Giu 24 2019

IL MODO DI VIAGGIARE NELL’ANICHITA’

 

 

– Nello studiare le strade antiche è inevitabile occuparsi anche del come venivano percorse, con quali mezzi di trasporto, quali velocità, quali intervalli tra una sosta e l’altra.

  • Il commercio minuto italico ed etrusco, consisteva di brevi carovane autonome, con carichi a dorso di mulo, che girovagavano tra città e villaggi, per scambiare merci; con mercanti e trasportatori della stessa famiglia, paragonabili agli attuali ambulanti che fanno i mercati. Più tardi, in età romana, quando vi furono sufficienti vie acciottolate o lastricate, anche questo commercio passò sui carri.
  • I grandi flussi commerciali etruschi invece non erano autonomi, perché il problema principale era la sicurezza dell’attraversamento di grandi territori abitati da altre genti; e dunque il ferro e le merci dello scambio in controvalore, viaggiavano con carovane allestite da gente locale. Gli Etruschi avevano esperienze di rapporti internazionali (conoscenza di lingue e di tipi di gente, di ambienti e di valori delle merci, diplomazia e abilità di trattare gli scambi), perciò i commercianti etruschi viaggiavano assieme a trasportatori dei luoghi attraversati (carovanieri o natanti) i quali conoscevano bene i percorsi migliori e tenevano buoni rapporti con le popolazioni locali. Questo sistema fu il motore dello scambio di costumi, credenze e conoscenze, oltre agli scambi mercantili ed economici.
  • I costumi antichi erano conservatori, cioè la gente faceva sempre le stesse cose allo stesso modo, perché l’unica scuola consisteva nel tramandare esperienze di padre in figlio, perciò esistevano famiglie a tradizione carovaniera (o natante), che per generazioni continuavano sempre gli stessi percorsi e metodi di viaggio, e ciò era quanto di meglio si potesse, per far viaggiare mercanzie, per centinaia di chilometri tra l’Etruria (o le navi etrusche) e le città dell’interno padano e celtico.

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Giu 13 2019

I SEGRETI DELL’ARC…SULLE ORME DI ANNIBALE

 

 

Arc è una parola di sole tre lettere, ma è la chiave di molti significati: c’è un Arc che tende il filo per scoccare la freccia, un Archetto che tende la tela da rammendare, un Arcolaio che dipana il filo, un Arcotrapano usato per fare fori nell’antichità, l’Arco regge il tetto e la strada del ponte, c’è un Arcobaleno ed un’Arco del tempo, fin anche l’Archeologia che spiega la Storia che non fu scritta.

 

Ebbene qui vengo a dire che c’è anche un Arc che potrà spiegare ciò che fu scritto da chi non sapeva scrivere; questo Arc è il più bel fiume della Savoia, dove si potranno organizzare gite a piedi sui monti, per migliaia di appassionati camminatori che, nel cercare la quiete e l’aria pura, cercheranno di fotografare mille graffiti sparsi su tutte le rocce delle vallate attorno, perchè da questo lavoro, nascerà una nuova archeologia, che non solo spiegherà le “Orme di Annibale”, ma anche scoprirà la logica dei Petroglifi, che costellano tutte le montagne del mondo, e che dicono cose più antiche della scrittura.

 

Quello che segue è il prospetto di viaggio, che ho fatto per cercare le “Orme di Annibaie”.

 

IL PERCORSO SULL’ARC – VERIFICA DELLE DEVIAZIONI POSSIBILI

 

Da Camousset sull’Isère dove confluisce l’Arc, quota 350 m, (156 km da Valence) si prosegue per Aiguebelle sur Arc, che dista 9 km dall’Isère e sta sulla curva verso sud del fiume Arc; qui vi è una gola con laghetto che passa tra un cucuzzolo isolato alto 400 m. (Montgilbet), posto tra il fiume ed un monte maggiore. La gola di Aiguebelle deve essere quella dove l’esercito fu bombardato da sassi.

 

Da qui la marcia riprese al 2° giorno dall’arrivo alla confluenza Arc, e per 3 gg consecutivi sul fondo valle, dove era una strada carrabile, alla velocità solita di 28 km/gg, perciò a circa 90 km, incontrò gli abitanti del passo, prosegui senza incidenti per 1 gg ma il giorno dopo fu attaccato sotto una rupe bianca in una gola, e dopo altri due giorni giunse al valico (90+20-30 km =110-120 km tot).

 

Al 10° g. inizia la discesa (forche, frana, neve nuova e vecchia), poi campo 3 gg con pascolo, 13° g. discesa, fine zona dirupata; poi 3 gg per giungere al piano (Pianura Padana).

