Feb 18 2009

IL SERGENTE ROMANO

Category: Italia storia e dintorni,Regno delle Due Siciliegiorgio @ 13:52

Pasquale Domenico Romano nacque a Gioia del Colle il 24 Agosto 1833 da Giuseppe e Angela Concetta Lorusso. Ebbe un’educazione semplice, sana ma rigida che ne forgiò il carattere. 

Fin dall’adolescenza aiutò il padre nella pastorizia che gli permise una particolare conoscenza di quei boschi e di quelle contrade che poi lo videro quale dominatore incontrastato. 

Nel 1851 si arruolò nell’Esercito Borbonico dove intraprese una brillante carriera assumendo ben presto il grado di “primo sergente” e dove, per le sue particolari doti militari, ebbe l’onore di diventare “Alfiere” della Prima Compagnia del 5° di Linea. 

Disciolto l’Esercito del Regno delle Due Sicilie non si diede per vinto diventando comandante del Comitato Clandestino Borbonico di Gioia del Colle Tuttavia, avvertendo i tempi stretti, la gravità della situazione e mai sopportando l’inoperosità degli adepti del Comitato, dopo poco tempo abbandonò i “salotti” e passò senza esitare alla lotta armata, dando il via alla sua guerra partigiana contro i piemontesi. 

Nel giro di qualche settimana costituì una prima squadra formata esclusivamente da militari del disciolto Esercito Borbonico. Il 26 luglio 1861 si rifornì di armi e munizioni assaltando e prendendo prigioniera l’intera guarnigione di Alberobello nonché i militari del presidio di Cellino. 

Il 28 luglio del 1861 con i suoi militi attaccò Gioia del Colle dove s’impegnò in una vera e propria battaglia, travolgendo le truppe del maggiore piemontese Francesco Calabrese, costringendole a ripiegare nel Borgo San Vito. Alla vista della fuga dei militi piemontesi si sollevò l’intera cittadina di ventimila abitanti. Nella confusione furono molti i gioiesi che si unirono ai ribelli, tra essi Vito Romano di soli anni 17, fratello minore del Sergente. 

Fu questa la rima vera e propria azione con la quale il Sergente Romano inaugurò la lunga serie di colpi contro le truppe piemontesi, la Guardia Nazionale e i nemici liberali, ma fu anche l’inizio delle vendette trasversali, da parte di questi ultimi, ai suoi amici ed alla sua famiglia che, subito dopo la ritirata da Gioia del Colle, venne colpita duramente. Ciò non fece altro che inasprire ulteriormente il suo risentimento infondendogli maggiore risolutezza e rabbia contro chi considerava senza mezzi termini: “usurpatori, invasori, senza Dio, oppressori del popolo”. 

Le azioni di guerra fulminee ed imprevedibili, la spietatezza e nel contempo la lealtà e l’alto senso dell’onore, la ferrea disciplina militare a cui erano sottoposti i suoi uomini, le motivazioni legittimiste e religiose che lo spingevano a lottare con coraggio e determinazione, l’assoluta fedeltà al suo sovrano Francesco II ed al Papa lo fecero diventare un mito: l’eroe che difendeva gli oppressi, la giusta rivalsa sui conquistatori, il partigiano imprendibile e coraggioso, il guerriero invincibile, la volpe dei monti e dei boschi, il “brigante” degno dell’ammirazione delle popolazioni meridionali. 

Effettivamente fu un grosso problema per carabinieri, esercito e guardia nazionale che a migliaia gli diedero la caccia giorno e notte, d’estate e d’inverno. Mentre con veloci apparizioni distoglieva l’attenzione della truppa nemica colpendo nello stesso momento in località tra loro distanti, nel frattempo reperiva armamenti, munizioni e vettovagliamenti, reclutava uomini, stringeva accordi con altri guerriglieri, contattava sindaci e patrioti, pianificava colpi micidiali in tutta la regione. 

