Apr 10 2014

IL CAPITOLO DELLA CATTEDRALE SOGGETTO ALLA GIURISDIZIONE DEL VESCOVO DI VERONA

Category: Chiesa Veronese Storia Pighi,Libri e fontigiorgio @ 08:19

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Il salone sinodale dell’ episcopio adorno dai ritratti di 111 vescovi, dei quali 108 sono del Brusasorzi; palazzo vescovile di Verona

 

 

VOLUME  II –  EPOCA  IV –  CAPO XIX

 

SOMMARIO. – Preludii alla soluzione definitiva – Una consuetudine dei canonici – Enciclica Cum semper – Breve Praeclara decora – Bolla Suprema dispositione – Opuscoli pro e contra – Bolla Regis pacifici – Pubblicazione ed esecuzione della bolla – Lettera del vescovo Giustiniani al clero ed al popolo veronese.

 

Abbiamo detto altrove delle controversie agitatesi tra il capitolo della cattedrale ed i vescovi di Verona, a motivo dei privilegi che il capitolo si attribuiva, e particolarmente di quello dell’ esenzione dalla giurisdizione del vescovo di Verona e della soggezione immediata al patriarca di Aquileia.  Queste controversie ordinariamente si componevano in via precaria con qualche transazione tra il vescovo ed i canonici: ma non ebbero mai una soluzione definitiva.

 

Così anche nel secolo XVIII  troviamo alcuni dissidii tra il capitolo ed il vescovo Giovanni Bragadino. Due delitti erano apposti al vescovo.

Il primo fu che egli nel giorno di Sant’Anna del 1742, senza interpellare il capitolo, andò a celebrare la messa nella chiesa di S. Paolo di Campo Marzo e vi amministrò il sacramento della cresima.  Il capitolo reclamò; ed il vescovo fu costretto a dichiarare che non avea inteso derogare ai diritti del capitolo.

L’altro ancor più grave fu che nel 1743 il vescovo fece stampare il testo della Dottrina cristiana del ven. Bellarmino, con aggiunte fatte dal priore della Compagnia l’arciprete Perotti: tra queste aggiunte, una tra i misteri necessari a credersi poneva l’articolo di Dio rimuneratore; un’altra dichiarava illecita l’usura; ecc.  Il capitolo adunatosi il giorno 16 settembre emanava un decreto, in cui deplorava che tali aggiunte si fossero fatte senza prima sentire il parere del capitolo, « ac si hujus Veronensis Ecclesiae Senatus non esset »; inoltre proibiva che il nuovo testo si adottasse nelle chiese soggette al capitolo(1).  Il reclamo del vescovo fu inutile: però i canonici dovettero ritirare il decreto per ordine del capitanio e podestà di Verona Carlo Barziza. Non per questo tacquero i canonici: spedirono una copia del nuovo testo a Roma, deplorando quelle aggiunte « disdicevoli ed insussistenti »(2).

 

La soluzione definitiva delle controversie si ebbe dopo la metà di questo secolo: però fu prevenuta e predisposta da altri dissidi personali, ed insieme da discussioni scritte e stampate.

 

Nel capitolo vi erano personaggi di famiglie nobili e ricche: o erano pure canonici eruditi e celebri per la loro cultura nelle scienze sacre e nelle lettere. Primeggiano i due canonici Francesco e Giuseppe Muselli, ambedue, uno dopo l’altro, arcipreti della cattedrale e munificentissimi. Né ad essi era inferiore per nobiltà di natali Gian Jacopo Dionisi; il quale poi li superò per la sua immensa erudizione in materie storiche, teologiche e giuridiche(3).

Per questi ed altri insigni canonici e per le relazioni letterarie col marchese Scipione Maffei ed altri scienziati italiani ed esteri, il capitolo di Verona godeva una fama europea. Perciò non fa meraviglia che tra i suoi membri serpeggiasse uno spirito di supremazia anche nel campo religioso: al quale spirito poco ostacolava la soggezione al lontano patriarca di Aquileja, non poco: avrebbe ostacolato la soggezione al vescovo di Verona. Così tra i vindici della esenzione dall’autorità del vescovo di Verona troviamo parecchi canonici: primo tra essi il Dionisi.

