Mar 14 2014

LA CHIESA VERONESE E LA SIGNORIA SCALIGERA

Category: Chiesa Veronese Storia Pighi,Libri e fontigiorgio @ 00:07

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Statua equestre di Mastino II (un tempo sulla sommità della sua arca, ora ricoverata in una delle torri di Castelvecchio di Verona)

 

 

VOLUME II –  EPOCA III  – CAPO XVII

 

SOMMARIO. – Il vescovo Tebaldo e Can Grande – L’elezione del vescovo di Verona riservata al Pontefice – Nicolò di Villanova – Bartolomeo Della Scala – Delitto di Mastino – L’elezione nuovamente riservata al Pontefice: Mastino scomunicato – Pietro Spelta – Mastino assolto: condizioni per l’assoluzione – Matteo De Ribaldi – Pietro De Pino – Giovanni De Naso – Declino dei Della Scala.

 

La famiglia dei Della Scala signoreggiò più o meno in Verona per circa un secolo, dal 1262 al 1375: ma l’apogeo della sua potenza si ebbe per poco più di mezzo secolo, dalla nomina a capitano di Can Francesco (Grande) nel 1304 alla morte di Mastino II nel 1351.

In quest’epoca abbiamo sette vescovi, dei quali alcuni favorevoli, altri contrari ai Della Scala:

92 Tebaldo(1298 – 1331);

93 Nicolò (1332 – 1336);

94 Bartolomeo Della Scala (1336 – 1338);

95 Matteo Ribaldi (1343 – 1348);

96 Pietro De Pino (1348 – 1349);

97 Giovanni De Naso (1349 – 1350);

98 Pietro II Della Scala (1350 – 1388).

Di Tebaldo sappiamo che egli fu sempre in ottime relazioni coi Della Scala. Per questo, Alberto Della Scala, nel suo testamento, fatto l’anno 1301, nominò Tebaldo quale primo commissario per l’esecuzione delle sue disposizioni. (1) Durante il capitanato di Can Grande, Tebaldo ebbe alcune controversie con gli amministratori dell’ospedale di S. Giacomo di Tomba; nelle quali sospese il processo « propter contemplacionem magnifici viri Canis Grandis de la Scala »(2): l’esito  finale non lo conosciamo.

A Can Grande fu fedelissimo consigliere nelle cose famigliari e politiche. Forse troppo ne favorì la parte nelle contese, che questi ebbe per il titolo di Vicario Imperiale, a lui sotto pena di scomunica vietato dal pontefice Giovanni XXII: da una lettera dei canonici al card. Bertrando Legato Pontificio, parrebbe che all’infuori dei canonici, tutto il clero veronese, secolare e regolare, e quindi col consenso del vescovo, e quindi il vescovo stesso, non avessero osservato l’interdetto, che per quelle contese, si diceva, avesse colpito la città di Verona.(3) sino alla morte di Can Grande (22 luglio 1329).

Del resto, tanto Alberto quanto Can Grande meritavano l’appoggio del vescovo per i loro sentimenti religiosi: ad attestarli basterebbero i loro testamenti, nei quali ambedue prodigarono i loro beni alle chiese, alle istituzioni religiose, agli ospedali(4).

Alberto nel suo capitanato promosse lo stabilimento dei Domenicani in città e la erezione della chiesa di Sant’Anastasia: Can Grande donò una casa ai Serviti e li soccorse per la costruzione di un oratorio presso di essa, che fu poi la chiesa di S. Maria della Scala.

Perciò nessuno potrà fare un aggravio a Tebaldo, se, nonostante disordini di altro genere, si mostrò favorevole ai Della Scala: questo favore agli Scaligeri non impedì che alcune memorie degli Agostiniani dessero a Tebaldo il titolo di Beato: egli morì il giorno 17 novembre 1331.

 

Frattanto il pontefice Giovanni XXII, residente ad Avignone, avea, avocato a sè ed alla Sede Apostolica la nomina dei vescovi della provincia di Aquileja: questa avocazione fu decretata per un biennio, il quale si andò una e più volte rinnovando, e fu decretata « certis et rationalibus causis ».(5)  Non è improbabile che una di queste cause, e forse la principale, fosse l’atteggiamento di Can Grande di fronte alla S. Sede.

Egli già avea giurato fedeltà a Federico d’Austria (16 marzo 1317): in seguito ad intervalli si mostrò devoto a Lodovico il Bavaro: signoreggiava a Verona ed a Vicenza: ma insieme aspirava a Padova, dove entrò vittorioso il 18 luglio 1329. Forse non era ancora dimenticata l’ingerenza dei Della Scala nella elezione dei vescovi nella seconda metà del secolo precedente.