Il 24 Febbraio 1862 insieme a Carmine Donatelli, soprannominato “Crocco”, bloccò le strade di accesso ad Andria e Corato, tese un’imboscata alla guardia nazionale e, dopo averne avuto la meglio, ebbe via libera nell’assalire tutte le masserie di liberali ed ex garibaldini della zona, seminando il panico e facendo strage tra i “traditori del Popolo meridionale”. 

Qualche giorno dopo toccò alla strada fra Altamura e Toritto dove furono intercettati e colpiti il corriere postale e la scorta armata. 

Tra Maggio e Luglio 1862 il sergente Romano entrò più volte in Alberobello con la sua truppa, immobilizzando la guardia nazionale, rifornendosi di armi e munizioni, innalzando i vessilli borbonici e sparendo puntualmente nel nulla. 

Il 9 Agosto 1862, dopo la solita scorribanda per Alberobello, assaltò la fattoria di un certo Vito Angelini accusandolo di essere il delatore che aveva permesso l’assassinio della sua fidanzata Lauretta d’Onghia. Dopo averlo “processato” lo fece fucilare sull’aia. 

Qualche giorno dopo il Romano, dopo essersi unito nel bosco Pianella con i capibanda Laveneziana e Trinchera, si accampò nel cuore della penisola Salentina da dove avrebbe potuto colpire con maggior sicurezza. I primi di Ottobre assaltò nuovamente il presidio di Cellino ma questa volta ne fucilò tutti i militi. 

Il 24 ottobre 1862 verso le ore 12 la compagnia al completo puntò nuovamente sulla masseria Angelini, forse per completare la vendetta, quando gli si pararono davanti due squadre di guardia nazionale accompagnate da carabinieri a cavallo e comandate da due ufficiali anch’essi a cavallo. Lo scontro fu inevitabile e violentissimo.  Accortasi chi aveva davanti, la guardia nazionale si disimpegnò scappando verso Cellino mentre i carabinieri cercarono di proteggerne in qualche modo la ritirata.  Dopo un accanito inseguimento vennero però raggiunti e sopraffatti: dodici di essi caddero prigionieri. Due vennero fucilati immediatamente, mentre gli altri furono liberati dopo aver subito il taglio dei lobi auricolari. Nel frattempo la masseria Angelini venne data alle fiamme. 

Il 21 novembre 1862 il Sergente Romano e la sua truppa entrarono trionfanti in Carovigno dove, dopo una travolgente scorribanda per le vie del paese, si concentrarono nella piazza principale per abbattere i simboli Sabaudi ed innalzare quelli Borbonici. 

Qui il Sergente Romano dall’alto di un balcone tenne un appassionato discorso alla folla in delirio, invitando tutti alla rivolta contro gl’invasori piemontesi ed i traditori liberali loro alleati. 

A questo punto il resto del paese scese tumultuante per le strade inneggiando a Francesco II, le case dei liberali vennero date alle fiamme, fu devastato il comune, distrutto il presidio militare, poi l’intera popolazione si portò in processione al santuario della Madonna del Belvedere per un solenne “Te Deum”. 

Lasciato Carovigno con l’aiuto di Cosimo Mazzei e la sua squadra che, rimasta di guardia nelle campagne circostanti si avventò con incredibile ardimento sui soldati piemontesi accorsi dai dintorni, il Romano ed i suoi uomini si diressero sicuri verso sud marciando tutta la notte per raggiungere la masseria Santoria nei pressi di Santa Susanna.  Il massaro era un certo Giuseppe de Biase, liberale e consigliere comunale di Oria. Senza perder tempo si rifornirono di cibo e foraggio; presero come ostaggio il – de Biase, onde evitare delazioni da parte dei parenti, e ripartirono per raggiungere i vari centri abitati della zona dove contadini festosi li acclamarono quali liberatori. 

