Feb 21 2009

LA PIETRA DI PALERMO: Il primo libro di storia dell’Egitto

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 19:46

L’importanza storica della pietra di Palermo è stata lungamente oscurata dalla famosa pietra di Rosetta, ma Jill Kamil dice che ora la sta riconsiderando come autentico documento storico dell’antico Egitto.
La cosiddetta pietra di Palermo è il più grande e meglio conservato dei frammenti di una lastra rettangolare di basalto, conosciuta come gli annali reali dell’Antico Regno d’Egitto. La sua origine è sconosciuta, ma può provenire da un tempio o da un’altra costruzione importante.


 

Dal 1866 la pietra è a Palermo in Sicilia – città da cui prende il nome – ed ora si trova nel Museo Archeologico Regionale “Antonio Salinas”. La parte restante misura cm 43 d’altezza per 30,5 di larghezza, mentre in origine si ipotizza che avesse una lunghezza di circa 2 metri ed un’altezza di 60 cm. 

Altri frammenti della stessa lastra comparvero sul mercato antiquario fra il 1895 ed il 1963 e sono ora nel Museo Egiziano al Cairo e nel museo Petrie, presso l’Università di Londra.


Estratta dagli annali reali, la “Lista dei Re” predinastici è nel registro superiore della pietra di Palermo. È seguita dagli annali del regno dell’Egitto dall’inizio sino ai re della quinta dinastia. Sotto ogni nome sono indicati gli anni degli eventi importanti, la maggior parte di una natura rituale, e l’altezza dell’inondazione del Nilo è notata alla parte inferiore. Circa 13 studi importanti sono stati intrapresi sui frammenti della pietra e, da quando i primi sono stati pubblicati da Heinrich Schöfer nel 1902, gli eruditi sono stati divisi quanto a come interpretare le implicazioni del testo. Alcuni hanno insistito che i re predinastici elencati sulla pietra effettivamente esistessero, anche se nessuna ulteriore prova ancora era emersa. Altri hanno mantenuto il parere che la loro inclusione su una lista di re era soltanto un espediente ideologico, per indicare che prima dell’unificazione delle due terre dell’Egitto superiore e inferiore, da parte di Narmer/Menes, c’era il caos. Disordine prima di ordine. Sconosciuta fuori della cerchia degli studiosi, la pietra non è abbastanza conosciuta dal pubblico, forse perché è in diversi frammenti e non le viene attribuito nessun valore artistico.


Ora, tuttavia, conosciamo la verità, perché gli archeologi hanno identificato 15 re predinastici, realmente esistiti, tra quelli elencati sulla pietra di Palermo. La pietra di Palermo, con la relativa serie di notazioni apparentemente enigmatica, può essere stata il primo documento storico dell’Egitto.
La pietra rivela che i re più antichi, prima dell’inizio del periodo storico, si spostavano ad ampio raggio e con una certa regolarità. Inoltre registra che nei primi periodi dinastici, fra il 2890 ed il 2686 a.C., si conosceva già la fusione del rame e si realizzavano statue. Inoltre che le campagne militari effettuate in Nubia portarono alla cattura di 7.000 schiavi e di 200.000 capi di bestiame. Si facevano spedizioni alle miniere di turchese del Sinai; e 80.000 misure di mirra, 6.000 unità di electrum, 2.900 unità di legno e 23.020 misure di unguenti erano importate da Punt, sul litorale della Somalia moderna. Non era una società primitiva dedita alle lotte, alla soglia della civilizzazione, ma una già stabilita che stava forgiando il proprio carattere e affermava la propria identità.


Quando Toby Wilkinson dell’università di Cambridge, autore del libro “Early Dynastic Egypt”, ha presentato un documento sulla pietra di Palermo al congresso internazionale di Egittologia tenuto a Londra nel dicembre 2000, ha rianimato l’interesse sulla pietra. Infatti, è stupefacente che in quest’epoca di tecnologie informatiche egli fosse il primo erudito a riunire ed esaminare tutti e sette i frammenti della pietra insieme. Ha citato le discussioni iniziali pro e contro l’importanza del testo ed ha concluso che è stato intagliato, come la pietra di Rosetta, come corredo ad un culto degli antenati, un progetto di una sequenza continua della successione fino al regno del re Sneferu della Quinta Dinastia, che raggiunse un gran picco di prosperità; nel periodo quando i grandi monumenti sono stati costruiti ed in cui non meno di 40 navi portarono legno da una regione sconosciuta fuori del paese.