 

Questa pretesa esenzione, fosse pura legittima, non potea gradire ai nostri vescovi; anche perché essa, come già al tempo del Giberti, ostava non poco alla regolare disciplina del clero. Così serpeggiavano malumori sotto i vescovi Trevisani e Bragadino; i quali faceano presagire come necessaria e prossima una soluzione definitiva.

 

Occasione opportuna fu una consuetudine, a dir vero, strana, introdottasi nell’ufficiatura corale. I canonici si tenevano obbligati ad intervenire al coro; ma pretendevano di non essere obbligati a cantare e salmeggiare coi mansionari, cappellani, accoliti e chierici: assistere, sì; cantare e salmeggiare, no: e pretendevano che tale consuetudine, contraria alle sanzioni dei canoni, costituisse ormai un vero diritto.

 

Contro questa consuetudine, che pur troppo vigeva anche in qualche altra collegiata d’Italia, il pontefice Benedetto XIV nel giorno 19 agosto 1744 avea indirizzato ai vescovi d’Italia l’enciclica Cum Semper: in essa deplorava che alcuni canonici, « cum choro praesentes assistunt ipsi sibi silentium imperent, neque psallentibus se adjungant », raccomanda ai vescovi che facciano quanto sta in loro per eliminare questo abuso(4). Vi riuscirono?

 

Naturalmente per l’osservanza di quest’enciclica non si poté ingerire il vescovo di Verona, Giovanni Bragadino, dal quale erano esenti i canonici.  Se ne occupò il patriarca di Aquileja Daniele Dolfin, trasmettendone una copia al capitolo dei canonici di Verona: ma non riuscì a nulla. I canonici continuarono per la loro via; ad eccezione di alcuni pochi, i quali erano turbati da angustie di coscienza per il timore di non aver fatto proprii i frutti delle loro prebende. Ricorsero adunque al patriarca, insistendo sui loro privilegi e particolarmente sulla consuetudine dell’ufficiatura corale già passata in vero diritto.

Il patriarca, forse anche in vista della fama, che allora circondava il capitolo di Verona, si rivolse al Pontefice, e lo pregò che volesse confermare al capitolo gli antichi privilegi e diritti, e concederne di nuovi.

Il Pontefice fu indulgente e severo. Con la data 19 gennaio 1748 spedì al patriarca il breve Praeclara decora; nel quale ai canonici di Verona concedeva tre privilegi: l’uso della bugia, l’altare privilegiato personale due volte in ogni settimana, e l’oratorio domestico nella villa di Angiari. Quanto alla conferma dei privilegi in via generale, non si pronunziò: ma « inter tot tantaque privilegia nolumus numerandum esse illud, quod … invectum ab ipsis Canonicis non modo contenditur, sed etiam servatur, interessendi dumtaxat choro et cum ceteris mansionariis … canentibus psallentibusque adsistendi, numquam vero cum iisdem canendi psallendive »: insisteva presso il patriarca, perché egli si studii « huiusmodi abusum penitus evertere, eradicare », e li avverta: « Canonicos, choro quidem interessentes adsistentesque, minime vero canentes psallentesque, nullo pacto ex praebendis et distributionibus facere fructus suos, atque adeo restitutioni obnoxios esse ac fore »(5).

 

Non sappiamo quali passi abbia fatto il patriarca presso i canonici; né se questi siansi rassegnati a cantare e salmeggiare, almeno per non incorrere nelle pene canoniche sancite dal Pontefice. Certo il vescovo Bragadino avrà fatto conoscere al pontefice quanto fosse pregiudizievole l’esenzione dei canonici dalla autorità vescovile locale; e questo privilegio del capitolo ne restò scosso assai, come indirettamente appare da un altro atto pontificio posteriore.

 

Benedetto XIV con la bolla Injuncta Nobis data il 2 luglio 1751 soppresse il patriarcato di Aquileja, trasferendo il card. Dolfin alla chiesa di Udine elevata a sede arcivescovile.

Poi emanò altra bolla gravissima Suprema dispositione nel giorno 19 gennaio 1752(6).  In questa decretava che le giurisdizioni patriarcali sul capitolo (e su altre chiese e monasteri di Verona) rimanessero presso lo stesso arcivescovo card. Dolfin fino a che egli fosse vissuto; ma che dopo la morte di lui, « ne via aperiatur inconvenientibus ex causa praetensionum bene notarum Capituli et Canonicorum Ecclesiae Veronensis, … ex nunc pro tunc decernimus venerabilem fratrem nostrum Episcopum Veronensem, uti Apostolicum Delegatum, exercere debere super Capitulo et Canonicis … eam jurisdictionem, quam hactenus exercuerunt Patriarchae Aquilejenses » e ciò precariamente «usque dum fuerit exarninatum a sancte sede totum id quod opus est examinari, ut rectum judicium dari possit. »  La soluzione definitiva venne più tardi.

