Uno dei muri perimetrali del tempio venuti alla luce sul monte Castelon
MARANO DI VERONA. Studiosi da tutta Italia a confronto sui risultati di sei anni di ricerca e due campagne di scavi che hanno portato alla luce preziosi reperti. Gli esperti non hanno dubbi: il monte Castelon è fra i «top sites» dell´archeologia veneta e vanta anche frammenti di decorazioni in stile pompeiano
Tanti misteri ancora da svelare sulle pendici del Monte Castelon. Il Tempio di Minerva fa ancora parlare di sé e questa volta diventa protagonista di un convegno, che si è svolto nella chiesa di Santa Maria Valverde, presenti esperti arrivati da tutta Italia, scortati dalla Protezione civile fin sulle pendici del Castelon, dove sorgeva il famoso santuario.
In discussione i risultati delle campagne di scavo, ma anche i tanti punti interrogativi e le ipotesi aperte su un luogo di grande interesse archeologico e di grande complessità scientifica.
Il Tempio di Minerva, che sorge alle pendici del Castelon di Marano, a pochi passi dalla chiesetta romanica dove si è svolto il convegno, nasconde ancora molti segreti. Quel che è certo è l´inestimabile valore del luogo.
«Su questo colle ci sono quattromila anni di storia, senza soluzione di continuità, legata all´abitato di Marano di Valpolicella», ha spiegato il sindaco Simone Venturini, sottolineando come questo percorso, che ha avuto inizio nel 2007, dovrebbe portare alla creazione di un Parco archeologico.
Il sito del monte Castelon è infatti considerato dalla Soprintendenza ai beni archeologici del Veneto, rappresentata da Vincenzo Tinè, uno dei nuovissimi «top sites dell´archeologia veneta, un contesto vocato ad attrarre turisti per l´associazione tra interesse scientifico e suggestione ambientale».
LA SCOPERTA. Sei anni di ricerca e due campagne di scavo hanno prodotto la scoperta del Tempio di Minerva, un «fanum» cioè un santuario extraurbano votato al culto della dea romana, che racchiude al suo interno tre importanti stratificazioni di fasi storiche: un tempio di età imperiale, uno di età tardo-repubblicana e un rogo votivo dell´età del ferro.
«L´area del monte Castelon conserva tracce della presenza dell´uomo fin dall´epoca preistorica», ha detto l´archeologo della Soprintendenza del Veneto, Luciano Salzani. Storicamente legata alla comunità degli Arusnates, la Valpolicella presenta tracce di insediamenti in più aree (ad esempio San Giorgio Ingannapoltron, Castelrotto).
«Il sito del monte Castelon nasconde un´area protostorica sotto i muri del tempio romano, un rogo votivo datato tra il VI e il II secolo a.C., a cui appartengono il ritrovamento di settanta anelli votivi e due frammenti ceramici simili ad una tazza e ad una brocca», ha continuato Salzani.
Al rogo votivo succede qualche secolo dopo il tempio di età tardo repubblicana, di cui non si hanno moltissime tracce della struttura muraria, quasi interamente distrutta dal cantiere del tempio successivo di età imperiale.
«Ciò che testimonia la grandezza del tempio di Marano è la presenza di frammenti di decorazione muraria riconducibili al I stile pompeiano, una tecnica pittorica molto curata e di ottima fattura presente nei più grandi siti archeologici del bacino del Mediterraneo, tra cui Pompei ed Ercolano», ha spiegato Brunella Bruno, del Nucleo Operativo di Verona, che ha coordinato l´intero progetto di scavo. Data l´importanza della tecnica decorativa è ancora da svelare la natura della committenza, che certamente apparteneva ad un élite e poteva riunire le migliori maestranze dell´epoca.
IL TEMPIO DI ETÀ IMPERIALE. Sulle strutture del tempio repubblicano intorno al I secolo d.C. si impianta il cantiere di un grande luogo di culto, più ampio del precedente, istituito da un collegio di quattro «curatores fanorum», che lo amministravano con una cassa comune, la pecunia fanatica. Il nuovo Tempio di Minerva ha struttura quadrangolare, circondato da tre gallerie e addossato alla parete di roccia di tufo. Il cuore della vita del tempio era la cella centrale che si innalzava rispetto alle gallerie e che dava alla struttura la forma tipica dei templi pagani di tradizione celtica.
