Gen 14 2014

SPIGOLATURE NELL’EPOCA PRIMA

Category: Chiesa Veronese Storia Pighi,Libri e fontigiorgio @ 14:45

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Disegno delle lamine di piombo dei martiri Kiberto e Vittoria

 

 

CAPO XIX

 

SOMMARIO. – I martiri Kiberto e Vittoria – Ipotesi degli eruditi – S. Mamma o Mammaso – Lo scritto « De Odoacre et Theodorico » – Il notajo Coronato e la sua « Vita sancti Zenonis » – Altre chiese in Verona.

 

Prima di chiudere quest’epoca, diamo alcune notizie, che non trovarono luogo nei capi precedenti, massime perchè non aveano relazione coi loro titoli.

 

Nell’anno 1706, e precisamente nel giorno 6 maggio, mentre si stava lavorando attorno ad un altare di S. Pantaleone nella chiesa di S. Maria della Fratta, non lungi da quella dei SS. Apostoli, sotto la mensa dell’altare si scoperse un’urna sepolcrale di marmo.  Sospeso tosto il lavoro, si diè notizia del fatto al vescovo Gian-Francesco Barbarigo, il quale nel giorno 9 dello stesso mese mandò a verificare la cosa il suo provicario.  Questi, accompagnato da persone perite, aprì quell’urna, e vi trovò dentro parecchie ossa di corpi umani, ed insieme due lamine di piombo con scritte, recanti l’una il nome di Kiberto, l’altra il nome Vittoria.

Diamo l’una e l’altra quali  furono pubblicate dal Can. Dionisi (1):

 

 

+ A. D. O. C. CIII IC R

 EQESIT  KIBERTVS

IN  PACE  Q  VIXIT  A

XLII – ET  IC  PASXS

E  MORTE  –  II  IDVS

AGVSTI  P  DI  NOE  +  (2)

 

 

+  K  REQESIT VITTO

RIA VIRGO IN PACE Q

VIXIT  ANIS  XXIIIII

ET  MARTIRIVM  SVSEPI

E. A. S. C.  SEPTIMO DNI

ETH. XI. K. IVNII. +

 

 

Questa scoperta riempì di giubilo i buoni veronesi, risultando chiaro dalle due iscrizioni che si trattava di reliquie di santi martiri; e non dei soli due nominati, ma di parecchi, come appariva dal numero delle ossa.  Insieme però la scoperta acuì il desiderio degli studiosi di cose nostre (e nel secolo XVIII erano ben molti) di approfondire la cosa.

Chi erano questi martiri  Kiberto e Vittoria, sepolti in una chiesa di Verona, dei quali non si avea cenno alcuno nei documenti veronesi?

Certamente erano martiri: ma dove ed in quale persecuzione subirono il martirio? Quando quelle sacre reliquie furono riposte in quella chiesa, che non figura tra le più antiche di Verona? Si aggiungeva la difficoltà, sia di rilevare le singole lettere, sia molto più di comporle in modo da averne un senso ammissibile: eran chiari i nomi Kibertus e Vittoria virgo; ma quasi tutto il resto era un enigma. Si fecero molte ipotesi, tutte difficili; delle due iscrizioni si diedero diverse lezioni e spiegazioni, tutte difficilissime.  Si ricorse anche a due celebri cultori di cose antiche: al nostro mons. Francesco Bianchini, che si trovava a Roma; al celebre Ludovico Muratori: si mandarono ad essi i facsimili delle iscrizioni, sperandone qualche delucidazione; ma tutto inutile (3). Tutti però convenivano in affermare che Kiberto e la vergine Vittoria fossero martiri; si disputava sull’epoca e sul luogo del martirio.

 

Rivedendo brevemente quelle molteplici ricerche, ne diamo un breve sunto.

 

Di Vittoria alcuni vollero rilevare dall’iscrizione che essa fosse stata martirizzata l’anno 107 sotto l’imperatore Traiano: così apparterebbe alla stessa epoca il martirio di Kìberto e degli innominati, le cui ossa si trovavano nella medesima urna: forse Vittoria sarebbe quella Vittoria, che si legge nel Martyrologium Hieronimianum al giorno « Kal. Junii ».  Tra gli altri sostenne questa tesi il dotto Antonio M. Cenci, sforzandosi di latinizzare e grecizzare il nome del martire con leggere Kiberius: era un buon argomento per l’opinione che il cristianesimo fosse già molto diffuso tra noi sul principio del secolo I, e che il primo vescovo sant’Euprepio risalisse ai tempi apostolici (4).