Nella loro forma originale gli annali reali erano divisi in due registri. Il registro superiore a sua volta era suddiviso nelle parti che descrivono i nomi dei re predinastici con gli anni di regno e gli eventi importanti nei loro regni, seguiti dalle notazioni di tali eventi come l’inondazione del Nilo, il censimento biennale del bestiame, cerimonie di culto, tasse, la scultura, le costruzioni e la guerra. Sono elencati centinaia di regnanti. È il testo storico più vecchio sopravvissuto dell’Egitto antico ed è la base dei dati storici e delle cronologie successive.


Alcuni re hanno registrato esplicitamente che le divinità egiziane sono arrivate simultaneamente con il loro regno. Il dio Sheshat, per esempio, è stato associato con un’attività conosciuta come “allungamento della corda” (probabilmente riferendosi al fatto di misurare le zone per le costruzioni o i santuari sacri). Altri gettano le basi delle costruzioni che sono state denominate “trono degli Dei”. Tali attività erano considerate sufficiente importanti da servire da punti di riferimento e sono state espresse in tali termini specifici come la “nascita di Anubis”, “la nascita di Min” e la “nascita” di altri dei associati con fertilità e la potenza del maschio quale Min di Coptos e Heryshef che è rappresentato solitamente sotto forma d’un ariete.


Finora, tali notazioni sembravano avere poco significato. Ma oggi gli eruditi conoscono tanto più circa il periodo di formazione della civiltà egiziana che possiamo riconsiderare almeno 21 delle 30 entrate dispari sulla pietra di Palermo, particolarmente quelle che si riferiscono al fatto di creare le immagini degli dei da quelle dei re, perché la prova archeologica sostiene l’idea dello sviluppo uniforme del centro di culto; cioè, gli scavi effettuati in alcuni dei luoghi di stabilimento più antichi ne rivelano l’uniformità. Una caratteristica comune, per esempio, è che tutti i recinti sacri erano sottratti agli occhi del pubblico e circondati da muri. Un altro sono i ritrovamenti delle offerte votive, oggetti grezzi o cotti d’argilla che a volte si contano a centinaia, probabilmente fatte dagli artigiani locali per la gente semplice che desiderava fare le offerti al dio. Effettivamente, l’uniformità può essere veduta chiaramente negli stessi dei. In forma umana, o in un corpo umano con testa d’animale, d’uccello, di rettile o d’insetto, sono rimaste uguali agli archetipi per tutte le generazioni successive.


Abbastanza interessante è il fatto che gli dei mantennero caratteri vaghi durante la storia egiziana, più tardi descritti nei termini quale “quello di Ombos” (Set), “quello di Edfu” (Horus), “quella di Sais” (Neith) e “quello di Qift” (Coptos). Nessuno di loro era più importante degli altri. Le preghiere e gli inni indirizzati loro differivano soltanto negli epiteti e negli attributi. Era chiaramente il posto, non il dio, che importava, il posto scelto per la sua posizione strategica.


Il centro di culto della dea dalla testa d’avvoltoio Nekhbet, per esempio, era sulla sponda orientale del Nilo a Nekheb (Al-Kab moderno), che dava accesso al deserto orientale ricco di minerali con giacimenti di rame, d’agata e di diaspro. Quello di Pe (Buto) nel delta del Nilo, era un punto di partenza per il commercio con il Medio Oriente. Coptos (Qift) era quasi di fronte alla bocca del wadi Hammamat, la via più breve verso il Mar Rosso e le vene aurifere del deserto orientale.


La creazione delle immagini e l’istituzione dei centri di culto accennati sulla pietra di Palermo si trova anche nei testi della piramide (iscritti sulle pareti dai re che hanno regnato verso la conclusione dell’Antico Regno) e nel cosiddetto Dramma di Memphis (un testo sopravvissuto in una copia tardiva, esplicito sulla creazione dei culti, sull’istituzione dei santuari e sulla fabbricazione delle statue divine con i loro segni distintivi raffiguranti una pianta, un uccello o un animale totemico della comunità, “fatti con ogni legno, ogni pietra, ogni pezzo di creta”). 