 

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Mag 29 2019

SINTESI DELLE STRADE ROMANE

 

 

 

Questa sintesi, meglio descritta altrove, vuole essere uno sprone per molti Cultori di Storia Locale che, ciascuno per il suo paese o città, possa portare avanti questo tipo di indagini, per farle confluire in Questo Sito, punto di convegno degli appassionati archeologi, dove si potrà costituire un Forum di confronto, discussione e messa a punto dei dati, per completare sempre più, una mappa geografico-storica-archeologica dell’Italia.

 

Io sono troppo vecchio per continuare questo lavoro, perciò spero di suscitare interesse perché lo facciano altri.

 

Si dice che “nisciuno è nato imparato“, non bisogna preoccuparsi del dire solo cose certe, perché di esse non ce ne saranno mai, servono dati ed idee da porre a confronto con altre persone ed altri dati, perché è questo che porterà al compimento di documentazioni di valore, come servono all’ampliamento della Conoscenza.

 

 

STRADE RADIALI DI ROMA

 

NOME STRADA ASSE VIARIO COSTRUTTORE COSTRUZIONE UTILIZZO KM NOTE

 

L’antica Roma dei sette re, 753-609 a.C. ebbe brevi strade suburbane a disposizione radiale:

 

Campana:  poi Portuense, Roma-Portus, Imp.Claudio I d.C, 28 km. sponda destra Tevere

 

Maccarese:     poi inizio Aurelia fino a Fregene, 241 a.C., 25 km

 

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Mag 26 2019

LE STRADE ROMANE

Verona la Postumia all’ingresso della città

 

 

L’ assetto stradale antico

 

Le più antiche strade ancora esistenti sono quelle romane, che dopo oltre duemila anni continuano ad essere i collegamenti vitali dell’Italia, dell’Europa e del Mediterraneo. Furono fatte per la guerra ma poi servirono alla pace e l’unione tra i popoli.

 

La civiltà romana si forma dal 753 al 509 a.C. col regno dei sette re, tra una etnia Latina che include vari popoli del Lazio centrale: Sabini, Albani, Volsci, ed immigrati Etruschi, Troiani, Greci e Fenici.

 

Poi diventa Repubblica e nel IV sec.a.C. comincia ad espandersi; diventa una società cosmopolita che annette nella capitale gli esponenti di tutte le culture conquistate; si dà una solida struttura urbana di concezione etrusca, protetta dalla grande cerchia delle Mura Serviane, e le strutture di base come la rete di strade, acquedotti, fognature, porto fluviale, senato, leggi scritte, censo, esercito permanente.

 

All’inizio del regno la struttura viaria era quella tipica della griglia etrusca, per la quale ogni città si trova all’incrocio tra una via longitudinale ed una trasversale, ma alla fine diventa a struttura radiale.

 

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Mag 24 2019

ANTICHI FIUMI E LAGUNE ETRUSCHE

 

Questo capitolo è richiamato dal precedente, perché vi è citato l’antico porto lagunare di Ficana, che precedette il porto romano di Ostia. Come già fatto con la spiegazione del Ticino, mi servo delle descrizioni geografiche, per mostrare il perché di certe situazioni archeologiche, ed il perchè di altre descrizioni paesaggistiche che compariranno in quel “Viaggio in Etruria” che seguirà.

 

Quando parlo della osservazione attenta del territorio e del paesaggio, ripenso a come mio nonno mi faceva notare tutto ciò che ci circonda, nel corso delle passeggiate. Tutto ha una storia ed un perché, e lo scoprirlo apre il fascino di vedere le cose in un altro modo, consente di vedere anche ciò che non si vede, e ciò che è stato e non c’è più, perché nulla scompare veramente, ma si trasforma in un’altra cosa. Così ritengo utili queste divagazioni dalla storia ad altri argomenti, perché danno risposte a questo e quello, come io facevo da bambino, e suppongo debba farlo anche chi ama leggere queste cose. Tutto ciò che esiste ha delle motivazioni, e lo scoprirlo trasforma le curiosità del passato in previsioni per il futuro.

 

In questa ottica, questo capitolo pone l’argomento Delta dei Fiumi e Lagune Costiere, perché dominarono il paesaggio delle coste dell’Etruria, ed oggi dopo tremila anni, non ci sono più, perciò torna il discorso che, per poter capire un altro mondo, occorre immedesimarsi nella sua realtà, e dunque occorre ricostruire con l’immaginazione come fu il paesaggio dell’epoca.

 

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Mag 21 2019

SINTESI DELLE STRADE ETRUSCHE RIPARTITE PER LUCUMONIE

 

 

Classifica dei siti

 

CAPOLUOGO – città importante – porto– città secondaria – nome latino, etrusco.

