Giu 20 2009

Verona: La muletta di Santa Maria in Organo

Verona: La Muletta lignea con sopra il Cristo benedicente posta presso la chiesa di Santa Maria in Organo

 

 

L’animale degli umili: l’asino, il suo palio, ma anche divinità Mediterranea

 

Da Colle San Pietro passano strade che si dipanano per le dolci colline delle Tortesele. Già nell’epoca romana erano normalmente percorse dalle genti, piccole strade in proporzione ai bisogni odierni, ma al tempo quelli che ora sono viottoli rappresentavano proprio arterie importanti che da Verona portavano in varie direzioni preferendo la via della collina a quella della pianura.

Queste strade, che furono sopratutto vie di trasporto condivise fra animali e uomini, oggi rivivono come percorsi didattici e naturalistici che hanno mantenuto nei secoli il loro fascino inalterato.

Alla simbiosi animale-uomo dal dopoguerra si è passati brutalmente al binomio macchina-uomo e tutto si è adeguato alle esigenze della meccanizzazione, soprattutto il sistema viario, che ha completamente stravolto le antiche strade e abbandonando sopratutto le piccole strade di collina. L’animale cardine della civiltà contadina mediterranea ed europea fu senza dubbio l’asino. Questo animale, usato per il trasporto nel piccolo commercio e per svolgere i pesanti lavori agricoli, era nella sua umiltà il parente povero del nobile cavallo, prerogativa di principi e cavalieri, costoso da mantenere di fronte alla frugalità asinina. Il ciuco per secoli sollevò dal durissimo lavoro i poveri contadini che si tenevano caro l’animale dalle lunghe orecchie e che era considerato parte della famiglia. I suoi servigi erano molteplici: faceva girare le mole per l’estrazione dell’olio, la macina per la molitura dei cereali, la macchina per sollevare l’acqua ed irrigare le terre, animale da soma per trainare piccoli carretti, seguire gli armenti, arare i campi.

A Verona è risaputo che l’asino era l’animale impiegato a trainare i carretti per portare i panni lavati da Avesa ai signori che abitavano in città, come anche i piccoli coltivatori per trasportare dalle prime colline negli sparuti e piccoli mercati cittadini la frutta e la verdura primizia, anticipata dal microclima del sobborgo veronese dei lavandai e orticoltori.

Così scrive Marino Zampieri nel “Il palio, il porco e il gallo” Cierre edizioni 2008:

“A verona non v’era certo penuria di asini: sia la parte montuosa che quella pianeggiante del territorio ne offriva gran numero di varietà. E molti erano i borghi e le contrade che da tempo immemorabile venivano insigniti, loro malgrado, del titolo di-paese degli asini-o- dei mussi-: Avesa, Villafranca, Soave, Monteforte, San Gregorio di Veronella, l’antica Cuca,….

Il poeta macaronico Giuseppe Peruffi, uno dei più assidui cantori del Carnevale veronese, nel celebrare l’asino “Saltamartin Rampino”, scelto dagli avesani come cavalcatura del Papà del Gnocco, giurava che un esemplare simile non lo si sarebbe potuto trovare neanche a cercandolo  in tutta Villafranca o  Soave, paesi che dovevano vantare pregiate razze asinine.

Questo animale è intimamente legato alla storia dei piccoli e poveri contadini, che erano l’ossatura dell’economia medioevale, ma la diffusione di questo animale si protrasse fin dopo la seconda guerra mondiale. Con l’avvento della modernità furono definitivamente tolti dalla scena agricola, per le nuove generazioni erano solo motivo di vergogna. A Verona all’asino fu riservato addirittura un Palio inaugurato ufficialmente da Cansignorio della Scala nel 1336 quando, per festeggiare le nozze con Agnese d’Angiò Durazzo, allestì tra gli altri spettacoli sei diverse corse dove si sfidavano uomini, prostitute, mule, ronzini, cavalli berberi e asini. Il palio degli asini rimase come tradizione e si perpetuò. Sappiamo inoltre che a Verona fu viva la scandalosa “festa della muletta” :“dies festus de mulula”, un rituale che aveva come riferimento la famosa Muletta, oggi posta nel transetto di sinistra della stupenda chiesa di Santa Maria In Organo.