 

Oltre all’identificazione con il re, servivano al livello popolare. Gli antichi Egizi giunsero a credere che la statua nel santuario tenesse la chiave per un buon raccolto, salute e fertilità e compivano gesti pii che non erano molto differenti da oggi, con le offerte e preghiere ai santuari dei santi cristiani e degli sceicchi musulmani. I gesti di devozione sono una pratica consacrata che ha chiare radici nel passato più antico.

 

Questo è così affascinante negli studi di Wilkinson sulla pietra di Palermo. I successi materiali di una condizione unificata dipendevano dalle risorse della terra e dal commercio e c’è ogni indicazione che la relativa gestione fosse stata tracciata sin dalla fase iniziale. La creazione dei centri di culto non solo ha neutralizzato le differenze fra i vari insediamenti dell’Egitto superiore e inferiore, ma ha generato un forte legame fra la gente di tutti gli strati della società. E, più importante, quando il re assisteva alle feste di “nascita” degli dei e faceva le dotazioni reali sotto forma di pane e torte, buoi ed altro bestiame, oche ed altri uccelli e vasi di birra e di vino, l’occasione della sua visita era accompagnata dalle celebrazioni annuali che comportavano il macello degli animali sacrificali in suo onore. Queste offerte, poste sull’altare del santuario e soddisfacenti una volta una funzione religiosa, erano prese dal “servi del dio” , ossia i sacerdoti che curavano i santuari e le statue degli dei, in parte per trattenerle ed in parte per distribuirle alla gente. La costruzione degli edifici per il culto reale sembra essere stato il progetto più importante del regno di ciascun re, ed assorbiva gran parte del reddito di corte. Il concetto che gli dei ed il re avessero richieste reciproche l’uno nei confronti dell’altro dovevano essere forti, ma c’era sempre il rischio della resistenza e quando questo accadeva il re, a quanto pare, negava la prestazione del culto. Nei testi della piramide (molti dei quali sono datati ai periodi predinastici, come quelli che comprendono le frasi che si riferiscono ad un periodo in cui i morti erano posti a riposare in semplici fosse nella sabbia ed in cui gli animali del deserto potevano profanare i corpi), sono le espressioni in cui il re enfatizza il fatto che ha potere sopra gli dei, e che è lui che “concede il potere e toglie il potere, cui nessuno sfugge”.


L’effetto di una tal minaccia su una comunità che già aveva una forte identità e sui “servi del dio”, che prestavano assistenza ai santuari, può essere immaginato bene. Arrivava alla minaccia di annientamento ed alla perdita di prestigio. Secondo Erodoto, sopravviveva una tradizione che sosteneva che Khufu, il costruttore della grande piramide, avesse chiuso nel Paese i templi. Fra le sue prescrizioni, ricordate sin dai tempi antichi, erano la “cacciata” di Horus; , la “cattura” di Horus; e la “decapitazione” di Horus;. In un cartiglio d’avorio trovato a Abydos che data al regno del re Den, della Prima Dinastia, il re è indicato in una posa che doveva diventare classica: mentre schiaccia un nemico con un randello levato.
Il re dell’Egitto, padrone degli accessi alle risorse naturali e alle terre vicine; e dei santuari costruiti agli dei, come è registrato sulla pietra di Palermo, possedeva e condivideva una caratteristica comune con i capi di molte antiche società? Era un signore della guerra?


La PROVA è che le immagini impresse in sigilli e terraglie del primo periodo dinastico rivelano le immagini dei Faraoni impegnati in varie attività rituali ed alcuni dei testi di accompagnamento si riferiscono a statue fatte d’oro e di rame. Questa immagine proviene dal quinto registro della pietra di Palermo e si riferisce ad una statua di rame fatta nel regno di Khesekhemwy, o del suo successore dello stesso nome. Qui è scritta la prova che il rame statuario era noto e prodotto molto prima delle immagini ben note di Pepi I e di Merenre, trovate nel tempio di Hierakonpolis ed ora nel museo egiziano. I re sono raffigurati talvolta con la corona rossa, a volte con quella bianca, come quello qui rappresentato. Alcuni bassorilievi mostrano il re che cammina, o che accenna un passo in avanti.


 

Fonte: Al Ahram Weekly, 12-18 febbraio 2009.

Rispondi

Per commentare devi accedere al sito. Accedi.