 

LUCUMONIA DI CERE (Caere, Khaire, Cisra, Kisra)         (a        6 km dal mare)

 

Confine NordOvest – fiume Mignone (Minio) a nord monti Tolfa, Lukus Tarquinii,

Confine NordEst      – lago Bracciano, Lukus Veientii,

Confine SudEst       – fiume Arrone{Aro)da Bolsena a Fregene, Lukus Veientii,

Confine SudOvest   – mar Tirreno da Fregene a Civitavecchia,

Strada a Ovest        – Litoranea 40 km, S.Severa (Pyrgi) . S.Marinella (Punicum).Civitavecchia (Centumcellae).

 

Strada a NordOvest – interna 50 km, Terme Taurine, Cencelle sul Mignone,Tolfa, Allumiere, collegate ai porti,

 

Strada a Nord          – interna diretta 15 km a Bracciano, poi attraversa il tarquinate e va a Viterbo, Bolsena, Chiana,

 

Strada a SudEst      – litoranea 15 km, Palo(Alsium), Fregene, risale il fiume Arrone, Torrimpietra, Galeria.

 

Le strade locali sono tutte orientate dal mare verso il Lago di Bracciano; le strade a lunga percorrenza sono solo quella litoranea che corre a 4 km all’interno dal mare, e la Dorsale Etrusca per Viterbo, Val d’Elsa, o Valdichiana.

 

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Mag 20 2019

VIE PREISTORICHE NELLA PADANIA

 

Alte Ceccato rilevamenti di una strada preistorica 

 

 

Premetto che qui è solo abbozzato un progetto di esplorazione, in cui gli itinerari sono tratti dalla carta geografica, ma solo alcuni sono stati percorsi sommariamente, tanto per valutare gli ambienti, manca l’esplorazione reale che consente l’analisi dei luoghi, da cui stabilire dove questi itinerari coincidono con il percorso effettivo delle antiche strade.

 

PERCORSI PREISTORICI PADANI con direzione Est – Ovest

 

Nell’antichità la pianura padana era una immensa palude interna alla foresta, dove i fiumi senza argini dirompevano ad ogni piena (come è oggi l’Amazzonia), non era abitata ma veniva percorsa da imbarcazioni, e lungo i fiumi maggiori vi passarono i primi esploratori egeo-fenici. Pochi percorsi preistorici sul terreno asciutto, furono tracciati dai popoli migranti, come detto nel capitolo precedente, e questi passarono in costa ai colli, secondo due grandi direttrici: da est a ovest per i popoli illirici e danubiani, e da sud a nord per i popoli liguri.

 

Flussi migranti dei successivi Celti, aprirono altri percorsi lungo le valli alpine, da nord a sud (Ticino e Adige), e da ovest a est (Dora Baltea e Riparia).

 

Vi sono ancora strade su questi tracciati preistorici, ed i due principali con direzione est-ovest, sono la Pedemontana Superiore, a nord del Po’, e la Pedemontana Inferiore, a sud del Po’.

 

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Mag 19 2019

LE STRADE ITALICHE ED ETRUSCHE

Via etrusca  che attraversa il paesaggio  

 

Il clima europeo si stabilizzò fra il 3° e 2° millennio a. C, in cui le oscillazioni di temperatura, che sempre avvennero (<3500>2800<2000>1200<1000>400°a.C.), divennero simili alle attuali, ed il nuovo clima detto neotermale, fu l’attuale temperato umido atlantico, condizionato dall’anticiclone delle Azzorre. In questa epoca scompare completamente la tundra e si formano immense foreste di abeti, faggi, ontani, querce, con praterie di graminacee sulle alture; si estingue l’alce e arrivano cervi, caprioli, stambecchi, l’orso diventa piccolo e rado, soppiantato da branchi di lupi, volpi, cinghiali, lepri.

 

Muta l’epoca da Preistoria a Protostoria con la Civiltà del Ferro, che in Europa inizia nel 1.000 a.C e si compenetra con l’inizio dell’età storica, attorno al 500 a.C, senza un preciso confine, perché vi sono culture che non scrivono i loro eventi (Celti) ed altre culture che li scrivono ma sono stati cancellati (Etruschi); perciò si pone un confine convenzionale che inizia l’età storica italica, con la Civiltà Romana, e reclude gli Etruschi in un limbo che sfuma tra protostoria e storia; e dunque, questo testo che cerca le tecnologie più delle citazioni storiche, vuole restituire agli Etruschi il pieno titolo che meritano, di inventori delle strade moderne, che poi i romani attuarono su larga scala facendosene il proprio simbolo.

