Gen 15 2017

BATTAGLIA DI CUSTOZZA, 26 GIUGNO 1866: L’ULTIMA VITTORIA DELLL’ESERCITO AUSTRO-VENETO

Custoza-battaglia-1866.1200

 

 

16 GIUGNO – La Prussia dichiara guerra all’Austria e passa la frontiera.

In contemporanea dovrebbero muoversi anche gli italiani, almeno così era stato concordato in un sommario piano strategico.

 

17 GIUGNO – La Marmora lascia Firenze dopo che si è incontrato con Cialdini, per portarsi sul Mincio a compiere il primo attacco diversivo.

 

18 GIUGNO – Lo Stato Maggiore che ha già preparato la dichiarazione di guerra e la sta consegnando all’Austria, viene fermato dal Re. La vuole ritardare di due giorni. I Prussiani non capiscono perché.

 

20 GIUGNO – Viene ufficialmente presentata a Verona la dichiarazione di guerra all’Austria. Il Re si porta a Cremona per assumere il comando delle operazioni, fa poi il proclama ai soldati, ed approva il piano di guerra che gli presenta La Marmora (che è poi quello di Cialdini).

Il Re trova anche una nota prussiana di Usedom (piuttosto allarmato per il grave ritardo dell’entrata in guerra dell’Italia) che prescrivere quali prime operazioni dovesse fare l’esercito italiano. E fra le altre cose indica l’attacco al Quadrilatero, anche se non dice come; a Berlino pensano, sapranno bene come farlo i generali italiani, la zona la conoscono meglio di noi.

Qui forse aveva ragione l’Oldofredi scrivendo al Castelli ancora il 6 giugno: “Il La Marmora ed il Re sono ubriachi di sicurezza, di entusiasmo e di testardaggine, qualcuno cerca di far comprendere che non si gioca il Paese ai dadi: ma essi rispondono come se il consiglio venisse loro da cretini“.

Ed infatti letta la nota di Usedom a chi gliela presentò il Re rispose: “Non stia a rispondere. Delle operazioni militari rispondo io. Non ho bisogno che i diplomatici tedeschi mi insegnino a fare la guerra“.

 

Il 21 GIUGNO – Vengono organizzati i reparti di La Marmora verso il Mincio per la diversione, mentre il Cialdini avanza disseminando i suoi reparti, circondando Mantova e Peschiera con forze superiori alla reale importanza delle due piazzeforti (quasi prive di difese consistenti).

 

22 GIUGNO – Da Canneto il Re telegrafa al Ricasoli (che ha preso a Firenze il posto di La Marmora al Governo come Primo Ministro): “Domani passo il Mincio con dieci divisioni“.

Ma già la sera prima ha avuto dei dubbi. Alcune vaghe informazioni dicevano che gli Austriaci erano oltre l’Adige (infatti erano a Lonigo) e che quindi se fra il Mincio e l’Adige non c’era nessuno, la diversione sul Mincio non serviva a nulla, ma semmai bisognava avanzare. Cioè prendere l’iniziativa dell’offensiva (cioè quello che avrebbe dovuto fare il Cialdini due giorni dopo partendo dal Po a diversione avvenuta).

Il Petitti telegrafa che -secondo lui- il nemico è in ritirata. Il Re telegrafa a Cialdini che poche truppe austriache occupano Valeggio sul Mincio, Villafranca e Roverbella. E il Cialdini a sua volta telegrafa che dopo la loro diversione sul Mincio lui intende attraversare il Po la notte del 25.

Ma nessuno gli dice che la diversione non è più tale ma – nonostante l’inferiorità numerica – è già in atto un attacco, cioè un inseguimento del nemico in ritirata. Né tanto meno gli si dice in quale direzione. Anche perchè né il Re né La Marmora ignorano dove il grosso del nemico si trova.

Il servizio informazioni italiano è così male organizzato che in breve tempo non solo non sa dove si trova il nemico, ma non riesce nemmeno a comunicare con i suoi capi d’armata, non li trova dove dovrebbero essere. E loro non sanno dove è il Re.