I loro spostamenti diventarono rapidissimi onde evitare prima il frontale e poi l’accerchiamento delle truppe piemontesi che con marce forzate, fin dal giorno precedente, cercavano di agganciare la formazione. Intuendo come le volpi il pericolo imminente, i guerriglieri si rifugiarono nel bosco di Avertrana dove uccisero l’ostaggio che aveva tentato di avvertire le truppe sabaude.

 Ormai il sergente Romano era diventato un mito, la sua fama aveva raggiunto ogni angolo della regione tanto che poteva girare sicuro come un trionfatore, ma fu questa sicurezza che poi gli fu fatale. 

Disturbato dall’accresciuto numero di soldati piemontesi nella zona, verso la fine di Novembre decise di rientrare nel bosco Pianella marciando per chilometri attraverso campagne e paesi spavaldamente, in formazione militare, con in testa tanto di bandiera, tamburino e tromba. 

Ovunque lasciava simboli Borbonici, abbatteva linee telegrafiche, bruciava fattorie di liberali, rincorreva e colpiva squadriglie della guardia nazionale, bruciava archivi comunali. 

Il 1 Dicembre presso la fattoria Monaci, poco distante da Alberobello, l’intera armata dei ribelli era intenta a bivaccare tranquilla riposandosi dopo la lunga campagna effettuata nel sud della regione.

Ma il rientro in grande stile, ed il clamore delle gesta avevano fatto spostare in zona anche le truppe piemontesi che da mesi cercavano invano un vero e proprio scontro militare. 

Il sergente Romano non immaginando minimamente cosa si stava preparando di li a poco non si preoccupò di attivare spie e vedette, come era solito fare, consentendo così all’avanguardia della 16″ compagnia del 10″ Reggimento di fanteria di scorgere il campo senza essere avvistata. 

Il capo pattuglia intuendo l’importanza della scoperta, senza esitare avverti il grosso della compagnia. Dopo poco l’intero reparto si scagliò sui guerriglieri sorprendendoli disarmati e nel sonno: fu una carneficina. Il Romano ed i suoi uomini cercarono di abbozzare una resistenza ma essendo la situazione estremamente critica l’unica via d’uscita restava il disimpegno veloce. 

Abbandonarono in fretta la zona perdendo il grosso degli uomini, dei cavalli e degli armamenti. 

Aiutati dalle tenebre e dalla perfetta conoscenza dei luoghi il Romano ed i suoi uomini riuscirono a riparare nel bosco Pianelle dove curarono i feriti, recuperarono gli sbandati e soprattutto si contarono. Erano rimasti in 50. 

Ma il Sergente non si scoraggiò per il duro colpo e subito dopo mandò in giro i suoi uomini a reclutare altre forze ed a metà Dicembre riprese nuovamente le ostilità. Più velocità negli spostamenti e soprattutto più spietatezza negli scontri che dovevano essere esclusivamente agguati. 

Ormai li aveva tutti addosso, veniva braccato senza tregua da migliaia di uomini, tra soldati, guardia nazionale e carabinieri. 

Le campagne di Alberobello, Fasano, Castellana, Putignano, Cisternino e Gioia del Colle, venivano percorse solo di notte o nei temporali, con assalti brevi ma incisivi alle masserie e solo a piccole squadriglie di carabinieri e guardia nazionale, evitando con rapidissime ritirate ed audacissimi aggiramenti le grosse formazioni piemontesi. 

La notte di Natali tutta la compagnia la trascorse presso la masseria Antonio Surico, amico di famiglia del Romano, ma i carabinieri avendo sistemato lungo le vie di accesso alle massarie dei non liberali propri uomini con il compito di segnalare ogni spostamento sospetto, localizzarono i guerriglieri. L’area di azione ormai era stata individuata ed il Romano aveva perso un fattore fondamentale della sua guerra: la segretezza negli spostamenti. 