«La particolarità di questa struttura su modello germanico ha destato l´interesse dei colleghi del College de France che mi hanno chiamato a Parigi qualche mese fa ad esporre la scoperta», ha aggiunto Bruno. Monili, cocci e monete sono stati rinvenuti tra le mura del Tempio di Minerva.
«Le monete di argento e bronzo, quattro di età repubblicana e quarantasei monete imperiali, testimoniano il passaggio delle varie epoche storiche e lasciano l´interrogativo aperto circa la datazione della fine del tempio, probabile intorno al V secolo d.C.», ha ricordato Antonella Arzone, del Coordinamento direzione Musei d´arte e monumenti del Comune di Verona.
Dunque, ancora tanti punti interrogativi: qual´era il culto legato al tempio? Venivano attribuite all´acqua proprietà terapeutiche? In che modo ha avuto fine la vita del tempio? A queste e molte altre domande si cerca risposta nel prossimo futuro.
UN MISTERO FRA STORIA E LEGGENDA
Sulle pendici del Castelon si scava dal 2007 alla ricerca del Tempio di Minerva. Fin dal primo saggio, condotto per volontà del sindaco di Marano, sono stati rinvenuti i primi resti di muratura e pavimentazione di un tempio pagano. A fine 2010 è iniziata la campagna di scavo con il supporto della Soprintendenza ai beni archeologici e della Società archeologica padana.
Il primo interrogativo è stato: dove scavare? La campagna si è avvalsa delle indicazioni dell´illustre archeologo ottocentesco Girolamo Orti Manara, che nel 1835 aveva rivenuto sul Castelon i resti del tempio di età romana e aveva corredato la scoperta con i disegni del pittore mantovano Razzetti. Dieci epigrafi con dediche ex voto recanti il nome della dea Minerva non lasciarono dubbio sulla natura del luogo.
Da allora del tempio si persero le tracce, sepolto dai terrazzamenti di ciliegi e ulivi. Ma là sotto c´era un mistero per gli abitanti del paese, che tramandarono la leggenda dell´esistenza del tempio, e per gli studiosi che si trovavano tra le mani le carte dell´Orti Manara. Fino a che si decise di scavare. (A.C.)
Fonte: srs di Agnese Ceschi, da L’Arena di Verona di venerdì 07 giugno 2013. PROVINCIA, pagina 27
Link: http://www.larena.it/stories/Home/520682_tempio_di_minervatesoro_ritrovato/
MARANO DI VALPOLICELLA (VR). SANTUARIO DI MINERVA SUL MONTE CASTELLON
Stato: Italia
Soprintendenza: Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto
Regione: Veneto
Provincia: Verona
Comune: Marano di Valpolicella
Località: Monte Castellon
Tipo di evidenza: Santuario di Minerva
Cronologia: età protostorica ed età romana
Anni campagne di scavo: 2007 e 2010
Responsabile di cantiere: dott. Alberto Manicardi
Responsabile scientifico: dott.ssa Brunella Bruno
Tipologia scavo: Conduzione diretta con fondi della Regione del Veneto e del Comune di Marano di Valpolicella (ex L.R. 17/1986)
Sommario:
Il santuario sul monte Castellon di Marano di Valpolicella fu scoperto nel 1835 da G.G. Orti Manara e pubblicato l’anno seguente sul “Bullettino dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica”. L’erudito veronese riportò alla luce i resti di un complesso identificabile come un fanum dedicato a Minerva, grazie ad una decina di iscrizioni – otto delle quali ex voto dedicati alla divinità.
Tra il 2007 e il 2010 alcune indagini in estensione hanno apportato nuovi elementi stratigrafici, strutturali e planimetrici. Il complesso risulta realizzato su una terrazza appositamente creata lungo il pendio del monte tramite il taglio della parete rocciosa, che fa da quinta scenografica. Un canale con funzioni di isolamento e di drenaggio era con ogni probabilità connesso al culto: questo era collegato ad una fessura presente nella roccia tufacea da cui sgorgava l’acqua.