Mentre l’Arciduca Alberto non solo ha compreso il piano dell’attacco sul Po e della diversione sul Mincio, ma ha già deciso di attaccare prima. E ha anche deciso di andare a cercare il nemico o tra Mincio ed Adige, o se necessario, sulla destra del Mincio. E per ingannare il Comando italiano architetta un bel piano.

 

23 GIUGNO – La Marmora sollecitato da Re (pieno di dubbi) a fare una manovra offensiva invece della diversione, si muove. La Marmora avanzando, rilevò una cosa molto strana; che i ponti gli austriaci ritirandosi non li avevano rotti, quindi pensò che gli Austriaci da quella parte si sarebbero fatti nuovamente vivi con una controffensiva. Mentre sappiamo che i ponti gli Austriaci li lasciarono intatti proprio per farli cadere in inganno, mentre in tutta segretezza stavano occupando il retro delle colline del Garda da Castelnuovo a Custoza; il 23 già erano a sud-ovest di Sona, a Santa Giustina e Santa Lucia; cioè su quelle colline che il La Marmora additava come meta ai suoi reparti per il giorno dopo, il 24. Cioè gli Austriaci li stavano attendendo su posizioni prestabilite in attesa di fare la sorpresa, su un fronte perpendicolare al Mincio, mentre il La Marmora era più che mai convinto che nessuno combattimento poteva avvenire – in mezzo – prima di arrivare sulle colline.

I Generali, il Re, i vari comandanti iniziano a commettere tante ingenuità; perchè non conoscono le posizioni del nemico. Varie divisioni italiane vennero di sorpresa a contatto con forze nemiche già schierate sulle colline ai lati, cosicchè ci furono una serie di operazioni slegate, senza che i comandi sapessero quello che avveniva alla loro destra e sinistra.

Il Re attraversò il Mincio al ponte di barche di Pozzolo, poi per Valeggio prese la via di Villafranca. Udì i cannoni da quella parte, pensò che fossero le sue batterie, mandò a prendere informazioni; ma non le ebbe. Salì sulla collina di Monte Torre, ma appena comparve sul cucuzzolo incominciarono a piovere granate austriache, così capì subito di chi erano.

E sotto le granate comparve pure il Comando Supremo con La Marmora non infuriato ma ancora pieno di speranze, anche se non aveva idea di cosa fare; il Re era inquieto per l’attacco alle posizioni di Custoza, invece ora scopriva che il La Marmora era in giro per il campo, e questo voleva dire che nessuno poteva comunicare con lui. Fra lui e il re sorse un battibecco. Alla fine si decise di andare a raccogliere gli sbandati che scendevano da Monte Torre e Monte Croce. Ma non è che La Marmora si era reso conto ancora della situazione.

Anche il Re sul ponte Tione andò a dare man forte per riunire gli sbandati della divisione Brignone. Oltre che il triste spettacolo, nessun soldato ubbidiva perchè nessuno lo conosceva, né voleva prendeva ordini da lui in un momento così pericoloso; fin quando l’ufficiale di scorta lo convinse a ritirarsi dal pericolo, fra l’altro comunicandogli che suo figlio Amedeo era stato ferito. “Meglio ferito o morto piuttosto che prigioniero” commentò e prese la via per Valeggio, per incontrarsi nuovamente con il La Marmora, ma trovò una tale confusione che proseguì per Cerlongo. Poco dopo a Valeggio arrivò La Marmora ma invece di andare al Quartier Generale di Cerlongo a incontrare il Re proseguì per Goito in mezzo al caos.

Fu a quel punto che il La Marmora finalmente resosi conto, impressionato dalla rovina, andava dicendo “che disfatta, che catastrofe, peggio del 1849!”, “Le truppe non tengono!”, quando invece -lo riconobbero gli stessi austriaci- gli italiani avevano combattuto bene, e che sarebbe bastato un contrattacco per essere da loro sconfitti.

Dunque la situazione non era del tutto sfavorevole, bastava valutarla; ed occorreva solo dare ordini per attaccare a fondo i nemici ormai esausti e pronti a cedere. Furono invece lasciati in pace a riprendere le forze.

Ma sia il La Marmora che il Cialdini (quest’ultimo non si era ancora nemmeno mosso dal Po) avevano la convinzione che la situazione fosse molto grave ed agirono sotto tale influsso. Il primo voleva ritirarsi, e l’altro intimorito invece di attaccare non solo non si mosse, ma iniziò a ritirarsi pure lui verso Modena.