Il 30 Dicembre, mentre i Borbonici erano intenti a mangiare, gli piombò addosso una squadra di guardia nazionale comandata dal dott. Lino Romeo.  La risposta però fu immediata ed addirittura la situazione si ribaltò a favore dei legittimisti quando improvvisamente arrivò un intero reparto di cavalleggeri di Saluzzo che, richiamato dagli spari, era accorso prontamente. 

Per il Romano e la sua squadra fu nuovamente sconfitta e l’unica via di salvezza fu la fuga precipitosa lasciando sul terreno morti, feriti, armi ed attrezzature. 

Per evitare un facile inseguimento, appena fuori la mischia, la truppa legittimista si divise in più squadriglie con la promessa di riunirsi in tempi migliori.  Quindi il grosso della compagnia mosse alla volta delle alture delle Murge, zona più sicura. Ma il Sergente non si fece attendere molto. 

Il 4 Gennaio lungo la strada che porta al Santuario del Melitto, nei pressi di Cassano, tese un’imboscata alla guardia nazionale di Altamura.  Nello scontro furibondo che ne scaturì i militi fatti letteralmente a pezzi dai partigiani che si abbandonarono a violenze indescrivibili dettate da un odio e da un desiderio di rivalsa profondi ed incolmabili. 

Sapendo di avere addosso tutte le truppe della zona il Sergente, a notte fonda si sposto nel bosco di Vallata presso Gioia del Colle nello stesso posto da dove nel 1861 erano partite le sue prime incursioni. Ma anche questo suo spostamento fu intercettato e nel giro di qualche ora il bosco fu circondato da un intero reparto di cavallegeri di Saluzzo, comandato dal capitanp Bolasco, e da un plotone di guardie nazionali accorse in forze da Gioia del Colle. 

Il Sergente Romano ed i suoi uomini sentendo i nemici addentrarsi nella fitta vegetazione da tutte le direzioni intuirono la grave situazione e aspettarono immobili nei loro nascondigli fino all’ultimo momento. Lo scontro a fuoco fu micidiale e, terminate le scariche di fucileria, seguì un furioso corpo a corpo all’arma bianca.

 Uno alla volta i Borbonici caddero sotto i colpi sferzanti della soverchiante truppa nemica. 

Il Romano circondato dai militi piemontesi si battè con forza sovraumana fino a quando, coperto di sangue e ferito al grido di “Evvivorre!”, cadde gloriosamente. 

Alla sua morte gli uomini smisero di combattere e si lasciarono arrestare. 

Il corpo del partigiano fu miseramente spogliato della divisa borbonica e, issato come una preda ad un palo sopra un carretto, fu portato a Gioia del Colle, in via della Candelora, sotto le finestre della sua abitazione dove rimase esposto per una settimana. 

Nonostante ciò la popolazione ne non volle credere alla morte del proprio eroe e continuò a raccontare le sue gesta, ad aspettare il suo ritorno, a sperare in un futuro di giustizia. 

Ma il Sergente Romano era effettivamente morto e con lui era finita la resistenza armata all’invasore piemontese in terra di Puglia.

 

Fonte: da: “BRIGANTI & PARTIGIANI” – a cura di: Barone, Ciano, Pagano, Romano – Edizione Campania Bella


Feb 18 2009

LA MARINA MERCANTILE NAPOLETANA, LA CAUSA DELL’ UNITA’ D’ITALIA

Category: Italia storia e dintorni,Regno delle Due Siciliegiorgio @ 09:14

La bella “Fregata Partenope” nel porto di Napoli

 

La vera causa dell’unità d’Italia e della   distruzione del Regno delle due Sicilie

Le industrie del Sud richiedevano continuamente materie prime e quindi richiedevano navi che le trasportassero. Essendo l’Italia meridionale attraversata da una dorsale appenninica formata di aspre montagne, e quindi da vie di comunicazione di difficile attraversamento, fu naturale, sin dai tempi dell’Impero Romano, che uomini e merci viaggiassero per mare.

