblicati da Heinrich Schöfer nel 1902, gli eruditi sono stati divisi quanto a come interpretare le implicazioni del testo. Alcuni hanno insistito che i re predinastici elencati sulla pietra effettivamente esistessero, anche se nessuna ulteriore prova ancora era emersa. Altri hanno mantenuto il parere che la loro inclusione su una lista di re era soltanto un espediente ideologico, per indicare che prima dell’unificazione delle due terre dell’Egitto superiore e inferiore, da parte di Narmer/Menes, c’era il caos. Disordine prima di ordine. Sconosciuta fuori della cerchia degli studiosi, la pietra non è abbastanza conosciuta dal pubblico, forse perché è in diversi frammenti e non le viene attribuito nessun valore artistico.


Ora, tuttavia, conosciamo la verità, perché gli archeologi hanno identificato 15 re predinastici, realmente esistiti, tra quelli elencati sulla pietra di Palermo. La pietra di Palermo, con la relativa serie di notazioni apparentemente enigmatica, può essere stata il primo documento storico dell’Egitto.
La pietra rivela che i re più antichi, prima dell’inizio del periodo storico, si spostavano ad ampio raggio e con una certa regolarità. Inoltre registra che nei primi periodi dinastici, fra il 2890 ed il 2686 a.C., si conosceva già la fusione del rame e si realizzavano statue. Inoltre che le campagne militari effettuate in Nubia portarono alla cattura di 7.000 schiavi e di 200.000 capi di bestiame. Si facevano spedizioni alle miniere di turchese del Sinai; e 80.000 misure di mirra, 6.000 unità di electrum, 2.900 unità di legno e 23.020 misure di unguenti erano importate da Punt, sul litorale della Somalia moderna. Non era una società primitiva dedita alle lotte, alla soglia della civilizzazione, ma una già stabilita che stava forgiando il proprio carattere e affermava la propria identità.


Quando Toby Wilkinson dell’università di Cambridge, autore del libro “Early Dynastic Egypt”, ha presentato un documento sulla pietra di Palermo al congresso internazionale di Egittologia tenuto a Londra nel dicembre 2000, ha rianimato l’interesse sulla pietra. Infatti, è stupefacente che in quest’epoca di tecnologie informatiche egli fosse il primo erudito a riunire ed esaminare tutti e sette i frammenti della pietra insieme. Ha citato le discussioni iniziali pro e contro l’importanza del testo ed ha concluso che è stato intagliato, come la pietra di Rosetta, come corredo ad un culto degli antenati, un progetto di una sequenza continua della successione fino al regno del re Sneferu della Quinta Dinastia, che raggiunse un gran picco di prosperità; nel periodo quando i grandi monumenti sono stati costruiti ed in cui non meno di 40 navi portarono legno da una regione sconosciuta fuori del paese.


Nella loro forma originale gli annali reali erano divisi in due registri. Il registro superiore a sua volta era suddiviso nelle parti che descrivono i nomi dei re predinastici con gli anni di regno e gli eventi importanti nei loro regni, seguiti dalle notazioni di tali eventi come l’inondazione del Nilo, il censimento biennale del bestiame, cerimonie di culto, tasse, la scultura, le costruzioni e la guerra. Sono elencati centinaia di regnanti. È il testo storico più vecchio sopravvissuto dell’Egitto antico ed è la base dei dati storici e delle cronologie successive.


Alcuni re hanno registrato esplicitamente che le divinità egiziane sono arrivate simultaneamente con il loro regno. Il dio Sheshat, per esempio, è stato associato con un’attività conosciuta come “allungamento della corda” (probabilmente riferendosi al fatto di misurare le zone per le costruzioni o i santuari sacri). Altri gettano le basi delle costruzioni che sono state denominate “trono degli Dei”. Tali attività erano considerate sufficiente importanti da servire da punti di riferimento e sono state espresse in tali termini specifici come la “nascita di Anubis”, “la nascita di Min” e la “nascita” di altri dei associati con fertilità e la potenza del maschio quale Min di Coptos e Heryshef che è rappresentato solitamente sotto forma d’un ariete.