 

E’ una spiegazione lusinghiera, ma un po’ troppo difficile.  Anzitutto nei primi secoli della chiesa s’avrebbe inciso « Victoria », non « Vittoria »; inoltre il nome Kiberto nel secolo I non esisteva; bisogna cercarlo nell’epoca longobardica: si aggiunga che le lettere delle due iscrizioni, come osservò il Muratori, non sono di certo anteriori al secolo VIII. La lezione poi del Cenci « Kiberius » è una correzione arbitraria dell’iscrizione, quale è data dai facsimili.

 

Altri nell’iscrizione di Vittoria vollero leggere l’anno 607: così il Dionisi. Ma al principio del secolo VII, sotto la piissima regina Teodolinda e dopo la conversione di Agilulfo, non sembra ammissibile che si abbiano martiri, almeno nell’Italia superiore. Altri nell’iscrizione di Kiberto credettero di leggere l’anno 703: ma questa lezione ripugna troppo ai caratteri incisi nell’iscrizione.

 

Quanto al luogo del martirio, in generale i nostri eruditi vollero che fosse Verona. Nell’iscrizione di Kiberto si ha «hic passus est mortem »; perciò deve dirsi lo stesso di Vittoria e degli altri martiri.  Ma, se furono martiri nel principio del secolo VII o del seguente, non si può spiegare come i loro nomi non si leggano nel Carpsum, nè si abbia memoria alcuna liturgica o non liturgica dal loro supposto martirio sino alla scoperta delle loro reliquie, nel secolo XVIII.  Non ne seppero nulla i due eruditi scrutatori di sacre reliquie Bagata e Peretti. Perciò l’avverbio « hic » dice che il luogo del martirio fu quello stesso, in cui furono incise le lamine; ma nulla più.

 

Tutto considerato, è da ritenere che i martiri Kiberto, Vittoria e gli altri abbiano subito il martirio in qualche luogo lontano da Verona, e forse anche dall’Italia, nel secolo VII; e che nell’epoca delle compere e dei furti di reliquie (secoli IX-XI) i loro corpi sian venuti a Verona e sepolti presso l’altare di S. Pantaleone nella chiesa di S. Maria della Fratta, della cui esistenza consta nella prima metà del secolo XII. Soppressa quella chiesa nell’anno 1805, quel prezioso ripostiglio con le reliquie e le due lamine fu trasportato nella chiesa di S. Lorenzo (5).

 

Tra i santi veronesi sepolti nella chiesa di S. Stefano si trova anche S.Mama o Mamma.  «Ab Oriente habes primum protomartyrem Stephanum, – Florentium, Vindemialem et Maurum Episcopum, – Mammam,  Andronicum et Probum cum quadraginta Martyribus »,  Così nel Ritmo Pipiniano. Prima del nome « Mammam » si hanno tre vescovi veronesi; dopo di essi due altri vescovi coi quaranta martiri pur veronesi. Similmente l’iscrizione lipsanografica di S. Stefano  pone S. Mama confessore tra i vescovi veronesi e la vergine pur veronese Placidia: « In hac ecclesia sanctorum confessorum hujus civitatis corpora episcoporum requiescunt, scilicet Sìmplicii… Andronici, Mauri, et etiam Mamae confessoris, atque virginis Christi venerabilis Placidiae »(6).  Dal complesso di questi documenti parrebbe che Mamma fosse il nome di un santo veronese, e probabilmente di un vescovo nostro: potrebbe essere quel S. Mammaso, al cui nome era dedicata una chiesa là dove è ora la via che porta il suo nome: il suo corpo, secondo Biancolini, è sepolto nella chiesa di S. Stefano.

Il canonico Dionisi pensava che S. Mama sia il nostro vescovo S. Manio, che fu vescovo tra S. Mauro ed i santi Andronico, Vindemiale e Fiorente: la quale ipotesi a noi sembra molto verosimile (7).

Altri pensano che il S. Mammaso titolare della chiesa omonima e sepolto in quella di S. Stefano sia stato un santo milanese (8). Secondo Bagata e Peretti il nostro S. Mamma sarebbe il martire Mamante, che ha sofferto il martirio a Cesarea di Cappadocia sotto l’imperatore Aureliano: la sua memoria si celebrava in Verona il giorno 18 luglio insieme con quella di S. Filastrio, come apparisce dal Carpsum.