Tutta la costa era punteggiata di centri i cui cantieri navali erano rinomati in tutto il mondo e che davano lavoro a migliaia d’operai occupai lavoravano nelle industrie collegate.

Nel 1818 il Regno delle Due Sicilie disponeva di 2.387 navi, nel 1833 il numero salì a 3.283, di cui ben 262 superiori alle 200 tonnellate e 42 che oltrepassavano le 300 tonnellate.

Nel 1834 i bastimenti arrivarono a 5.493 per salire a 6.803 nel 1838. 

Nel 1852 il numero di navi e bastimenti arrivò a 8.884.

Nel 1860 la flotta mercantile borbonica, seconda d’Europa dopo quella inglese, contava 9.848 bastimenti per 259.910 tonnellate di stazza, dei quali 17 piroscafi a vapore per 3.748 tonnellate, 23 barks per 10.413 tonnellate 380 brigantini per 106.546 tonnellate, 211 brick schooners per 33.067 tonnellate, 6 navi per 2.432 tonnellate e moltissime imbarcazioni da pesca.

I cantieri navali erano sparsi per tutta la costa tirrenica, ionica e adriatica. Praticamente in ogni città costiera vi erano insediamenti accompagnati da scuole di formazione professionale e scuole marittime e nautiche. 

Tutti pensano che Gaeta, allora, fosse solo una roccaforte militare che dava ospitalità a circa 10.000 soldati. In realtà, attorno alla fortezza ruotava un’ agricoltura ricchissima ed avanzata costellata da circa 300 trappeti che davano lavoro a centinaia di persone, come pure vi erano fabbriche di sapone e di reti. 

Gaeta, come altre città del Regno, era ricchissima e la sua flotta mercantile vantava molte società di navigazione con al servizio duemila marinai sempre in viaggio. 

Essa era composta da 100 brigantini e martegane, da 60 a 220 tonnellate di stazza, 60 paranzelle da 30-40 tonnellate e circa 200 barche a vela da 2 a 20 tonnellate di stazza che, ogni giorno, si recavano a Napoli o a Roma attraverso il Tevere, trasportando merci e passeggeri

I cantieri navali di Gaeta, da sempre attivi, costruivano brigantini, galeoni, saette e velieri che venivano anche esportati.

Tutto questo stava togliendo prestigio e competitività alla più imponente forza navale del tempo: la  Marina Reale Inglese. Non solo,le navi napoletane toglievano fette sempre più ampie al mercato della cantieristica inglese, non solo erano ottime,  ma tecnologicamente avanzate e anche più economiche.

Il varo della prima nave a vapore del mediterraneo, l’attuazione di rotte che giungevano in America del Nord, del Sud e nel Pacifico, ponevano le basi per intaccare  i mercati commerciali Imperiali.

Soprattutto, da lì a pochi anni, si sarebbe aperto il canale di Suez, e tal cosa avrebbe rischiato di fare diventare il porto Napoli, non solo uno dei porti cardine dell’Europa, ma innanzitutto la porta dell’Europa verso il cuore dell’impero inglese: LE INDIE

Questo non doveva accadere, non poteva essere tollerato.

Il resto lo conosciamo…

All’indomani dell’invasione piemontese, l’industria e la cantieristica del Regno delle Due Sicilie venne quasi praticamente tutta smontata e smantellata:  si doveva estirpare alla radice quel temibile concorrente economico.

Non solo, lo Stato Sabaudo, con una politica protezionistica a favore del Nord, con anticipi di capitale e generosi sussidi a favore delle compagnie liguri e della nascente industria padana, affossò patriotticamente la rimanente economia meridionale costringendo alla fame intere popolazioni.

Con l’avvento dei Savoia, il Sud importò solo fame e miseria per sconfiggere le quali erano possibili due soluzioni: la rivoluzione o l’emigrazione.

Il popolo tutto, verso la fine del 1860, insorse contro i piemontesi. 

