Mag 08 2019

SDRAIONA: DONNA DETTA DI “FACILI COSTUMI”, LIBERA O IN CASA DI PIACERE.

 

 

SDRAIONA.   Il nome romano derivava dalla posizione professionale. Al tempo della Roma papalina esistevano 600  lupanari o case che ospitavano le prostitute per l’esercizio del loro mestiere. Benedetto Blasi, (1980) ricorda che il tratto delle mura da Porta del Popolo all’antico ingressi di Villa Borghese, conosciuto con il nome di Muro Torto, o “Muro Malo” serviva, dai tempi più antichi  fino al  1800 inoltrato a seppellire i giustiziati impenitenti, ladri, assassini, presunti stregoni, streghe, e….meretrici, i corpi senza vita di coloro che non erano “degni” delle cerimonie religiose.

 

Malgrado questo le prostitute verso il 1592, erano talmente cresciute di numero da costringere il cardinale Rusticucci a notificare il seguente bando: “Poiché l’esperienza ha mostrato, che li luoghi già assegnati in Roma per tollerarvi le meretrici et donne disoneste, non sono capaci, si dispone di aumentare lo spazio”.

 

Verso il 1860 si contavano a Roma 20.000. prostitute. (a Roma la popolazione era stimata a circa 180.000 persone). Nello stesso anno, per regolamentare tale situazione, vennero istituite in Italia, con il Governo Cavour, le “case di tolleranza” o case chiuse” perché, per regolamento, potevano avere al massimo le persiane appena accostate o chiuse del tutto, fermate da una catenella con lucchetto interno ad impedirne l’apertura totale.

 

Esisteva una tabella delle tariffe, diversa per ogni classe di case, delle prestazioni: case di 1. classe, lire 5; case di 2. classe, dalle lire 5 alle lire 2; case di 3. classe, al di sotto delle lire 2.  

 

Nel 1862, morto Cavour ed essendo ministro Rattazzi, la tabella fu completata con la seguente postilla: “Tali tariffe vanno, com’è naturale, riferite ad un semplice trattenimento”.

 

Verso il 1930, le case di tolleranza erano, in Italia, 560.

A Roma ce ne erano 17, così ubicate: due in Via Arco della Pace, due in Via Mario de’ Fiori, una in Via del Pellegrino, due in Via Cimarra, e poi in Via dei Coronari, in Via Angelo Campanella, in Via dei Capocci, in Via della Fontanella, in Via Laurina, in Via Capo le Case, in Via degli Avignonesi, in Via dei Cappellari, in Via del Leonetto ed infine, la più cara e quella più di lusso, in Via di Fontanella Borghese. Le case chiuse erano intensamente frequentate da ogni categoria di cittadini.

 

Per la maggioranza, l’incontro con le donne e la conseguente scelta avveniva in un salone più o meno grande fornito di panche al muro o di poltrone o di divani. Per i clienti di livello sociale superiore le case disponevano di ingressi riservati e di salottini discreti dove l’ospite rimaneva solo, in attesa che le “pensionanti” andassero a trovarlo per farsi vedere e scegliere.

 

Quando la casa aveva soltanto un ingresso comune, il movimento del cliente discreto veniva regolato in modo che egli non potesse essere veduto né al suo ingresso né quando usciva. Una buona mancia alla portiera facilitava molto la manovra.

 

La portiera e la “maitresse” erano i perni sui quali girava tutta l’attività pubblica della casa chiusa. La portiera doveva “filtrare” i clienti, controllandoli uno ad uno, per lasciare fuori gli eventuali ubriachi, gli ammalati, le persone sporche o miseramente vestite e, soprattutto, i ragazzi (per lo più studenti che avevano marinato la scuola) di età inferiore ai 18 anni, come era prescritto dal regolamento di polizia. In questo caso, la lotta era più difficile perché i ragazzi, pur di entrare, erano capaci di qualunque astuzia, fio al punto di alterare la propria data di nascita sula carta d’identità.

 

D’altra parte, i ragazzi non erano proprio ben accetti nelle case di tolleranza perché, oltre alla loro naturale indole chiassosa, erano quasi sempre sprovvisti di denaro per cui si limitavano a divertirsi guardando e cercando di toccar (tastare) il più possibile le signorine senza combinare nulla di positivo. Questo modo di comportarsi a vuoto si chiamava “fare flanella”. Inutilmente la maitresse esortava i giovani – ed anche gli altri, non giovani – a decidersi di scegliere la loro donna con la tradizionale esortazione: “Ragazzi in camera!”.

 

Molte iniziazioni ai piaceri del sesso sono avvenute, con soddisfazione e con ottima istruzione per i giovani, in case cosiddette di malaffare. Invece, anche in questo caso, quelle istituzioni erano utili per lo “sverginamento” del giovane. Tali industrie costituivano sempre un affare per i loro tenutari o imprenditori o proprietari, che spesso erano persone rispettabilissime dell’alta borghesia.  L’unico rischio che si poteva correre era quello di contrarre dalla sdraiona, che a sua volta era stata vittima del contagio da un uomo, le più famose malattie derivanti dal sesso: blenorragia e sifilide.

 

A questo danno si cercava, da parte delle Autorità (qualcuna delle quali era sovente ospite gradito e riverito dei casini) di porre un argine, prescrivendo alle signorine di subire due volte la settimana, nella casa, un controllo da parte di un medico dermatologo. Se egli sospettava la presenza di una infezione, toglieva la donna dalla circolazione, facendola ricoverare in un ospedale – rinomato per quel tipo di specializzazione – quello di San Gallicano. In questo caso a Roma si diceva che la donna era entrata a Santa Galla. Le visite di controllo venivano annotate in un libretto personale che era rilasciato inizialmente, dopo registrazione della donna, dalla Pubblica Sicurezza.

 

Le donne delle case chiuse avevano diritto ad un giorno di riposo ogni settimana, purché non fosse di sabato né di domenica, che erano i giorni di maggior lavoro. Per la strada, le signorine erano eleganti, educate ed inaccessibili perché, almeno in quel giorno, intendevano proprio riposare e fare a meno degli uomini, salvo che non avessero un amico esclusivo del cuore.

 

L’utile netto delle donne era di circa la metà degli incassi, dal quale doveva essere detratta la pensione e le altre spese di casa. L’età minima era di 16 anni. I casini avevano un orario di apertura e di chiusura: dalle 10 alle 24. In ogni caso, era proibito ai clienti di trascorrervi la notte. Ciò avveniva soltanto clandestinamente e ad un prezzo vantaggioso (non per il cliente ovviamente).

 

Le ragazze venivano chiamate quasi sempre con nomi di battaglia in rapporto alla loro provenienza: La Bolognese, la Torinese, la Romanina, la Milanese e così via. Le case di tolleranza vennero chiuse per legge (promotrice la senatrice socialista Merlini) il 20 settembre 1958.

 

Fonte: srs di  Paolo Taffoni, da  Facebook , Amanti della storia romana, del 24 settembre 2018

 

Ps:  Luigi Stanziani.  Posso solo aggiungere che sull’isola Tiberina, prima della farmacia, c è una targa in travertino, purtroppo sempre meno leggibile, che ricorda come il restauro del Ponte fu pagato con la tassa sul meretricio.

 

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