Una leggenda vuole che questa statua lignea, arenatasi davanti alla porta della chiesa quando esisteva ancora il ramo dell’Adige ora interrato, dopo varie vicissitudini fosse raccolta e portata finalmente in chiesa.

Secondo una tradizione popolare parallela, la statua conserva al suo interno la pelle dell’asino che portò Cristo a Gerusalemme attraverso la porta d’oriente.

L’asino della domenica delle palme ebbe a capitare a Verona e fu ospitato proprio con tutti gli onori. Alla sua morte l’animale emise un raglio di grande intensità che fu udito da tutta la città.

E alla morte dell’animale furono resi grandi onori e le reliquie raccolte con devozione vennero deposte nel ventre della Musseta lignea.

La statua della Musseta veniva portata i processione, o meglio trascinata dato che era munita un tempo di ruote, non solo nei riti della domenica delle palme, ma anche il giorno del Corpus Domini.

Queste processioni hanno conservato a lungo le caratteristiche di festa pagana dove il popolo si immergeva fra canti e colori in una grande carnevalesca mascherata, e la muletta era venerata alla stregua del Cristo che la cavalcava.

Storie che si incrociano ma che sostanzialmente sottolineano che qui a Verona, come in altri paese dell’Europa, alcune feste cristiane erano la continuità dei riti e delle credenze pagane, mai completamente sradicate, che nel nostro caso fanno dell’asino l’animale totemico già sacro nell’antico Egitto dove rappresentava Set fratello di Iside ed Osiride o come Marduk dio Mesopotamico dalle lunghe orecchie.

Ancora Marino Zampieri nel “Il palio, il porco e il gallo” Cierre edizioni 2008:

“Nelle processioni veronesi della Domenica delle Palme e del Corpus Domini l’atmosfera carnevalesca era accentuata dalla presenza della “Musseta”, dalla pur elementare azione scenica che essa comportava, dalle espressioni di giubilo extraliturgico che ispirava. Gli immancabili eccessi, gli atti irriverenti, i tripudi carnevaleschi non sempre agiti al di fuori o al termine del sacro rito, le manifestazioni di religiosità popolare verso la “santa asinella”in cui affioravano chiare  tracce di antichi culti pagani, la voce diffusa oltralpe da viaggiatori stranieri che a Verona si venerava un asino, finirono per preoccupare le autorità ecclesiastiche, che decisero di intervenire . Si cominciò con il togliere pathos e teatrale spettacolarità all’evento non trascinando più la mulula con una -sogheta- ma, come in un’ordinata processione, trasportandola su uno -scabello grezzo – appositamente costruito. E si finì per proibire del tutto la processione.

La “santa musseta” pietra dello scandalo, segregata nel buio di una sacrestia, più non uscì con il festoso carnevalesco corteo ad abbracciare in cerchio la città, rinnovando i giri rituali che la comunità veronese attualmente celebrava con la spirale del Bogon in piazza dei Signori o la sfilata del palio circum circa piazza delle Erbe.  In quei luoghi deputati la folla raccolta ad anello riviveva con teatrale empatia l’emozione che provava ogni volta che si trovava riunita nell’anfiteatro areniano: la percezione di se stessa come un “gigantesco corpo unitario, vivo, tangibile, animato da un medesimo spirito identificato da un comune sentire.

La storia strana e controversa è ripresa anche da Giampaolo Marchi nel “Luoghi Letterari” Edizioni Fiorini Verona 2001, riferendosi ad una lettera che Ezra Pound, il grande poeta che amò particolarmente Verona citandola nella sua monumentale opera poetica “I cantos”, invia al suo amico lucchese Enrico Pea, scritta dal manicomio di St. Elizabeths Hospital Washington D.C. U.S.A, dove il poeta era stato rinchiuso per collaborazionismo con l’Italia di Mussolini.