Solo allora il re maledisse i suoi errori: quello di aver fatto due eserciti, e che ora si trovava a non comandarne nemmeno uno. Anzi, a vederne nemmeno uno!

 

Il 24 GIUGNO l’esercito piemontese viene così sconfitto nella Battaglia di Custoza (VR) dal duca ALBERTO D’ASBURGO con un esercito composto da poco più di 70.000 uomini, dei quali circa 25.000 Veneti.

 

I soldati di La Marmora, più che essere stati battuti in un vero e proprio scontro si sono fatti sorprendere dagli austriaci prima ancora di iniziare, non conoscendo la dislocazione, i vari punti strategici del nemico, né dove dirigersi.

La Marmora perde sul campo 714 soldati; poi subito preso dal panico ordina la immediata ritirata che si tramuta in un disastro. Si ritira sbandandosi sul Mincio, e non predispone una difesa nella grande e ciclopica fortezza di Valeggio (oggi, ancora integra e visitabile) sul lungo ponte che invece avrebbe dovuto bloccare con un valido presidio, ma arretra fino alla linea del fiume Oglio. Lo stesso Cialdini invece di correre in aiuto a La Marmora sul Mincio e contrattaccare, arretra fino a Modena.

Un disastro!

Narrare l’intera battaglia che si svolse a Custoza è piuttosto noiosa, per i molteplici movimenti, le numerose azioni, gli attacchi e i contrattacchi di entrambi i due eserciti.

Di solito si attribuisce la ritirata dell’esercito di La Marmora sul Mincio alla ritirata dell’esercito di Cialdini dal Po, ma questo non è vero: il La Marmora aveva già deciso ed aveva provvisto alla ritirata la sera del 24 giugno. E il Cialdini lo stesso 24 già si ritirava su Cremona “perchè pericoloso rimanere sul Po“.

Ciascuno attribuì all’altro la responsabilità della triste iniziativa della ritirata, ma ciascuno fu invece responsabile della propria.

 

25 GIUGNO – Il disastro era compiuto. Il Re si lagnò amaramente di tutti i generali, specialmente di La Marmora. Il Della Rocca nella sua autobiografia, afferma che il giorno 25 davanti al Re il La Marmora si assumeva le responsabilità dell’operato come Capo di Stato Maggiore ma nel farlo intendeva prima cacciare tutti i generali incapaci. Altrimenti avrebbe dato le dimissioni. Nasceva una polemica.

 

26 GIUGNO – Non ottenendo ciò che voleva, le dimissioni le diede il giorno dopo. Ma più tardi nella sua prima relazione del 1868, il La Marmora diede la colpa di quanto era successo tutto al Re “Ero stato nominato Capo di Stato maggiore, in tale carica io potevo proporre, suggerire, consigliare, invece mi si vietava di agire di proprio impulso, di emanare ordini chiari, precisi, assoluti, come è nella mia natura…e mi si costringeva sovente di tacere, cedere, transigere“.

In realtà La Marmora agì sempre in piena libertà. E anche la ritirata fu decisa da lui, e non imposta dal Re, che addirittura ubbidì perfino lui ai suoi ordini, mentre il La Marmora non ubbidì a quelli del Re. Inoltre resta il telegramma inviato a Cialdini giustificando le sue dimissioni “…Perchè siamo troppi a comandare. Propongo che prendiate Voi il comando con ampia facoltà di far tutte le nomine che credete“.

Questo era il colmo! fa lui il capo e il sovrano!

Insomma La Marmora si azzardava pure a esautorare il Re. Ma il Re nel frattempo aveva telegrafato a Cialdini per un incontro e per fare il giorno 27 il punto sulla situazione. E Cialdini con molta disinvoltura (rivincita non trattenuta) si affrettò a svelare allo sbigottito La Marmora l’invito regio. Questo era il clima di collaborazione!