Comunque sia, in vigore della avocazione statuita il pontefice Giovanni XXII da Avignone nominò vescovo di Verona Nicolò; di origine milanese, abate del monastero di Villanova nella diocesi vicentina: con breve del 10 febbraio 1332 notificò a lui la nomina a vescovo di Verona(6) e nel medesimo senso scrisse al Capitolo, al clero, ai fedeli della città e della diocesi, ai vassalli del vescovado, ed al patriarca di Aquileja.

 

Nicolò, secondo l’Ughelli, fu eletto dieci giorni dopo la morte di Tebaldo, cioé, il 27 novembre 1331, e tenne la sede di Verona per cinque anni.

Pare che, essendo forse in condizioni disastrose il palazzo ovile, egli abbia trasportato precariamente la sua residenza sul colle presso la chiesa di S. Maria di Nazareth.

Con l’atto dato « in episcopali curia de Nazareth» il 10 marzo 1333 Nicolò accettava la rinunzia di fra Bonaventura al priorato dell’ospedale di S. Daniele.(7)

Con decreto del 12 ottobre 1335 uni il monastero di S. Croce a quello di S. Maria Mater Dominii (8). Nell’anno 1336 di concerto con Ognibene arciprete della Congregazione del clero intrinseco e coi rettori delle chiese riformò la ripartizione delle parrochie: (b) queste furono stabilite in numero di cinquantadue, come da rotolo del notaio Pegoraro dei Guidotti 4 luglio 1336.(9) Nicolò morì verso l’agosto del medesimo anno.

 

Ben tosto fu eletto il nuovo vescovo, Bartolomeo della Scala, abate di S. Zeno, al quale il pontefice Giovanni XXII, con breve 21 dicembre 1336, (10) avea dato la dispensa dalla irregolarità « ex defectu natalium »;(11) ed al quale il vescovo Tebaldo avea concesso l’investitura di alcuni feudi, decime, ecc.  L’elezione fu fatta dal capitolo: forse, essendo morto Giovanni XXII, erano cessati i bienni di riserva: nel giorno 20 settembre 1336 « in choro Ecclesiae sancti Zenonis » si ebbe la consacrazione ed il giuramento del nuovo vescovo; l’elezione fu confermata dal patriarca d’Aquileja, e certamente non fu estranea l’ingerenza di Mastino II, cugino dell’ eletto: già dalla morte di Can Grande gli Scaligeri Alberto e Mastino erano in buone relazioni con la corte di Avignone.

 

Del breve episcopato di Bartolomeo nulla sappiamo, se non che fu accusato di segreta corrispondenza con Azzone Visconti,l’antagonista di Mastino.  Questi esacerbato, e quasi fuori di sè, uccise di sua mano Bartolomeo: il delitto fu commesso il giorno 27 agosto 1338 « in vigilia beati Augustini doctoris … juxta januam episcopatus circa hora completorij ».(12)

 

Questo delitto, stante la gravità e notorietà del fatto e la fama mondiale dei Della Scala, suscitò un senso di abominazione generale, sia in Verona, sia in tutta l’Italia superiore, sia presso la corte papale, che risiedeva ad Avignone.

I canonici con le congregazioni del clero si affrettarono ad eleggere il nuovo vescovo; e nel giorno 1 settembre, quinto dall’uccisione del vescovo Bartolomeo, elessero Pietro Spelta prelato degli Umiliati di S. Maria della Giara.(13) Ma il pontefice Benedetto XII, successore di Giovanni XXII, con lettera del 24 settembre al patriarca di Aquileja dichiarava avocata a sè la nomina del vescovo di Verona e gli proibiva di ingerirsi affatto nella elezione; e con altra lettera del medesimo giorno « in Episcopi vindictae ultionem» scomunicava Mastino ed interdiceva la città, ordinando al patriarca di procedere contro Mastino, « qui diabolico spiritu inquinatus Bartolomaeum Episcopum propriis manibus interfecit ».(14)

Così fu annullata l’elezione fatta dal clero, e la sede vescovile rimase vacante per oltre cinque anni. Intanto fungeva da vicario capitolare Guglielmo, canonico della pieve di Porto, che troviamo sotto questo titolo in atti 1 luglio 1340 e 12 marzo 1343.(15) Ad un sinodo celebrato ad Aquileja dal patriarca Bertrando l’anno 1339 intervenne, quale rappresentante del clero di Verona, l’abate di S. Maria in Organo,(16) che dovette essere Ognibene.