Ma dieci anni di guerra civile, e una politica da terra bruciata da parte dei Savoia, finirono per distruggere l’intero assetto economico del Regno e la nazione precipitò nel baratro.

Dopo la sconfitta i Meridionali furono costretti ad abbandonare in massa la loro terra.

 

Fonte: liberamente tratto da srs di  Antonio Ciano

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Feb 18 2009

Il massacro di Napoli e del Regno delle Due Sicilie, appunti su un genocidio.

Category: Italia storia e dintorni,Regno delle Due Siciliegiorgio @ 00:13

 

 

Nel 1815, quando i Borboni ritornarono a Napoli, la popolazione era di 5.060.000, nel 1836 di 6.081.993; nel 1846 la popolazione arrivò a 8.423.316 e dieci anni dopo a 9.117.050.

Questo vorticoso aumento della popolazione ha nome e cognome: benessere e progresso civile e sociale. Durante 127 anni di governo i Borboni diedero prosperità a tutto il popolo e da 3 milioni di anime, del 1734, si arrivò ai 9 milioni del 1856.

Cos’ era successo? Come fu possibile?

Nel Meridione non si costruivano strade fin dal tempo dei Romani e i vicerè spagnoli impoverirono la popolazione esigendo tasse e balzelli, i baroni inselvatichirono la vita civile, le campagne erano abbandonate, i boschi avevano invaso le terre fertili di buona parte del Regno, i pirati razziavano le coste, il commercio non esisteva quasi più e, non essendoci polizia, nessuno rispettava le leggi e solo gli  innominati di manzoniana memoria erano i veri padroni della società.

I Borboni  riuscirono dove gli altri fallirono, imbrigliarono e resero quasi innocui i baroni, costruirono strade, ricostituirono l’esercito e le amministrazioni locali cui diedero l’antica autonomia, diedero impulso all’industria, all’agricoltura, alla pesca, al turismo.

Da ultimo, tra gli Stati, divenne il primo d’Italia e tra i primi del mondo. Le ferrovie, inventate nel 1820,  fecero la loro prima apparizione a Napoli (1839) con il tratto che congiungeva la capitale a Portici e poi fu concessa al Bayard di continuarla fino a Castellammare. A spese del tesoro nel 1842 cominciò quella per Capua e poi l’altra per Nola, Sarno e Sansevero. Nel 1837 arrivò il gas e nel 1852 il telegrafo elettrico.

Col benessere aumentava la popolazione in tutto il regno e per questa stessa ragione anche le entrate pubbliche che, di fatto, quintuplicarono.

Continua a leggere”Il massacro di Napoli e del Regno delle Due Sicilie, appunti su un genocidio.”


Feb 17 2009

I Primati culturali ed economici dei regni di Napoli e delle due Sicilie:

Category: Regno delle Due Siciliegiorgio @ 14:37

 

 

1735: Prima Cattedra di Astronomia, in Italia, affidata a Napoli a Pietro De Martino

1751: Il più grande palazzo d’Europa a pianta orizzontale, il Real Albergo dei Poveri

1754: Prima Cattedra di Economia, nel mondo, affidata a Napoli ad Antonio Genovesi

1762: Accademia di Architettura, una delle prime e più prestigiose in Europa

1763: Primo Cimitero italiano per poveri (il “Cimitero delle 366 fosse”, nei pressi di Poggioreale a Napoli, su disegno di Ferdinando Fuga)

1781: Primo Codice Marittimo nel mondo (opera di Michele Jorio)

1782: Primo intervento in Italia di Profilassi Anti-tubercolare

1783: Primo Cimitero in Europa ad uso di tutte le classi sociali (Palermo)

1789: Prima assegnazione di “Case Popolari” in Italia (San Leucio presso Caserta).