 

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Mag 18 2019

LE STRADE PREISTORICHE

La strada dell’età del bronzo  che porta sul monte Roccolo, detto anche Monte Pagano,  a  Montecchio di Negrar  

 

 

Le Vie dell’uomo paleolitico

 

Fin dalla preistoria, il più importante indicatore della presenza umana in un territorio, furono le strade, perché sorsero prima degli abitati e sono rimaste, ricalcando i percorsi delle migrazioni degli animali.

 

–          Il motore primo di tutta la storia fu la variazione climatica, che attraverso quattro oscillazioni di temperatura tra il 10° e I’ 8°millennio a.C, spostò le piogge dalla zona tropicale del Sahara ed Arabia, alla zona temperata dell’Europa ed Asia, per cui lentamente a sud del Mediterraneo, le foreste divennero savane e poi deserto, mentre a nord dello stesso, scomparve la tundra e vi si sostituì la macchia, la brughiera, la foresta. Il cambio di vegetazione diede inizio alle migrazioni di mandrie di animali da sud a nord, e queste furono seguite dall’uomo paleolitico, che viveva di caccia alle stesse.

 

–          Questa epoca pone termine al Paleolitico e porta l’homo sapiens mediorientale, a colonizzare tutta l’Europa e l’Asia, diffondendo la nuova tecnica di caccia con l’arco e le frecce, e perciò produce punte di freccia in pietra scheggiata, da cui il nome di cultura microlita, Questo homo paleolitico vive di caccia ed abita in tende di pelle, che sposta seguendo le mandrie di animali, e poiché questi migrano su itinerari lunghissimi, anche questo homo diventa “migrante”, con spostamenti lungo i percorsi animali, che sono le prime strade della storia, e vengono dette piste, perché sono immense fasce prative che attraversano territori, dove le foreste non sono mai cresciute, per il continuo movimento dagli animali.

 

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Feb 27 2019

LA PRIMA VICENZA SCOPERTA SOTTO LA FUTURA BRETELLA

Category: Archeologia e paleontologia,Veneto e dintornigiorgio @ 17:22

 

 

VICENZA. Lì dove tutto è iniziato, nascerà una tangenziale. Quei primi vicentini non potevano immaginare che 7.300 anni dopo, al posto delle loro capanne, sarebbe passata una strada a scorrimento veloce. Ma non era nemmeno prevedibile che l’area di cantiere della tanto attesa futura bretella dell’Albera nascondesse uno dei siti archeologici più interessanti di Vicenza, capace di raccontare i primi insediamenti di abitanti della città, risalente al Neolitico antico. È qui che sono state ritrovati frammenti di vasi di ceramica, strumenti di selce, tracce di intonaci delle capanne o dei primi focolari. 

 

Una scoperta che gli archeologi della Soprintendenza considerano importantissima. Anche se si attendono ulteriori indagini per confermare le tesi preliminari: il materiale emerso dagli scavi sembrerebbe risalire a un periodo compreso tra il 5.300 e il 4.900 avanti Cristo, quando le comunità che prima vivevano solo di caccia e raccolta, cominciarono a coltivare i campi. E dove prese forma la prima Vicenza. 

 

Fonte: da il Giornale di Vicenza del 23 febbraio 2019

Link: http://www.ilgiornaledivicenza.it/territori/vicenza/la-prima-vicenza-scoperta-sotto-la-futura-bretella-1.7142789?fbclid=IwAR2LCGrnDop2USXgXKPbnHgdrMobhi0n5U7g_Se1jZpAsL6HSdo5avLAG8I

 


Gen 21 2019

LA STELE VENETICA DI ISOLA VICENTINA….ANCA ISOLA ’NTE ’A PREISTORIA

Stele di Isola Vicentina

 

 

Da Isola Vicentina (VI)

 

La xe stà proprio ’n avenimento stòrico sta scoperta; a no xe da tuti i dì tirar sù da soto tera na pria de tanti sècoi fà, co su scrito ’n po’ de ’a so storia. ’Lora, tornando indrìo ’tel tenpo, serchemo de saèrghene na s-cianta de pi.

 

Sirca diesemila ani fà, la nostra rejon veneta la jera ’ncora prijoniera rento na enorme grosta de giasso (Era Glaciale) ma pinpian, grassie a l’aiuto de ’n caldo e umido ventesèo, el giasso ga scumissià desfarse, provocando ’n cataclisma che ga roersà sotosora le montagne, canbiàndoghe parfin la facia a l’imensa pianura e fasendo sì che se formasse coline, lagheti e na distesa palude de sassi e paltan che faséa védare na desolassion che solo i raji del sole faséa ’ncora slúsare.

Xe passà i ani, xe passà i sècoli e soto ’a magia de ’a man del mistero xe sorta la vita, mace de fili de erba, maciuni de piantine carghe de foje e fiuri, e le montagnole xe deventà boscheti indóe ga catà rifujo animài come camossi, stanbechi e caprioli.