 

Quanto a documenti letterari, ben poco ci rimane dopo i sermoni di S. Zeno. Abbiamo già accennato ad uno e forse due sermoni di san Petronio, ad Ursicino lettore, al Fragmentum laurentianum.  Alla prima metà del secolo VI potrebbe appartenere uno scritto De Odoacre et Theodorico tra gli Excerpta Valesiana (9).  Secondo un dotto tedesco, ne sarebbe autore un veronese di origine barbarica, appartenente al clero veronese, devoto al re Teodorico e vissuto in parte dopo di lui. Narra delle lotte tra Odoacre e Teodorico, degli edifici eretti da Teodorico a Verona, della distruzione della chiesa di S. Stefano(10)  e di altre particolarità spettanti a Verona (a).

 

Come nell’ Alta Italia in generale, così anche nella nostra Verona, ben poco sviluppo ebbero le lettere nei due secoli della dominazione longobardica; ed è per questo, che ben pochi documenti abbiamo di quest’epoca.  Già da qualche secolo andava deperendo la lingua latina, e per l’invasione di tante specie di barbari si andava formando lentamente una nuova lingua, la quale soltanto dopo il secolo XI potè vestire una qualche forma di lingua italiana.

Nella  nostra Verona pare fosse ancor coltivata la lingua latina, almeno fra il ceto ecclesiastico, come apparisce da qualche documento coevo e da alcuni posteriori: di una schola sacerdotum si ha qualche cenno nel secolo VIII (11); il qual nome però indica piuttosto un corpo o collegio di sacerdoti, che un luogo di insegnamento.

 

In mezzo a tanta oscurità fa buona comparsa il notaio Coronato con la sua Vita sancti Zenonis (12).   Quanto all’epoca, qualcuno dei nostri pose il Coronato nel secolo XII e forse nel XIII; ma ormai è troppo provata l’opinione del Maffei, che egli sia vissuto nel secolo VIII, e forse nel precedente.  Così pensano Henschenio bollandista, e tra i nostri Ballerini, Venturi, Giuliari, Cipolla. Argomento principale è il fatto che lo scritto di Coronato si trova nel codice dei sermoni di S. Zeno di Reims, che certo è anteriore al principio del secolo IX.

Quanto alla persona di Coronato, poco sappiamo. Egli stesso si dice Notaio; nel codice di Reims è detto « venerabilis »: il nostro Giovanni Mansionario di lui scrive: «Coronatus vir christianissimus Veronae claruit, qui vitam beati Zenonis mediocri stilo composuit ».

Quanto all’opera, essa poco ci dice di certo intorno alla vita di S. Zeno; ci attesta quanta venerazione avessero i veronesi per il loro santo patrono, e riferisce le molteplici leggende diffuse in quel tempo tra i veronesi. Del resto, sembra che collochi S. Zeno nel secolo III, narrando della guarigione della figlia di Gallieno; della sua morte dice che « in pace receptus est »: perciò non sembra che lo abbia ritenuto martire in senso proprio (13).

 

Da parecchi documenti antichi dobbiamo ravvisare un risveglio di pietà tra i veronesi dal secolo VIII in poi; particolarmente dalle molteplici chiese esistenti in Verona e presso Verona verso il principio del secolo IX.  La chiesa di « S. Maria antiqua » si riteneva edificata nel secolo X: ma nei recenti restauri di detta chiesa fu scoperto un pavimento cristiano a mosaico appartenente al secolo VIII e forse ai precedenti; così è ancor meglio giustificato il titolo di antiqua dato sempre a questa chiesa (14). Abbiamo pure due chiese dedicate all’arcangelo S. Michele, al quale eran devoti i Longobardi: una  era in città detta « S. Michaelis ad portam », l’altra, detta « S. Michaelis in flexio »,  era fuor della città, presso a poco dove ora è la chiesa di S. Michele extra.  Dove ora è il Castelvecchio era sulla fine del secolo VIII la chiesa « S. Martini in aquario» (a quaro-ponte); forse fu edificata dai Franchi ad onore del loro santo vescovo di Tours; e sarebbe per questo che l’autore del Ritmo Pipiniano accennando a quella chiesa, ne magnifica il titolare: « Ab Occidente eustodit … magnus  confessor  Martinus  sanctissimus ». Dal medesimo Ritmo sappiamo che ad occidente di Verona, oltre la chiesa di S. Lorenzo, era pur quella dei santi Apostoli; e che ad oriente, oltre le chiese di S. Stefano,  S. Pietro,  Ss. Faustino e Giovita, erano una chiesa dedicata alla Madre di Dio Maria, altre dedicate a S. Giovanni Battista (in valle), ai Martiri Ss. Nazaro e Celso, a S. Vitale, e forse altre.