 

Intanto Mastino II, appena avuta la sentenza di scomunica, cercò di rappacificarsi con la S. Sede; a questo scopo mandò ad Avignone il celebre Guglielmo da Pastrengo e forse anche Azzone da Correggio e Guglielmo Arimondi.  Le pratiche furono lunghe: il processo fu eseguito in Verona da Bertrando, patriarca di Aquileja.  Finalmente dopo un anno Benedetto XII concesse la chiesta assoluzione, e ne commise l’esecuzione al vescovo di Mantova con lettera da Avignone 27 settembre 1339, sotto condizioni abbastanza severe. Un cronista di poco posteriore le riporta succintamente ed imperfettamente: « Cum Romana Ecclesia (Mastino) multa mediante pecunia reconciliatus est, et absolutus finaliter ».(17) Noi le riporteremo precise, togliendole dalla lettera al vescovo di Mantova:

 

-1. I signori Mastino ed Alboino Della Scala devono nel termine di giorno otto dopo l’assoluzione portarsi « ab introitu civitatis» alla chiesa cattedrale, « pedites, in tunica, sine capucio et supertunicali », con una torcia accesa in mano del peso di libbre sei, preceduti da altre cento torce consimili, in un giorno di domenica e nell’ ora di maggior concorso, alla cattedrale alla messa cantata; ed ivi offerire le dette torce in mano dei canonici, ai quali dovranno chiedere perdono del delitto commesso.

-2. Devono offerire alla stessa chiesa una immagine di argento del peso di trenta marche, e dieci lampade pure d’argento dello stesso peso per ciascuna, con l’olio per mantenerle accese in perpetuo; per fare questa offerta sarà loro accordato il tempo di sei mesi.

– 3. Devono istituire nella cattedrale sei cappellanie per sei sacerdoti, i quali ogni giorno celebrino la Messa in suffragio del vescovo ucciso, con l’assegno di 20 fiorini annui per ciascuna capellania.

– 4. Nel giorno anniversario della morte di detto vescovo i due Mastino ed Alboino debbano vestire ventiquattro poveri.

– 5. Gli stessi devono digiunare tutti i venerdì dell’anno e tutte le vigilie della Beata Vergine, salvo i casi di infermità e di vecchiaia; nei quali casi devono negli stessi giorni dare a mangiare a due poveri.

– 6. In occasione di leve generali di gente per le guerre di Terra Santa spediscano ventiquattro armati, mantenendoli a proprie spese per guerreggiar contro gli infedeli; e ciò anche per dopo la loro morte, lasciando questo obbligo ai loro successori nella signoria di Verona. Si condonano loro tutte le altre pene, che in virtù dei sacri canoni sarebbero dovute per il delitto commesso.(18)

 

Non ostante questa riconciliazione, la sede vescovile rimase vacante ancora per quasi tre anni. Finalmente il pontefice Clemente VI con bolla 27 giugno 1343 trasferì al vescovado di Verona Matteo de Ribsldi (19) antecedentemente vescovo di Pavia e residente presso la corte pontificia ad Avignone. (c) Né dopo la sua nomina si affrettò di venire a Verona: nel 15 luglio dell’anno seguente si ha una procura da lui data da Avignone ai suoi tre vicari: fra Tiberio dell’ordine degli Umiliati, Guglielmo della pieve di Porto e Valentino della diocesi di Milano; e forse da altri istrumenti risiedeva ancora ad Avignone il 10 e 30 settembre dello stesso anno 1344. Fu scritto che Matteo nel luglio 1344 trasportò il corpo di S. Toscana dalla pubblica via nella chiesa del S. Sepolcro; ma tutt’al più Matteo avrà ordinata quella traslazione.(20) ne parleremo in seguito.

 

Sembra adunque che Matteo da Avignone sia venuto a Verona verso la fine del 1344 e forse più tardi. Degli atti del suo episcopato poco o nulla sappiamo: morì il  1 maggio 1348, a quanto sembra, in Verona.

 

A Matteo successe Pietro De Pino, oriundo di Forli e vescovo di Viterbo.

Non v’ha dubbio che questa traslazione fu fatta per ordine del pontefice; poiché, quantunque la riserva della elezione del vescovo siasi fatta da Benedetto XII « pro ea vice », tuttavia non apparisce che il clero abbia mai in seguito usato del diritto di nominare il vescovo. Pietro fu vescovo di Verona per circa un anno, forse dal 27 giugno 1348 al 27 luglio 1349, quando fu promosso al vescovado di Perigord nell’Aquitania: forse non fu mai a Verona.