 

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Gen 11 2019

SI È SPENTO L’ARCHEOLOGO ANGLO-VERONESE PETER HUDSON

8  GENNAIO 2018, Ci rattrista l’improvvisa scomparsa del collega Peter Hudson, figura di riferimento non solo per l’archeologia urbana. Esprimiamo le nostre condoglianze ai familiari. I funerali si terranno alle 15,15, sabato 12 gennaio nella sala evangelica presso il cimitero monumentale di Verona.

SAP società archeologica srl.

 

Peter Hudson in foto del 2002

 

 

E’ MORTO  ALL’OSPEDALE DI NEGRAR L’ARCHEOLOGO INGLESE, MA VERONESE DI ADOZIONE, PETER HUDSON.

 

8  GENNAIO 2018 –  Si è spento all’ospedale di Negrar l’archeologo inglese, ma veronese di adozione, Peter Hudson, nato a Manchester il 26 settembre 1954. Ne ha dato notizia su Twitter la Soprintendenza di Verona: «A lui si devono tutte le maggiori conoscenze sull’altomedioevo veronese. La Soprintendenza lo ricorda come uomo di grande cultura e conoscenza archeologica e come persona e di notevoli vedute e umanità».

Peter Hudson, per citare alcuni dei suoi molteplici interventi, ha diretto gli scavi nel Cortile del Tribunale, ha lavorato agli scavi scaligeri, ha diretto gli scavi archeologici durante i lavori del sottopasso di Porta Palio, in occasione dei Mondiali ’90, e poi la Postumia in corso Cavour.

 

IL LUTTO. IL RICORDO DELL’ARCHEOLOGO CHE SI È SPENTO A 64 ANNI: È STATO IL PROTAGONISTA DELLE PIÙ IMPORTANTI CAMPAGNE DI SCAVO TRA GLI ANNI OTTANTA E NOVANTA IN CITTÀ

 

L’inglese che ci ha fatto scoprire Verona

 

Peter Hudson, nato a Manchester, si era stabilito qui dopo aver lavorato per Porta Palio, la via Postumia, il cortile del Tribunale

  

 

 

Peter Hudson fotografato nel 1997 al lavoro negli scavi di via Mazzini 

 

Alto, barba e capelli rossi, mani grandi da portiere: era inconfondibile Peter Hudson da Manchester, l’archeologo inglese che ha fatto scoprire Verona ai veronesi guidando le più importanti campagne di scavo in città tra gli anni Ottanta e Novanta insieme con la sovrintendente di allora Giuliana Cavalieri Manasse.

 

Se n’è andato in poche settimane all’età di 64 anni (come anticipato ieri da L’Arena), lasciando la compagna Gabriella e il figlio Thomas, all’ospedale di Negrar dove era ricoverato da alcuni giorni e lasciando una enorme mole di ricordi e di testimonianze in chi ha vissuto con lui quella stagione che il suo amico e collega Simon Thompson, pure lui di Manchester, compagno di studi di Peter, che come tanti altri inglesi ha scelto di stabilirsi nella nostra città, chiama «periodo d’oro».

Peter Hudson, una laurea in archeologia all’università di Lancaster, ha avuto meriti enormi: grazie a lui, a un inglese che amava il calcio e il cricket, sono state riportate alla luce le pagine più interessanti del passato di Verona, chiudendo definitivamente l’era degli scavi fatti con le ruspe per sostituirli con campagne di scavo certosine, da quelle romane a quelle altomedievali, con pennello e pazienza.

 

 

 

1991: Peter Hudson con Giuliana Cavalieri Manasse nell’area di scavi per il sottopasso di Porta Palio

 

«Negli anni Ottanta e Novanta eravamo in pochi ad occuparci di archeologia in quel modo», racconta Simon Thompson, compagno di scuola, collega di tante avventure archeologiche di Peter Hudson. «Peter arrivò in Italia cominciando da alcuni lavori di scavo a Pavia, poi si trasferì a Verona per gli scavi condotti dalla soprintendente Cavalieri Manasse. Cominciò alla Rocca di Rivoli. Poi si spostò in città per gli scavi del Cortile del Tribunale, ora Scavi Scaligeri, insieme con l’architetto Libero Cecchini e fu un apripista nel Nord Italia».

Con quegli interventi di recupero archeologico infatti si aprì, spiega Thompson, una nuova epoca: «Cambiò completamente il metodo di lavoro perché si cominciò a lavorare in modo stratigrafico, nel rispetto delle varie epoche, sotto la direzione degli esperti. Si chiuse il periodo delle ruspe che scavavano tutto e degli operai che buttavano via qualunque cosa. Questo fu uno dei suoi grandi contributi all’archeologia: il metodo stratigrafico».