Finora, tali notazioni sembravano avere poco significato. Ma oggi gli eruditi conoscono tanto più circa il periodo di formazione della civiltà egiziana che possiamo riconsiderare almeno 21 delle 30 entrate dispari sulla pietra di Palermo, particolarmente quelle che si riferiscono al fatto di creare le immagini degli dei da quelle dei re, perché la prova archeologica sostiene l’idea dello sviluppo uniforme del centro di culto; cioè, gli scavi effettuati in alcuni dei luoghi di stabilimento più antichi ne rivelano l’uniformità. Una caratteristica comune, per esempio, è che tutti i recinti sacri erano sottratti agli occhi del pubblico e circondati da muri. Un altro sono i ritrovamenti delle offerte votive, oggetti grezzi o cotti d’argilla che a volte si contano a centinaia, probabilmente fatte dagli artigiani locali per la gente semplice che desiderava fare le offerti al dio. Effettivamente, l’uniformità può essere veduta chiaramente negli stessi dei. In forma umana, o in un corpo umano con testa d’animale, d’uccello, di rettile o d’insetto, sono rimaste uguali agli archetipi per tutte le generazioni successive.


Abbastanza interessante è il fatto che gli dei mantennero caratteri vaghi durante la storia egiziana, più tardi descritti nei termini quale “quello di Ombos” (Set), “quello di Edfu” (Horus), “quella di Sais” (Neith) e “quello di Qift” (Coptos). Nessuno di loro era più importante degli altri. Le preghiere e gli inni indirizzati loro differivano soltanto negli epiteti e negli attributi. Era chiaramente il posto, non il dio, che importava, il posto scelto per la sua posizione strategica.


Il centro di culto della dea dalla testa d’avvoltoio Nekhbet, per esempio, era sulla sponda orientale del Nilo a Nekheb (Al-Kab moderno), che dava accesso al deserto orientale ricco di minerali con giacimenti di rame, d’agata e di diaspro. Quello di Pe (Buto) nel delta del Nilo, era un punto di partenza per il commercio con il Medio Oriente. Coptos (Qift) era quasi di fronte alla bocca del wadi Hammamat, la via più breve verso il Mar Rosso e le vene aurifere del deserto orientale.


La creazione delle immagini e l’istituzione dei centri di culto accennati sulla pietra di Palermo si trova anche nei testi della piramide (iscritti sulle pareti dai re che hanno regnato verso la conclusione dell’Antico Regno) e nel cosiddetto Dramma di Memphis (un testo sopravvissuto in una copia tardiva, esplicito sulla creazione dei culti, sull’istituzione dei santuari e sulla fabbricazione delle statue divine con i loro segni distintivi raffiguranti una pianta, un uccello o un animale totemico della comunità, “fatti con ogni legno, ogni pietra, ogni pezzo di creta”). 

 

Oltre all’identificazione con il re, servivano al livello popolare. Gli antichi Egizi giunsero a credere che la statua nel santuario tenesse la chiave per un buon raccolto, salute e fertilità e compivano gesti pii che non erano molto differenti da oggi, con le offerte e preghiere ai santuari dei santi cristiani e degli sceicchi musulmani. I gesti di devozione sono una pratica consacrata che ha chiare radici nel passato più antico.