 

Brevissimo fu pure l’episcopato di Giovanni De Naso, frate Domenicano, vescovo di Melfi, indi di Verona (1349-1350), e finalmente di Bologna.

Si dice fosse celebre per santità e dottrina. Del suo regime episcopale nella chiesa veronese abbiamo un atto 19 gennaio 1350: col quale, istituito un processo canonico intorno al monastero benedettino di S. Maria Maddalena in Campo Marzio, decretò l’unione di detto monastero povero e demoralizzato a quello dello suore di S. Chiara in S. Maria delle Vergini.(21)

 

Trasferitosi Giovanni a Bologna, fu nominato vescovo di Verona un veronese, Pietro Della Scala, figlio naturale di Mastino, giovanissimo, canonico della cattedrale.

Certo questa nomina è dovuta in gran parte a Mastino, che come abbiamo notato, era in ottime relazioni con la corte di Avignone, ed, ambizioso di dominare tutta l’Italia, avea veduto parecchie città sottrarsi al suo dominio. Pietro Scaligero, eletto vescovo nel 1350, tenne la sede di Verona per trent’ott’anni: nel 1388 dovette fuggire da Verona, e poté avere il vescovado di Lodi.( d)

 

Intanto il prestigio della famiglia Della Scala si andava ogni dì più dileguando. Già ancor negli ultimi anni di Mastino varie città si erano sottratte al suo dominio, ed egli avvilito e quasi furioso contrasse una lunga malattia, che lo trasse al sepolcro nel 1351.

Restava al potere il fratello dì lui, Alberto, uomo di natura flemmatico e voluttuoso: questi alla morte del fratello costituì Signori di Verona i tre figlioli di Mastino II: Can Grande II (uno scrittore coevo lo dice « Canis rebidus »), Paolo Alboino e Cansignorio, spesso tra di loro avversi.

Cansignorio fece uccidere Cangrande II  sulla riva dell’Adige presso Sant’Eufemia il 14 dicembre 1359(22); fece rinchiudere Alboino nella rocca di Peschiera, e poco prima di morire forse ve lo fece ammazzare.(23) Sua prima cura era fabbricare: nel reggere poco valeva: morì nel 1375 in età di appena trentasei anni, lasciando due figli naturali giovanissimi, Bartolomeo ed Antonio.

La stella dei Della Scala era prossima al tramonto: tramontò, quando Giangaleazzo Visconti sotto il pretesto di vendicare Bartolomeo ucciso, come si diceva, dal fratello Antonio, venne a Verona, e se ne fece signore nell’ottobre 1387; mentre Antonio esule ramingava da un luogo all’ altro, per morir poi miseramente « inter modicas paleas » in un paesetto tra Faenza e Firenze nell’agosto dell’anno seguente.(24) Uno scrittore veronese del secolo XIV, Marzagaia, riconosce nei delitti famigliari una delle cause principali della rovina della dinastia Scaligera.(25).

 

 

 

NOTE

 

 

1 – BIANCOLINI, Serie dei Vescovi di Verona. Docum. XXV; pag. 101-106.

 

2 – CIPOLLA, Lettere di Giovanni XXII riguardanti Verona e gli Scaligeri, Num. 99, pag. 112 (Verona 1900).

 

3 – CIPOLLA, Lettere … Num. 100, dall’Archivio Capitolare di Verona.

 

4 – BIANCOLINI, Serie. Docum. cit; e Docum. XXIX, pag. 110-116 – Si vegga anche CARLI Istoria della città di Verona, Tomo IV,  pag. 290-294.

 

5 – BIANCOLINI,  Serie. Docum. XXVII, pag. 107.

 

6 -BIANCOLINI, Serie. Docum. cit; CIPOLLA, Lettere. Num. 116, pag. 126.

 

7 – BIANCOLINI, Chiese. IV. pag. 574 – Il Biancolini pensa che Nicolò intanto abbia riparato il palazzo vescovile, che in atto del 1356 è detto « palacium novum »: ma esso è detto « palacium novum » anche in un atto del 1306, presso GEROLA, Giuseppe Della Scala, pag. 58, Num. 159. Forse era la parte eretta dal vescovo Tebaldo.  SIMEONl, Guida di Verona, pag. 83.