 Prima istituzione di assistenza sanitaria gratuita (San Leucio)

1792: Primo Atlante Marittimo nel mondo (Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, Atlante Marittimo delle Due Sicilie. (vol. I) elaborato dalla prestigiosa Scuola di Cartografia napoletana)

1801: Primo Museo Mineralogico del mondo

1807: Primo “Orto botanico” in Italia a Napoli di concezione moderna,

(Per approfondire, vedi la voce Orto botanico di Napoli.)

1812: Prima Scuola di Ballo in Italia, annessa al San Carlo

1813: Primo Ospedale Psichiatrico italiano (Reale Morotrofio di Aversa)

Dopo la restaurazione (Regno delle Due Sicilie) 

1818: Prima nave a vapore nel mediterraneo “Ferdinando I”

1819: Primo Osservatorio Astronomico in Europa a Capodimonte

1832: Primo Ponte sospeso (il Ponte “Real Ferdinando” sul Garigliano), in ferro, in Europa continentale

1833: Prima Nave da crociera in Europa “Francesco I”

1835: Primo istituto italiano per sordomuti

1836: Prima Compagnia di Navigazione a vapore nel Mediterraneo

1837: Prima Città d’Italia ad avere l’illuminazione a gas

1839: Prima Ferrovia italiana, tratto Napoli-Portici, poi prolungata sino a Salerno e a Caserta e Capua.

1839: Prima galleria ferroviaria del mondo

1839:Prima Illuminazione a Gas di una città italiana (terza in Europa dopo Londra e Parigi) con 350 lampade

1840: Prima Fabbrica Metalmeccanica d’Italia per numero di operai (1050) a Pietrarsa presso Napoli

1841: Primo Centro Vulcanologico nel mondo presso il Vesuvio.

1841: Primo sistema a fari lenticolari a luce costante in Italia

1843: Prima Nave da guerra a vapore d’Italia (pirofregata “Ercole”), varata a Castellammare.

1843: Primo Periodico Psichiatrico italiano pubblicato presso il Reale Morotrofio di Aversa da Biagio Miraglia

1845: Prima Locomotiva a Vapore costruita in Italia a Pietrarsa.

1845: Primo Osservatorio Meteorologico italiano (alle falde del Vesuvio)

1848: Primo esperimento di illuminazione a luce elettrica d’Italia a Lecce, per opera di mons. Giuseppe Candido. Illuminazione dell’intera piazza in occasione della festa patronale.

1852: Primo Telegrafo Elettrico in Italia (inaugurato il 31 Luglio).

1852: Primo Bacino di Carenaggio in muratura in Italia (nel porto di Napoli).

1853: Primo Piroscafo nel Mediterraneo per l’America (Il “Sicilia” della Società Sicula Transatlantica di Salvatore De Pace: 26 i giorni impiegati).

1853: Prima applicazione dei principi Scuola Positiva Penale per il recupero dei malviventi

1856: Primo Premio Internazionale per la Produzione di Pasta (Esposizione Internazionale di Parigi

 premio per il terzo Paese del mondo come sviluppo industriale).

1856: Primo Premio Internazionale per la Lavorazione di Coralli (Mostra Industriale di Parigi)

1856: Primo Sismografo Elettromagnetico nel mondo costruito da Luigi Calmieri

1859: Primo Stato Italiano in Europa produzione di Guanti (700.000 dozzine di paia ogni anno)

1860: Prima Flotta Mercantile d’Italia (seconda flotta mercantile d’Europa) e prima Flotta Militare (terza flotta militare d’Europa).

1860: Prima nave ad elica (Monarca) in Italia varata a Castellammare.

INOLTRE

-Più grande Industria Navale d’Italia per operai (Castellammare di Stabia 2000 operai)

-Primo tra gli Stati italiani per numero di Orfanotrofi, Ospizi, Collegi, Conservatori e strutture di Assistenza e Formazione.

– Istituzione di Collegi Militari (La Scuola Militare Nunziatella il più antico Istituto di Formazione Militare d’Italia, ed uno dei più antichi del mondo

– Prime agenzie turistiche italiane

– La più bassa percentuale di mortalità infantile d’Italia.