 

Questo è così affascinante negli studi di Wilkinson sulla pietra di Palermo. I successi materiali di una condizione unificata dipendevano dalle risorse della terra e dal commercio e c’è ogni indicazione che la relativa gestione fosse stata tracciata sin dalla fase iniziale. La creazione dei centri di culto non solo ha neutralizzato le differenze fra i vari insediamenti dell’Egitto superiore e inferiore, ma ha generato un forte legame fra la gente di tutti gli strati della società. E, più importante, quando il re assisteva alle feste di “nascita” degli dei e faceva le dotazioni reali sotto forma di pane e torte, buoi ed altro bestiame, oche ed altri uccelli e vasi di birra e di vino, l’occasione della sua visita era accompagnata dalle celebrazioni annuali che comportavano il macello degli animali sacrificali in suo onore. Queste offerte, poste sull’altare del santuario e soddisfacenti una volta una funzione religiosa, erano prese dal “servi del dio” , ossia i sacerdoti che curavano i santuari e le statue degli dei, in parte per trattenerle ed in parte per distribuirle alla gente. La costruzione degli edifici per il culto reale sembra essere stato il progetto più importante del regno di ciascun re, ed assorbiva gran parte del reddito di corte. Il concetto che gli dei ed il re avessero richieste reciproche l’uno nei confronti dell’altro dovevano essere forti, ma c’era sempre il rischio della resistenza e quando questo accadeva il re, a quanto pare, negava la prestazione del culto. Nei testi della piramide (molti dei quali sono datati ai periodi predinastici, come quelli che comprendono le frasi che si riferiscono ad un periodo in cui i morti erano posti a riposare in semplici fosse nella sabbia ed in cui gli animali del deserto potevano profanare i corpi), sono le espressioni in cui il re enfatizza il fatto che ha potere sopra gli dei, e che è lui che “concede il potere e toglie il potere, cui nessuno sfugge”.


L’effetto di una tal minaccia su una comunità che già aveva una forte identità e sui “servi del dio”, che prestavano assistenza ai santuari, può essere immaginato bene. Arrivava alla minaccia di annientamento ed alla perdita di prestigio. Secondo Erodoto, sopravviveva una tradizione che sosteneva che Khufu, il costruttore della grande piramide, avesse chiuso nel Paese i templi. Fra le sue prescrizioni, ricordate sin dai tempi antichi, erano la “cacciata” di Horus; , la “cattura” di Horus; e la “decapitazione” di Horus;. In un cartiglio d’avorio trovato a Abydos che data al regno del re Den, della Prima Dinastia, il re è indicato in una posa che doveva diventare classica: mentre schiaccia un nemico con un randello levato.
Il re dell’Egitto, padrone degli accessi alle risorse naturali e alle terre vicine; e dei santuari costruiti agli dei, come è registrato sulla pietra di Palermo, possedeva e condivideva una caratteristica comune con i capi di molte antiche società? Era un signore della guerra?


La PROVA è che le immagini impresse in sigilli e terraglie del primo periodo dinastico rivelano le immagini dei Faraoni impegnati in varie attività rituali ed alcuni dei testi di accompagnamento si riferiscono a statue fatte d’oro e di rame. Questa immagine proviene dal quinto registro della pietra di Palermo e si riferisce ad una statua di rame fatta nel regno di Khesekhemwy, o del suo successore dello stesso nome. Qui è scritta la prova che il rame statuario era noto e prodotto molto prima delle immagini ben note di Pepi I e di Merenre, trovate nel tempio di Hierakonpolis ed ora nel museo egiziano. I re sono raffigurati talvolta con la corona rossa, a volte con quella bianca, come quello qui rappresentato. Alcuni bassorilievi mostrano il re che cammina, o che accenna un passo in avanti.


 

Fonte: Al Ahram Weekly, 12-18 febbraio 2009.


Feb 12 2009

L’identità del padre di Tutankhamon è scritta nella Pietra

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 13:17

 

Una iscrizione su un blocco  di calcare potrebbe risolvere finalmente uno dei più grandi  misteri della storia: l’identità del padre del giovane  faraone Tutankhamon.

Un enigma dell’Egittologia, su cui storici e semplici appassionati si sono concentrati invano in passato, dovrebbe verosimilmente aver trovato soluzione, alla luce di un ritrovamento casuale, ma non per questo meno prezioso. 