Lo scavo ha evidenziato la presenza di tracce di un’ area cultuale protostorica e di un tempio di età tardorepubblicano al di sotto delle strutture viste da Orti Manara.
Il rogo votivo, ascrivibile tra i Brandopferplätze tipici dell’area retica e alpina tra V sec e II sec. a.C., ha restituito al momento una quarantina di anelli digitali.
Sul sedime dei resti del rogo, tra lo scorcio del II a.C. e l’inizio del I a.C., fu realizzato un edificio in muratura: l’area sacra protostorica, caratterizzata da un culto all’aperto, venne dunque monumentalizzata.
Del tempio di questa fase si sono messi in luce solo limitatissimi tratti: due muri perimetrali, una pavimentazione in battuto cementizio a base fittile cocciopesto e resti di intonaci parietali (crollati) con decorazioni che rientrano nella fase del c.d. I stile pompeiano.
La presenza di queste testimonianze pittoriche, in un edificio collocato in un contesto territoriale “periferico” non romano e, a giudicare dalle testimonianze archeologiche coeve, anche poco romanizzato, presuppone una committenza di cultura romana e suggerisce una certa importanza del santuario stesso.
Le strutture viste da Orti Manara, ora completamente messe in luce, sono pertinenti ad una ristrutturazione avvenuta in età imperiale: si tratta di in una cella quasi quadrangolare (m 8, 20 Nord-Sud; m 7,10 Est-Ovest), circondata da gallerie su tre lati (con colonne doriche appoggiate alle murature dei lati Nord e Sud e con un colonnato libero sulla facciata, collocata sul lato Est).
A Ovest, verso il monte, è presente invece uno stretto corridoio che separa l’edificio dal canale. I pavimenti che circondano l’aula sono battuti cementizi in malta bianca con scaglie litiche, quello dell’aula centrale un battuto a base fittile con tessere bianche che definiscono cornici geometriche.
Il modello architettonico a cui si ispira la struttura di Marano è quello che negli studi archeologici viene solitamente definito “tempio o fanum di tradizione celtica”, attestato in area gallica e germanica tra I e II sec.
Il santuario di Marano va collocato verosimilmente in età augustea per l’impiego dell’ opera reticolata nel muro che costituisce il perimetrale del corridoio dell’aula sul lato Nord. Questa tecnica, da collegare a maestranze centro-italiche, è attestata in Italia settentrionale in un numero limitatissimo casi e quasi esclusivamente a Verona in edifici pubblici: tra questi vi è il Teatro, databile in età augustea, di committenza imperiale o molto vicina all’entourage dell’imperatore. E’ dunque assai probabile che le maestranze che misero in opera le murature del tempio ebbero stretti rapporti con quelle lavorarono in città.
Anche l’uso dell’opera reticolata, dunque, parla a favore di un ruolo molto particolare del santuario a distanza di poco meno di cento anni dalla sua costruzione: il tempio doveva rivestire ancora un significato politico. Le strutture di età imperiale rimasero in uso a lungo.
Un livello ricco di cenere e legno carbonizzato sul pavimento dell’aula ha restituito una cinquantina di monete in massima parte della seconda metà del IV sec., con 10 esemplari di AE4 la cui cronologia potrebbe arrivare al V sec.
(Brunella Bruno)
Bibliografia:
G.G. Orti Manara, Reliquie d’antico tempio romano dedicato a Minerva e più monumenti scoperti nell’Agro veronese (Valpolicella) dal cav. Gio Orti conte di Manara, in Bullettino dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica, 1836, p. 138-144
C. Bassi, Il santuario romano del Monte Castelon presso Marano in Valpolicella, in La Valpolicella in età romana, Atti del II Convegno (Verona 2002), a cura di A. Buonopane e A. Brugnoli, Verona, 2002-2003, pp. 61-80.
Contatti: brunella.bruno@beniculturali.it
Fonte: visto su SOPRINTENDENZA DEI BENI CULTURALI DEL VENETO ultima modifica 26 marzo 2012
20 Giugno, 2013 22:39
[…] approfondimenti https://www.veja.it/2013/06/09/marano-di-valpolicella-il-tempio-di-minerva-un-tesoro-ritrovato/ […]