– La più alta percentuale di medici per abitanti in Italia.

– Prima città d’Italia per numero di Teatri (Napoli), il Teatro San Carlo il più antico

  teatro operante in Europa, costruito nel 1737

– Prima città d’Italia per numero di Conservatori Musicali (Napoli).

– Primo “Piano Regolatore” in Italia, per la Città di Napoli.

– Prima città d’Italia per numero di Tipografie (113, in Napoli).

–  Prima città d’Italia per numero di pubblicazioni di Giornali e Riviste.

– Primi Assegni Bancari della storia economica (polizzini sulle Fedi di Credito)

– La più alta quotazione di rendita dei titoli di Stato (120% alla Borsa di Parigi).

–  Il Minore carico Tributario Erariale in Europa.

–  Maggior quantità di Lire-oro nei Banchi Nazionali (dei 668 milioni di Lire-oro, patrimonio di tutti gli Stati italiani messi insieme, 443 milioni erano del regno delle Due Sicilie).

 – Monopolio mondiale dello zolfo, avendo oltre 400 miniere di zolfo, copriva circa il 90% della produzione mondiale di zolfo e affini

Poi arrivarono i BARBARI


Feb 09 2009

Padri della Patria: Liborio Romano

Category: Italia storia e dintorni,Regno delle Due Siciliegiorgio @ 11:14

 

Se c’è un liberale del Risorgimento che meriterebbe di stare in un Pantheon, insieme ai vari padri della patria  (li conoscete  tutti, Cavour,  Garibaldi,  Mazzini, Vittorio Emanule Il) è certamente Liborio Romano, il grande liquidatore del Regno delle Due Sicilie. 

L’uomo che mise la camorra a presidiare Napoli, ma non lo si può scrivere  sui libri di  storia!  Altrimenti ai giovani meridionali potrebbero girare le scatole e, quando terminano le scuole,  invece  di andarsene a lavorare,  metterebbero tutto a soqquadro.

Figlio più illustre di Patù. Primogenito di una nobile e antica famiglia dalle tradizioni liberali, completò gli studi a Lecce, si laureò in Giurisprudenza a Napoli nella cui Università fu anche professore. 

Sin da giovane visse intensamente l’impegno politico frequentando gli ambienti legati alla Carboneria e diventando interprete appassionato delle più alte idealità del Risorgimento italiano, e per questo fu sospeso dall’insegnamento universitario. 

Nel 1860, quando ormai con Francesco II stavano per consumarsi gli ultimi atti del Regno dei Borboni, a Napoli Liborio Romano detto “Don Libò”, era  ormai conosciuto in tutti gli ambienti come il più brillante principe del Foro partenopeo.


Venne nominato prima Prefetto di Polizia e subito dopo Ministro dell’Interno e della Polizia, e si trovò nella necessità  di traghettare tramite Garibaldi, il Regno di Napoli dai Borboni ai Savoia,  la situazione era esplosiva, a Napoli poteva succedere di tutto.


In quel frangente il nostro Don Libò, scese a patti con la camorra locale,  rimasta fino allora relegata ai margini del sistema civile,  coinvolgendone gli esponenti di spicco nel lavoro di mantenimento della quiete pubblica. 

E così avvenne: la calma e l’ordine regnarono sovrani.

Garibaldi poté giungere solo e senza armi alla Stazione ferroviaria di Napoli, accolto da Liborio Romano in persona circondato da un popolo in festa.

Nelle Elezioni politiche del gennaio 1861, le prime del Regno d’Italia unita don Liborio fu il Deputato più votato in Italia, eletto in ben otto collegi elettorali: il 20 luglio 1865 si chiudeva la sua esperienza parlamentare.

Le premesse per il futuro disastro istituzionale  vi erano  tutte; la calma era solo apparente.

 

Come al solito ai naviganti l’ardua risposta.


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