Seguirono dopo la disfatta, tante polemiche e reciproci rimproveri; chi diceva che il La Marmora “ormai non godeva più la fiducia nell’esercito” (il 28 Vincenzo Ricasoli, colonnello di Stato Maggiore, scrivendo al fratello Bettino a Firenze); e chi che “bisognava dare il comando a Cialdini per risollevare il morale delle truppe” (il generale Menabrea); Ma Cialdini fece sapere che non accettava l’incarico finché il Re non abbandonava l’armata; e le stesse condizioni chiese poi il La Marmora quando il Re dopo aver prima accettato le dimissioni, poi respinte, gli ripropose di guidare l’esercito. Promettendogli però di “…lasciar fare e di astenersi da ogni atto che possa disturbare, purchè si salvino le convenienze verso di lui dirimpetto all’esercito ed alla nazione, perchè quando un re di Prussia ha il comando supremo dell’esercito, il Re d’Italia non può essere da meno“.

 

29 GIUGNO – La sera del 29 giugno a Parma la crisi del comando fu risolta. Il La Marmora dopo aver accettato di prendere il Comando, conveniva con il Cialdini nell’idea di sferrare l’offensiva il 5 luglio partendo dall’Oglio, mentre il Cialdini contemporaneamente avrebbe dovuto attaccare Borgoforte. Ma il La Marmora nella notte tra il 2 e il 3, senza avvertire il Cialdini, tornò a fare il “La Marmora”. Agendo da solo e senza informarlo fece fare una ricognizione in forze oltre l’Oglio (ma non sapremo mai cosa avesse in mente di fare il 5, giorno fissato per l’attacco)

 

3 LUGLIO – Fu il giorno dell’imprevisto. L’esercito prussiano a Koniggratz (Sodowa, in Boemia) decideva le sorti della guerra dopo aver battuto l’esercito austriaco. Vienna il giorno dopo chiedeva una mediazione di Napoleone III per far cessare le ostilità in Italia, anticipando che in cambio avrebbe ceduto il Veneto. Per due giorni l’Italia rimase senza notizie.

 

5 LUGLIO – Invece di sferrare l’offensiva il giorno 5, tutti i generali furono chiamati al Quartier Generale del Re a Cicognolo. Era giunto infatti un telegramma da Parigi di Napoleone III che comunicava a Vittorio Emanuele avere Francesco Giuseppe ceduto a lui il Veneto, dichiarandosi disposto ad accettare la sua mediazione per il ristabilimento della pace”.

L’Imperatore chiedeva al Re di “acconsentire ad un armistizio, potendo l’Italia raggiungere onorevolmente la meta delle sue aspirazioni con un arrangement con la Francia su cui sarebbe stato facile intendersi“.

La notizia oltre che turbare il re e lo Stato Maggiore, questa offerta dell’Imperatore il Monitor l’aveva già resa pubblica. Ed era un bel pasticcio.

Inoltre l’Arciduca Alberto che stava preparandosi a fronteggiare il nuovo attacco tra il Mincio e l’Adige, aveva già ricevuto ordini per inviare a Vienna per ferrovia un corpo d’Armata; quindi il cessate il fuoco e lo sgombero del Veneto, iniziando da Verona era già in atto. Alle fortezze rimasero solo alcuni presidi austriaci.

A creare il pasticcio ancora più grosso ci si mise il Principe Napoleone con un altro telegramma al Re (suo suocero) suggerendogli di scrivere all’Imperatore “…di ringraziarlo per la mediazione, ma nel contempo avvertirlo che non poteva far nulla senza l’intesa con il governo alleato di Berlino, e di continuare ad attaccare energicamente ” E non aveva nemmeno tutti i torti (legali e morali) : l’8 aprile l’Italia aveva firmato il trattato di alleanza con la Prussia, dove si diceva che “nessuna delle due potenze avrebbe firmato la pace o l’armistizio senza il consenso dell’altra“.

Nè questa volta l’orgoglio di La Marmora era fuori luogo quando telegrafò a Nigra che “..ricevere il Veneto in regalo dalla Francia è umiliante per noi, tutti crederanno che noi abbiamo tradito la Prussia“. In effetti questo si stava facendo.

 

Garibaldi incazzato nero perchè i Veneti non si erano alleati alle sue bande!

Mazzini dirà che l’unità d’italia è fatta solo per l’intervento degli eserciti stranieri …

 

 

Fonte: da srs de “el Buraneo”

 

 

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