Zahi Hawass, Direttore del Supremo Consiglio delle Antichità del Cairo, ha recentemente rinvenuto nel magazzino del sito archeologico di El Ashmunein (250 km a sud della capitale), la parte mancante di una lunga epigrafe, che, combinata con quella già nota, rivela un dato di portata storica straordinaria: Akhenaton, il faraone cosiddetto “eretico”, il primo monoteista della storia, fu il padre naturale di Tut Ankh Amon.

I due blocchi, trovati separatamente in tempi diversi, giacciono in un deposito di antichità adiacente alla zona archeologica, esterna al villaggio di El Ashmunein e provengono come molti altri dal locale tempio fatto erigere 100 dopo il periodo di Akhenaton, da Ramses II (attorno al 1250 a. C.). 

Costui, instancabile costruttore di edifici religiosi, volti a celebrarne le gesta, utilizzò nell’erezione di questo santuario parecchi blocchi della vicina Amarna, città, dove Akhenaton concentrò il proprio potere e che ai tempi di Ramses era semiabbandonata e aveva perso ogni centralità.

Ebbene sulla nuova epigrafe è gravato che Tutankhamon fu figlio di Akhenaton, così come è specificato che anche Ankhesenamon, sposa di Tut, fu figlia del medesimo padre (diverse furono invece le madri: Nefertiti per la giovane sposa, mentre a questo punto quella del faraone-bambino potrebbe essere proprio Kiya). 

Viene poi precisato che i due prossimi regnanti si sposarono giovanissimi ancora ad Amarna, quindi nel periodo oscuro e drammatico della fine del monoteismo amarniano e della successiva restaurazione del politeismo tebano.
Sembrerebbe di arguire, se la scoperta di Hawass fosse – come pare – confermata, che Tutankhamon, generato da una sposa successiva a Nefertiti, sia stato dunque più giovane della propria consorte Ankhesenamon, nata invece dal connubio Akhenaton-Nefertiti: ma sono tutti dati genealogici su cui riflettere, magari con il contributo di future scoperte.


“In ogni caso un simile, importante ritrovamento rende giustizia a una parentela ad oggi accettata da pochi: si era sempre pensato, quale genitore di Tutankhamon, o ad Amenophis III sulla base di un’altra stele, che dunque va corretta (costui in realtà fu il nonno) o a Smenkhkhara, probabile faraone tra Akhenaton e lo stesso Tut”, precisa Hawass.



Fu quel periodo (II metà del XIV sec. a. C.) contrassegnato dal monoteismo amarniano, i cui precisi contorni sfuggono: fu introdotto da Amenophis IV, che in virtù del nuovo credo religioso in onore del dio Sole Aton, assunse appunto il nome di Akhenaton. Egli spostò il centro del regno 500 km più a nord della precedente capitale (Tebe, oggi Luxor), destituendo le potenti classi sacerdotali tebane, legate alle numerose divinità del pantheon egizio, di ogni loro funzione; in questo fu aiutato dalla bellissima sposa Nefertiti, valida consigliera politica e splendida madre di sei figlie. 

Al declinare della fortuna di Nefertiti, Akhenaton si risposò e mantenne saldo il potere per altri anni, fino a quando il precedente “status quo” fu ripristinato per precisa volontà cospiratoria della potente casta sacerdotale tebana (anche se i particolari del declino di Amarna sfuggono). L’azione di restaurazione fu pilotata dall’abile consigliere Ay, che affidò proprio a Tutankhamon il primo trono di nuovo a Tebe: insomma fu Tut strumento della controrivoluzione, che cancellava il sogno di Amarna e di Akhenaton; di quell’Akhenaton, che ora la storia ha rivelato essere stato suo padre.

 

Fonte: Il  Sole 24 ore, del 21 Novembre 2008/Discovery Channel – 17 Dicembre 2008


Feb 10 2009

Padre di faraone

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 17:17

Da giovane, ovvero molti anni fa, lessi il Corano e la Bibbia  e la conseguenza, fu che rischiai di diventare un ateo.