 

8 – BIANCOLINI Chiese. VI pag. 74.

 

9 – L’atto si trova presso BIANCOLINI, Chiese. IV; pag. 553 – Nello Stato personale del clero sono designate la singole parrocchie a pag. 4, (Verona 1911J.

 

10 – CIPOLLA, Lettere di Giovanni XXII. Num. 111, pag. 123.

 

11 – Pare sia nato da Giuseppe, abate di S. Zeno (1292-1318), fratello di Can Grande e di Alboino. VERCI,   Storia della Marca Treviso e Verona. VII, pag. 77; GEROLA, Giuseppe Della Scala, pag. 25. Ne dubita DA RE, Notizia su Giuseppe della Scala, pag. 9 (Verona 1905).

 

12 – Così una Nota storica, presso VERCI, Op. cit. VII, pag. 77.

 

13 – UGHELLI, Italia sacra Tomo V, col. 867-869.

 

14 – UGHELLI, Italia sacra Tom. V, col. 872; VIDAL, Lettres comunes de Benoit XII, Num. 6417. VoI. II  pag. 117 (Paris 1903).

 

15 – Presso BIANCOLINI, Chiese. IV, pag. 508. 578.

 

16 – BAGATTA e PERETTI, Ss. Epp. Veron. Monum., pag. 23 r.

 

17 – Chronicon Veronense, presso MURATORI, Rerum Italicarum Scriptores. VIII.  col. 651.

 

18 -RAYNALDUS, Annales eccles. a 1339, Num. 66-68; VIDAL, Op. cit. Num. 7540, con la data 22 Settembre.

 

19 – UGHELLI, Italia Sacra Tom. V, col. 875.

 

20 – CASTELLANI, Memorie sopra S. Toscana, pag. 54 Nota 2 pag. 55 (Verona 1856)

 

21 – BIANCOLINI, Chiese. VII, pag. 93-103; ARRIGHI, Cenno storico … , pag. 55.

 

22 – Un angelo di pietra sull’angolo della casa, che dalla piazzetta mette in Via Bassa, ricorda il misfatto. ANT. PIGHI, S. Eufemia, pag. 12.

 

23 – CIPOLLA, Antiche cronache Veronesi, pagg. 199, 311.

 

24 – MARZAGAIA, De modemis gestis, presso CIPOLLA, Op. cit., pag. 181.

 

25 – CIPOLLA,  Compendio della storia politica di Verona, pag. 266, ed, Op. cit. passim.

 

 

ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. XVII (a cura di Angelo Orlandì)

 

 

a) Per la storia della famiglia e della signoria degli Scaligeri esiste una vasta bibliografia, che si va progressivamente moltiplicando. Pare opportuno indicare qualche volume di immediata utilità: M. CARRARA, Gli Scaligeri, Milano 1966; e specialmente gli studi di Egidio Rossini e Giulio Sancassani in Verona e il suo territorio, vol. III, Verona 1975, pp. 808.  Questa pubblicazione contiene una ricchissima bibliografia sull’ epoca e sugli Scaligeri.

 

b) M. BILLO, Origine e sviluppo delle parrocchie di Verona e variazioni nelle relative circoscrizioni territoriali, in Archivio Veneto, A. 29 (1941), 1-71.  Si tenga però presente che la fisionomia giuridica e le funzioni di cura pastorale non coincidevano a quei tempi esattamente con le situazioni attuali; quindi bisogna guardarsi dal proiettare il concetto e la figura che abbiamo di parrocchia al presente nel secolo XIV.

 

c) L. VECCHIATO, La nomina del vescovo Matteo De Ribaldis e i privilegi universitari a Verona, in Zenonis Cathedra, Verona 1955, pp. 55-71.

 

d) Pietro della Scala non fu affatto ligio verso i signori suoi consanguinei: da un documento dell’Archivio Vaticano si ha notizia che congiurò contro Bartolomeo e Antonio della Scala, i quali però lo misero in carcere insieme con Nicolò, priore degli Agostiniani, implicato nella congiura. Avendo poi rimesso in libertà i due prigionieri, gli Scaligeri chiesero l’assoluzione dalla scomunica incorsa; dell’assoluzione furono incaricati il vescovo di Vicenza e l’abate di S. Nazaro di Verona. Il fatto è collocabile tra l’ottobre 1375 e il giugno 1381, ma il documento non ha la data (Archivio Segreto Vaticano – Arm. 53, T. 8, pp. 164 e 169).

 

 

Fonte:  srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume II

 

 

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