Nuovo libro di Stefano Lorenzetto – Dalla genialità e alle staffilate che lo portavano da un giornale all’altro, al dramma della morte della figlia Caterina – La passione per i soprannomi e quella, mai sopita, per l’irriverenza con la quale addestrò un’intera generazione di giornalisti…
Sergio Saviane
Il quarto veneto notevole entrato nella mia vita fu quel cronista di razza e inarrivabile scrutatore di umane debolezze che rispondeva al nome di Sergio Saviane. Non riesco a darmi pace per aver maldestramente cancellato il messaggio di benvenuto della sua segreteria telefonica, che avevo tenuto per anni inciso nella mia; una registrazione effettuata pochi giorni dopo la sua morte, avvenuta nel 2001, quando, telefonando al numero 0423 563676, ti rispondeva ancora lui, come se fosse vivo: «Non sono in casa. Potete lasciare un messaggio dopo il segnale acustico».
E qui – ecco il genio assoluto, l’irriverenza fatta persona – invece del banale bip elettronico ascoltavi Saviane che gorgheggiava soavemente, tale e quale il fringuello che si sentiva in sottofondo nel motivetto L’uccellino della radio cantato da Silvana Fioresi negli anni Quaranta. Nella scelta di imitare il cinguettio che dalle onde medie prima dell’Eiar e poi della Rai tenne compagnia a tre generazioni d’italiani, c’era una totale identificazione con quello che era stato il suo lavoro di critico televisivo, sempre attento anche ai significati apparentemente più trascurabili di ciò che si spandeva nell’etere.