Sembrano pur esistenti nel secolo VIII le chiese di S. Giorgio « in brayda », di S. Giacomo « ad pineam »(15): secondo alcuni scrittori nostri apparterrebbero al medesimo secolo le chiese di S. Benedetto (od almeno la cripta), di S. Pietro «in carnario» e forse qualche altra: si noti che il Ritmo Pipiniano ha per suo scopo nominare solo quelle chiese, che stanno all’intorno di Verona, quali suoi propugnacoli « ab hoste nequissimo »; e perciò tace di quelle che erano nel centro della città (16). Certamente l’esistenza di tante chiese e, per conseguenza, di molti sacerdoti prova quanto la pietà cristiana fiorisse in Verona (c).

 

 

NOTE

 

1 – DIONISI Dei Santi Veronesi pag. 37-51: reca anche i facsimili, e riferisce minutamente la storia dell’invenzione.

 

2 – Delle due iscrizioni, questa sola è riportata presso MAI Vet script. Coll.   Tomo V. pag. 415; TROYA Cod. diplomo longob. Tom. III. Num. CCCLXVIII, con tre Note illustrative.

 

3 – Le risposte di BIANCHINI e MURATORI si possono leggere presso DIONISI Op. cit. pag. 41-44.

 

4 – CENCI  Dissertazione … sull’epoca di Sant’Euprepio, S. Procolo e San Zeno pag. 21-27 (Verona 1788).

 

5 – Si trova sopra l’altare ora dedicato a S. Giuseppe.

 

6 – Presso BIANCOLINI Chiese di Verona I. pag. 13.

 

7 – DIONISI Dei Santi Veronesi pag. 189 Nota. – Il suo nome sarebbe stato  letto erroneamente dal De Rossi.

 

8 -Presso SIMEONI Guida di Verona, pag. 88.

 

9 – Editi recentemente per cura di V. GARDTHAUSEN a Lipsia l’anno 1875.

 

10 – R. PALLMAN presso CIPOLLA Fonti edite … della storia Veneta pagg. 2, 162.

 

 

11 – SPAGNOLO Le Scuole accolitali pag. 2.

 

12 – Presso i BALLERINI Sermones S. Zenonis Proleg, pag. CXLVII, segg. – La versione italiana di Marco di sant’Agata presso BIANCOLINI Chiese di Verona Lib. I. pag. 75-88: segue la versione della Translatio sancti Zenonis, la quale è posteriore di qualche secolo (b).

 

13 – Vedi quanto abbiamo detto nel capo V. (Bollettino 1914 pago 245) e Cap. VII (1915 pag. 11). – Quale e quanto valore si possa attribuire a questa Vita sancti Zenonis, discute diffusamente il P. LANA nella sua Disertazione tra i Vota ecc. §§ 8, 9, 10.

 

14 – CIPOLLA Note di Storia Veronese. III. in Archivio Veneto 1892.

 

15 – BIANCOLINI Chiese di Verona II. pagg. 484, 530.

 

16 – Quindi è che non nomina neppure la chiesa di S. Maria Matricolare, certamente esistente all’epoca del Ritmo.

 

 

ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. XIX (a cura di A. Orlandi)

 

 

(a) pag. 141. – I frammenti di cronaca detti “Excerpta Valesiana’” o “Anonymus Valesianus” furono pubblicati da L. A. Muratori nel vol. XXIV di Rerum Italicarum Scriptores e riedite a cura di R. Cessi nel 1913.  Sono pure inseriti nella collezione Monumenta Germaniae Historica Auctores antiquissimi, IX, 1891, 1,3. Inoltre cf. M. CARRARA, Gli scrittori latini, in Verona e il suo territorio II, Verona, 1964, pp. 406-408.

 

(b) pag. 142, nota 12. – Fu pubblicato anche recentemente. CORONATUS Notarius, Il sermone sulla vita di S. Zeno tradotto da M. Carrara insieme col Ritmo di S. Zeno, Verona, 1957; G. P. MARCHI – A. ORLANDI – M. BRENZONI, Il culto di S. Zeno nel veronese, Verona, 1972, pp. 17-27.

 

(c) pag. 143. – Degli edifici sacri a Verona e di fatti liturgici di Verona tratta P. G. G. Meersseman nell’introduzione all’edizione dell’Drazionale dell’arcidiacono Pacifico e del “Carpsum”. G. G. MEERSSEMAN – E. ADDA – J. DESHUSSES, L’orazionale dell’arcidiacono Pacifico e il “Carpsurn” del cantore Stefano. Studi e testi sulla liturgia di Verona dal IX al XI sec. Friburgo, 1974, pp. 67-78.

 

 

Fonte:  srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume I

 

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