 

Peter Hudson non si sposterà più da Verona e dal suo centro storico. «Dopo il cortile del Tribunale, lavorammo insieme per gli scavi del Campidoglio cittadino, sotto Palazzo Maffei e Corte Sgarzerie dove ora gli scavi sono visitabili».

 

Arrivarono i Mondiali di calcio del 1990 e gli scavi dei sottopassi in circonvallazione. «Ricordo la campagna di scavo per il sottopasso di Porta Palio con la soprintendente Cavalieri Manasse. Vennero trovati tantissimi resti medievali e tombe. Per non parlare poi del lastricato della via Postumia, riportato alla luce sotto corso Cavour».

 

1999:  Peter Hudson   al lavoro sulla   Postumia in corso Cavour 

 

Che cosa resta di tutto questo? «È stato trovato tantissimo materiale interessante e prezioso, di epoca romana e medievale; servirebbe ora per la città il museo archeologico nazionale, ma non si riesce ad andare avanti, è ancora fermo».Una Verona che rischia di dimenticare queste pagine della sua storia e i suoi protagonisti. «Io spero che la città trovi il modo di ricordare il lavoro prezioso di Peter Hudson. Lui non era solo un archeologo da campo ma un vero studioso, un grande appassionato del periodo Longobardo e altomedievale, si immergeva negli studi in biblioteca, cercava e studiava documenti, ceramiche, testimonianze. Ha dato un contributo enorme alla storia di Verona e del Nord Italia. Il modo migliore per ricordarlo sarebbe riaprire in suo onore gli Scavi Scaligeri, con il suo nome, una foto. E magari la cittadinanza onoraria alla memoria….».

 

 

LA «CAMPAGNA DI RIVOLI». NEL 1978 SULLA ROCCA COMINCIÒ L’AVVENTURA VERONESE DELLO STUDIOSO

 

Il giovane Peter con gli amici alla riscoperta del Castello

 

Banterla: «Fu “adottato” dalla gente e tanti giovani diedero un aiuto»

 

Un legame speciale unisce Peter Hudson e Rivoli. Proprio qui, infatti, a partire dal 1978 l’archeologo anglo veronese diresse la campagna di scavi ai resti del castello medievale sulla Rocca a picco sulla Chiusa su incarico della pro loco del paese. E qui fece le sue prime, importanti scoperte.

 

«A Rivoli ebbe inizio il brillante percorso scientifico di Hudson, che divenne uno dei più importanti ricercatori di archeologia medievale e urbana, fino ad allora non molto considerata in Italia per il “primato” dell’archeologia classica» svela l’amico Gino Banterla, allora presidente della pro loco e oggi consigliere comunale. «Me lo aveva indicato il suo professore all’università di Lancaster, Hugo Blake, con cui si laureò in archeologia medievale. Da allora diventammo amici».

Il segno distintivo di quegli scavi fu la grande partecipazione della popolazione locale e gli studiosi inglesi furono “adottati” dalla gente. A tal punto che l’esperienza della campagna medievale alla Rocca è ancora viva nella memoria collettiva, a Rivoli. «Hudson conquistò la simpatia della gente con il suo carattere espansivo e ironico» continua Banterla. «Al gruppo di archeologi inglesi si affiancarono alcuni volontari rivolesi e le donne si diedero da fare per garantire a tutti un buon pasto ogni giorno».

Gli scavi condotti dall’esperto archeologo misero bene in rilievo l’importanza strategica di quel castello, in cui nell’Ottocento venne ambientato il romanzo storico di Osvaldo Perini “La Castellana di Rivoli”, e portarono alla luce una serie di manufatti che furono poi oggetto di una mostra.

 

«Quei reperti, che non si sa bene dove siano finiti, nei progetti del Comitato Rivoli ’97 avrebbero dovuto costituire una sezione medievale di un grande museo del territorio da istituire al Forte» conclude Banterla. E rivela: «Con Peter ne avevamo parlato più volte. Purtroppo non c’è stato il tempo di realizzare insieme a lui quel sogno».

Negli anni Settanta la pro loco di Rivoli, guidata da Banterla insieme a Dario Testi e Giorgio Zerbini, era una realtà giovane, battagliera e all’avanguardia sotto molti aspetti. Chiedeva un rinnovamento e promuoveva iniziative culturali di valorizzazione sia delle testimonianze storiche, archeologiche e monumentali sia dei prodotti locali. Combatté anche dure battaglie per difendere il territorio dalle lottizzazioni selvagge, dall’apertura indiscriminata di cave e dagli insediamenti industriali.