In questa lettera ad un certo punto Pound scrive “…ma forse racconto barzellette o qualche storia locale, come quell’asino a Verona che tanto eccitava il Rev. Cav. Dott. Alessandro Robertson, della Chiesa Scozzese a Venezia…”

Scrive il Marchi che si tratta dell’allusione della famosa “Muletta” e così continua “..Una splendida statua lignea del XIII secolo, conservata nella chiesa di Santa Maria in Organo a Verona, oggetto (un tempo) di larga venerazione popolare e di conseguenti polemiche ispirate alla contestazione del culto cattolico per le immagini. La solennità delle Palme veniva celebrata dai monaci olivetani di S. Maria in Organo portando in processione la statua (ciò si usa fare ancora oggi in alcune zone di lingua tedesca, come Hall in Tirolo). L’entusiasmo popolare dava luogo a qualche intemperanza, forse non sufficientemente contrastata dai religiosi: certo, l’immagine lignea entrò ben presto a far parte dell’immaginario collettivo e del folclore religioso, come risulta da una memoria del celebre musicista Adriano Banchieri, che soggiornò a Verona nei primi anni del seicento….Primo a muovere lo scandalo a proposito della venerazione di cui era oggetto la” Muletta” fu Maximilien Misson nella XIV lettera del I tomo del suo Voyage d’Italie”.

Questi fatti non ci devono meravigliare dato che il paganesimo ha convissuto per moltissimo tempo con la religione cristiana.

Sappiamo che durante tutto il Medioevo in Francia si officiavano cerimonie religiose strane, ma assai gradite al popolo come la festa dei pazzi con una processione che partiva dalla chiesa e lì ritornava con i suoi dignitari, i suoi fedeli, il suo popolo. Il popolo rumoroso, malizioso, scherzoso, pieno di traboccante vitalità, di entusiasmo e di foga si riversava nella città dai sobborghi e dalle popolate colline scendeva per ritrovare la gioia e unirsi, fra il sacro e il profano, in processioni come

nella “festa dei Pazzi” o la “Processione della volpe” o la “Festa dell’asino”. Liturgie colme di entusiasmo e di grandissima partecipazione dove giovani vecchi donne e bambini erano coinvolti e liberi di esprimere e sfogare la loro gioia di vivere e la loro sessualità.

Sappiamo anche del “riso pasquale”: lo si è praticato per secoli nelle chiese. Infatti, in certi paesi di lingua tedesca, durante la messa di Pasqua, i predicatori solevano incitare il popolo concelebrante a ridere (per la resurrezione di Cristo) sonoramente, anche ricorrendo a pantomime oscene e a storielle ambigue.” Risus pascalis”, riso pasquale, veniva chiamata questa usanza.

Ancora secondo un rituale pagano come la “Festa degli innocenti” del XIV secolo, il Vescovo stesso era solito giocare a palla con i chierici e ricordo anche lo strano Gioco della Pelota giocato nella navata di Saint-Etienne, cattedrale d’Auxerre, e che scomparve poi, verso il 1538. Giorni inversi dove non esistevano più le gerarchie: la festa del Papà del Gnoco a Verona è colma di queste inversioni di ruoli affinché il popolo si sentisse libero e senza condizionamenti, in una sorta paese della cuccagna dove la penuria alimentare e il peccato fossero dimenticati per un giorno .

Le feste di tipo carnascialesco come quelle dei folli si svolgevano spesso in chiesa finché non vennero soppresse nel XVII secolo, l’asinade era legata alla festa dei folli, la trasgressione delle regole fra tragico e grottesco. Il tragicomico liberava l’individuo dalle sue paure verso l’incerto futuro: la fame, le malattie, la precarietà della vita, l’insicurezza continua, l’oppressione e la paura della morte superata con l’eros.

Ordine e disordine, ma il caos è la sorgente segreta della vita; il sesso genera anarchia, ma anche liberazione . I pagani lo capivano assai meglio di noi. Lasciavano uno spazio all’anarchia nelle loro ben ordinate vite.

Nel medioevo il folle porta sempre una cuffia da cui spuntano le orecchie d’asino e stringe in mano una clava. Il nesso fra asino e sacro è sottolineato da una delle tradizioni più discusse: il “Festum Asinarum”solennizzato soprattutto in Francia dove addirittura un arcivescovo, Pierre de Corbeil, scrive i versi che si cantano durante il rito.

E’ chiamata anche messa dell’asino o festa “ragliata”. La domanda che poniamo dopo tutte queste storie è: nelle due processioni veronesi si portava alla venerazione della città Cristo o l’asino?