Regalai il Corano a un amico e relegai in cantina la Bibbia con la promessa di non metterci più il naso. Promessa mantenuta per molti anni, ma adesso che mi hanno mandato in pensione,  che posso pensare e parlare in dialetto, ed ho intrapreso la mia strada nel diventare un vecchio scemo rincojonido, e per giunta mezzo sacagnà, che spera sempre nella pazienza del prossimo per le monade ch’el dise; ho deciso di levarmi uno di  quei tarli, che  furono il frutto  di quelle letture,  e che mi ha accompagnato  per anni.

Quando lessi nella Genesi  la storia di Giuseppe, fui colpito da un brano, che narrava di quando, in tempo di carestia i fratelli di Giuseppe intrapresero il loro secondo viaggio in Egitto per acquistare il grano. La prima volta Giuseppe  aveva nascosto la propria identità ai parenti che lo avevano venduto come schiavo. Questa seconda volta invece si rileva a loro e diceva per  rassicurarli:

“NON VOI MI AVETE MANDATO QUI, MA DIO: E’ LUI MI HA FATTO PADRE DI FARAONE”.

Non potevo credere di aver letto quella frase, la rilessi per sicurezza, non una, ma,  dieci, venti volte, il significato non cambiava,  “Lui mi fa fatto padre di faraone”

Uno dei più importanti patriarchi biblici aveva dato la paternità  a un Faraone, un ebreo era diventato “Dio dell’Egitto”. Era la verità più lontana dal mio pensiero di credente, una verità che non solo non accettavo, ma che mi dava fastidio.

Adesso quel tarlo lo  voglio estirpare,  e dove è possibile togliermi ogni dubbio, mettere in chiaro la verità, perché  parafrasando quel vecchio detto : “la verità vi farà liberi” io voglio essere libero. Mettiamoci al lavoro, riapriamo le librerie,  recuperiamo i vecchi hard disk e vediamo che monade otteniamo.


Feb 08 2009

I Rituali massonici – Un passato ripercorso

Category: Bibbia ed Egitto,Conoscenza variegiorgio @ 00:08

 

I rituali massonici ripercorrono uno ad uno tutti i fatti più salienti della storia della famiglia sacerdotale, che ci sono noti attraverso la Bibbia e sono perciò riconoscibili in modo immediato e certo. 

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Feb 07 2009

La famiglia di Mosè – (Settima ed ultima parte)

Category: Bibbia ed Egitto,Conoscenza variegiorgio @ 22:20

La ramificazione capillare degli strumenti di potere eclesiastico fu sempre  sotto il controllo della famiglia di Mosè. Le crociate mirarono alla riconquista degli antichi domini e tale fu la situazione sino a poco prima della scoperta dell’America.

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Feb 07 2009

La famiglia di Mosè Il segreto nei rituali – (Sesta parte)

Category: Bibbia ed Egitto,Conoscenza variegiorgio @ 21:46

Dal tempo di Gerusalemme alla Fondazione della Chiesa di Roma, la famiglia mosaico si trasforma in un potere occulto nella storia dell’occidente. È l’origine della Massoneria?

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Feb 07 2009

La famiglia di Mosè – (Quinta parte)

Category: Bibbia ed Egitto,Conoscenza variegiorgio @ 09:28

 

 

Con la distruzione del Tempio di Gerusalemme, le 24 famiglie sacerdotali mosaiche che dai tempi di Esdra possedevano l’ esclusività del sacerdozio, sono uscite fortemente decimate e private di quello che per secoli era stato il centro e lo strumento del loro potere: il Tempio. Ma non scomparvero fisicamente.

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Feb 06 2009

La famiglia di Mose – La storia non è mai come appare – (quarta parte)

Category: Bibbia ed Egitto,Conoscenza variegiorgio @ 08:31

Il ruolo di Giuseppe Flavio nella consegna del Tesoro del Tempio  di Gerusalemme  all’imperatore Vespasiano. Attraverso di lui la famiglia di Mosè sopravisse ma da allora  se ne persero le tracce 

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