 

Fonte: srs di MAURIZIO BATTISTA, da L’Arena di Verona del 10 gennaio 2018

 

 

PETER JOHN HUDSON, L’ARCHEOLOGO CHE AVEVA VERONA NEL CUORE

 

Foto in alto: Peter John Hudson a Verona con alcuni suoi giovani collaboratori (Paola Fresco).

 

CON LUI I VERONESI PERDONO UN TESTIMONE IMPORTANTE DELL’EVOLUZIONE DELLA CITTÀ DALLA SUA FONDAZIONE, UN INNOVATORE DELLA TECNICA DI SCAVO STRATIGRAFICO, CHE SI POI SI È DIFFUSA IN TUTTA ITALIA.

 

Una dedizione indefessa al lavoro di scavo archeologico e un approfondito studio della storia della nostra città: ecco i tratti distintivi della figura dell’archeologo Peter John Hudson che ci ha lasciato improvvisamente martedì 8 gennaio. L’archeologo inglese, nato a Manchester il 26 settembre 1954, era arrivato a Verona nel 1981, per dedicarsi con uno straordinario lavoro agli Scavi Scaligeri dell’ex tribunale, purtroppo oggi chiusi al pubblico. Si trattò del primo scavo urbano così esteso fatto in una città italiana con l’utilizzo del metodo stratigrafico: circa 1500 metri quadrati per una profondità di 3,5 m. che hanno attestato l’evoluzione della storia di Verona dal suo primo insediamento romano nell’ansa del fiume, intorno al 48 a.C., fino al periodo scaligero. Ciò che colpiva in lui era la capacità di sintesi e di interpretazione del dato archeologico che sapeva collocare e datare con grande competenza.

 

Nel ’90 entra, come socio fondatore e direttore tecnico, nella cooperativa veronese Multiartacquisendo l’importante commessa del sottopasso di Porta Palio, al quale parteciparono anche vari studenti inglesi. Quindi a Povegliano diresse lo scavo della Madonna dell’Uva Secca da cui emersero tombe pre-romane e longobarde, lavorando sempre in collaborazione con la direttrice del nucleo operativo della Soprintendenza del Veneto Giuliana Cavalieri Manasse.

 

1988:  Gli scavi davanti a Porta Borsari 

 

Tra il 1997 e il 1999, durante gli scavi Agsm in via Mazzini, fu il protagonista della scoperta delle mura che Gallieno costruì nel 265 d.C. intorno all’Arena affinché non rimanesse baluardo nelle mani dei barbari: nell’area della farmacia Due Campane egli scoprì il tratto che le collegava all’allineamento di via Alberto Mario. Emersero tra gli altri i resti di una bella scalinata di un tempio che fu demolito per far spazio alle mura. L’anno dopo fu la volta degli scavi in Corso Cavour dove mise in luce, in tutta la sua maestosità, la via Postumia che denominò “autostrada dell’antichità” larga 14 m fino ai 16 m dell’area di Castelvecchio.

 

Fu poi la volta di Palazzo Maffei e quindi della Basilica romana in fondo a via Mazzini, dove oggi un tratto di pavimentazione più scuro ricorda la presenza dell’abside sottostante, solo per citare i suoi lavori più eclatanti. I problemi burocratici che incontrava sugli scavi e che ne ostacolavano il lavoro affliggevano il suo cuore di leone appassionato, dalla criniera fulva e dalla corporatura imponente, sempre pronto all’azione: alla città rimane l’esempio della sua figura dal carattere sensibile, umile e generoso, e tutti i dati storici che sono stati raccolti ed elaborati grazie al suo amore profondo per l’archeologia.

 

Con lui Verona perde un testimone importante dell’evoluzione della città dalla sua fondazione, un innovatore della tecnica di scavo stratigrafico, che da Verona poi si è diffusa in tutta Italia. A lui il mondo accademico, che poco frequentava per la sua predilezione al lavoro sul campo, deve molto.

 

Giulia Cortella

 

Fonte: Srs di Giulia Cortella  da Verona -in, del  10 gennaio 2019-01-10

Link: https://www.verona-in.it/2019/01/10/peter-john-hudson-larcheologo-che-aveva-verona-nel-cuore/?fbclid=IwAR2tfuhCDdr4hBioXuUnVW2Gr_FQfcGUzqQpeaKf8V66EtJBTIYtFCAs2IE

 

 


Nov 19 2017

GERUSALEMME: RITROVATO UN’ANTICO STABILIMENTO TERMALE ROMANO

 

 

Ritrovato a Gerusalemme uno stabilimento termale romano.

Questa scoperta mostra con sorpresa che l’accampamento romano fosse stato molto più esteso di quanto si pensasse.