Con Dario Fo ebbi modo di andare in visita alla chiesa di Santa Maria in Organo, sempre sulla scia di queste memorie. Quando arrivammo alla “muletta” il premio Nobel si fermò e fece delle considerazioni su quella scultura che tante polemiche ebbe a muovere.

Fo ha una grossa cultura artistica: si è diplomato difatti all’Accademia di Brera e ha sempre coltivato la passione per la pittura e per l’indagine artistica. Le sue parole sottolinearono la molto probabile possibilità che il Cristo benedicente che cavalca l’asino sia stato in origine una statua di un Dioniso o un grasso Sileno che rimodellata divenne il magro Cristo che ora ammiriamo. La mano dell’artista che scolpì l’asino è sicuramente diversa da quella di colui che intagliò il Cristo che è meno rozzo, più ricco di particolari e molto più raffinato, tempi diversi e mano diverse hanno dato forma all’asino e al Cristo, dove gli artisti usano tecniche scultoree e sfumature palesemente dissimili .

Certo bisognerebbe fare delle indagini per svelare i segreti di quella composita statua così famosa e ora rimossa e dimenticata dalla cronaca e dall’interesse popolare.

Sappiamo che l’asino era un animale totemico che rappresentava una divinità venerata e che è ripreso sia nell’ ”Asino d’oro” di Apuleio di Mandaura come nello straordinario “Pinocchio” scritto da Collodi.  E’ l’allegoria dell’uomo che deve passare dalle condizioni d’asino per superare la sua caduta nel punto più basso della materia: una possibile lettura, ma altresì la stessa figura asinina con valenza divina, sacra e sapienziale.

Anche le fiabe raccontano il sacrificio di questo animale. In “Pelle d’asino” la bestia è uccisa e la sua pelle, quando indossata, difende e preserva una giovane fanciulla dai pericoli. Calvino nelle sua raccolta “Fiabe italiane” riporta la famosa fiaba del somarello caca-denari che non compreso sarà sostituito dall’oste disonesto, ma alla fine il giovane proprietario ritroverà il suo somarello e con lui ritroverà la serena ricchezza data dall’oro defecato dal magico asinello.

Il suo raglio rappresenta il mantra di un acuto immediatamente seguito da un suono bassissimo, è l’alto e il basso che si incontrano e nel mezzo sta la condizione umana.

Questi percorsi, intesi anche a riprendere una certa sacralità attraverso concentrazione e disposizione, sono una via di ricerca interna in noi. Forse per alcuni esagero, ma è una questione introspettiva, personale ed interiore. Cammini brevi, locali, svolti con raccoglimento e consapevolezza di ciò che stiamo facendo, innanzitutto spegnendo il dialogo interiore, mettendoci in ascolto nella posizione di chi, aprendo il proprio cuore, non giudica e osserva. Svuotandoci della nostra piccola personalità per riempirci dell’energia del luogo, potremo entrare in risonanza con l’energia del posto e ottenere un ampliamento della coscienza. Soltanto in questo modo il nostro “pellegrinaggio” potrà divenire un’indimenticabile “avventura dello spirito”. Per entrare in unità con il Tutto, per camminare in questo modo non si può spiegare a parole né apprendere dai libri, è necessario farne esperienza. I nostri compagni di viaggio saranno il silenzio, il rispetto, la meraviglia, la gratitudine.

Dobbiamo, non a caso, imparare dagli asini.

Luigi Pellini

 

La bibliografia

Mario Zampieri, Il palio, il porco e il gallo, Cierre edizioni 2008;

Gian Paolo Marchi, luoghi letterari, Edizioni Fiorini Verona 2001;

Emanuela Chiavarelli, il dio asino. Il mistero di un’antica divinità, Tiellemedia editore 2006;

Umberto Grancelli , il piano di fondazione di Verona romana, Vita Nova Verona 2006;

Adriano Gaspani, VERONA origini storiche e archeoastronomiche, Vita Nova Verona 2009;

Luigi Pellini, Il cappello dei Magi, Edizioni Aurora;

 

Fonte: Da srs di Luigi Pellini

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