 

Sono state ritrovate diversi corredi intatti compreso anche le piastrelle che portavano incise lo stemma della Decima legione che distrusse il secondo tempio di Gerusalemme.

 

Questa scoperta aiuterà a capire i confini della vecchia Gerusalemme.

 

Il ritrovamento del marchio della Decima Legione, inciso sia sulle tegole del tetto sia nei mattoni di fango gettato in opera, ci indica che furono direttamente i soldati romani a costruire l’intera struttura.

 

Sembrerebbe che il bagno pubblico sia stato utilizzato dagli stessi soldati che presidiarono quei luoghi e furono gli artefici della repressione della rivolta di Bar Kokhba nel 135 d.c.

Le strutture rinvenuto comprendono una serie di vasche intonacate nel fianco di una piscina e della pavimentazione bianca a mosaico.

 

Centinaia di piastrelle di terra cotta che erano collocate sul tetto sono state ritrovate sul pavimento della piscina, dimostrando che la stessa era provvista di una copertura.

 

Le piastrelle di questi bagni sono timbrate con i simboli LEG X FR (legione Decima “Fretensis” ).

 

La città romana di cui questo bagno faceva parte era chiamata Aelia Capitolina e la sua completa comprensione servirà per determinare come le vecchie mura di Gerusalemme erano disposte.

 

Fonte: http://edition.cnn.com/ (novembre 2010)

Fonte: da antikitera del 23 novembre 2010

Limk: http://www.antikitera.net/news.asp?ID=9522&TAG=Antichi%20Romani&page=12

 


Nov 08 2017

GLI SCIVOLI DELLE DONNE E IL RITO DI FERTILITÀ

 

Il sito di Bard all’incirca all’Età del Rame (metà IV – fine III millennio a.C.). Per quanto riguarda gli scivoli, questi appartengono ad un’epoca successiva, dal momento che hanno parzialmente cancellato le figure a cui sono sovrapposti.

 

 

Un rito di fertilità è un rituale religioso che rimette in scena un atto sessuale o un processo riproduttivo. Già nelle pitture rupestri erano rappresentati animali in procinto di accoppiarsi. Tale raffigurazione la possiamo considerare come un rito di fertilità magica. Queste ritualità avevano lo scopo di assicurare la fecondità della terra o di un gruppo di donne. 
Inizialmente il culto della fertilità era legato alla Grande Madre, generatrice e portatrice di fecondità. L’uomo primitivo rappresentava la Madre come una donna formosa con il ventre marcato per simboleggiare la fertilità.

 

A partire dal VIII millennio prima della nascita di Cristo si assiste alla proliferazione di raffigurazioni femminili legate al culto della fertilità. Il passo successivo è legato all’acquisizione del valore miracoloso della roccia. In questo contesto si inserisce lo studio legato agli scivoli della fertilità, massi utilizzati dalle donne che desideravano procreare.

Perché le pietre? Per la coscienza religiosa dell’uomo primitivo, la durezza, la ruvidità e la permanenza della materia sono una rivelazione del divino. La pietra è, rimane sempre se stessa, perdura nel tempo e colpisce. Ancora prima di afferrarla per colpire, l’uomo urta contro la pietra, non necessariamente con il corpo, ma per lo meno con lo sguardo. In questo modo ne constata la durezza, la ruvidità e la potenza. La pietra gli rivela qualcosa che trascende la precarietà dell’esistenza umana. 

 

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Ott 30 2017

QUESTI DENTI TROVATI IN GERMANIA POTRANNO RISCRIVERE LA STORIA

Category: Archeologia e paleontologia,Natura e scienzagiorgio @ 22:23

 

 

 

Una scoperta di 9, 7 milioni di anni ha lasciato stupefatti una squadra di scienziati tedeschi. I denti sembrano appartenere a una specie che si conosceva solo in Africa tipo “LUCY” ma 4/5 milioni di anni dopo.

Un team di archeologi tedeschi ha scoperto una serie di denti nell’antico fiume del Reno, ha annunciato Mercoledì il Museo di Storia Naturale di Mainz.

 

I denti non sembrano appartenere a nessuna specie scoperta in Europa o in Asia. Essi appartengono maggiormente a quelli appartenenti agli scheletri iniziali di ominidi di Lucy (Australopithecus afarensis) e Ardi (Ardipithecus ramidus), scoperti in Etiopia.

 

Ma questi nuovi denti, trovati nella città tedesca di Eppelsheim, vicino a Mainz, sono di almeno 4 milioni di anni più vecchi degli scheletri africani. Dopo questo ritrovamento gli scienziati erano talmente perplessi che hanno aspettato quasi un anno prima di decidersi a pubblicare questa notizia.

 

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