 

Da questa bolla ben compresero i canonici che la loro causa era di molto compromessa; perciò si diedero le mani attorno per dimostrare scientificamente la legittimità dei loro privilegi, e specialmente della loro esenzione dalla giurisdizione del vescovo di Verona.

Da quest’anno 1752 comincia la pubblicazione di opuscoli, pro e contra: noi ne daremo il catalogo ed il sunto; ma, trattandosi di una controversia ormai spenta da oltre un secolo e mezzo, non ci pronuncieremo sul loro valore.

 

Nel 1752 comparve un libretto pro Canonicis, stampato a Roma col titolo: Notizie spettanti al Capitolo di Verona raccolte e dedicate alla Santità di  N.S.  Benedetto XIV.  Autore ne era, non un canonico, ma un padre gesuita, Girolamo Lombardi, forse oriundo di Verona, (a) dove allora fioriva la famiglia Lombardi (7).  L’autore riferisce le glorie e gli uomini illustri del capitolo; ma insiste specialmente sui privilegi dello stesso, e massime sulla sua esenzione dal vescovo di Verona, appoggiandola quanto può sopra un atto del vescovo Ratoldo dato il giorno 24 giugno dell’anno 813.

 

Nell’anno seguente 1753 fu stampato a Venezia l’opuscolo De privilegiis et exemptione Capituli Cathedralis Veronensis. È anonimo ma è fuor di dubbio esserne autore il sac. Pietro Ballerini, probabilmente invitato a comporlo e pubblicarlo dal vescovo Giovanni Bragadino.

Dopo aver esaminate e in gran parte confutate le asserzioni delle Notizie, aggiunge, quale punto culminante del lavoro, una Appendix nella quale intende annullare tre documenti editi dell’Ughelli ed a lui comunicati dall’arciprete Cozza dei Cozzi « homo jurisdictioni episcopali infensissimus ... ».  Il  quale per testimonianza dell’Ughelli «sub Marco Justiniano pro sui Capituli  libertate… sudavit et alsit»(8). L’autore sostiene che i tre documenti relativi a Ratoldo sono suppositizii, e che la sentenza che si dice data dal patriarca Rodoaldo  l’anno 968 è apocrifa. Questi giudizii sui quattro documenti massime sul ratoldiano dell’anno 813, suscitarono una vera tempesta: quel documento era stato pubblicato ben diverso dal Maffei(9).

 

Al principio dell’anno seguente 1574 furono pubblicate a Roma due dissertazioni del C. Francesco Florio Primicerio della cattedrale di Udine  De’ privilegi ed esenzione del Capitolo di VeronaNella prima dissertazione l’autore si studia difendere la genuinità dei due documenti ratoldini pubblicati dall’Ughelli: nella seconda dà un Saggio della vita di Raterio allo scopo di provare l’autenticità dei privilegi concessi da Ratoldo.

 

Allora comparve in Verona una Lettera ad un amico, ripubblicata con altre quattro nello stesso anno 1754 col titolo: Conferma della falsità dei tre documenti; l’opuscolo è anonimo; ma evidentemente ne è autore il sac. Pietro Ballerini, in fine è aggiunta una Poscritta relativa ad un diploma di Ludovico il Pio.

 

Importante è per la questione presente un altro opuscolo pubblicato in Verona nel 1755 col titolo; Apologetiche riflessioni sopra del privilegio concesso da Ratoldo: è anonimo; ma certamente nè è autore il can. Jacopo Dionisi.

A prova dell’autenticità del primo documento ratoldino ne riporta una magnifica riproduzione in rame fatta sull’atto conservato negli archivi del capitolo. L’opuscolo riporta altri documenti importantissimi per la storia di Verona.

 

Nello stesso anno 1755 il can. Florio pubblicò contro la Conferma una Nuova difesa dei tre documenti Veronesi, con aggiunta di Alcuni  documenti relativi al Capitolo di Verona. Fu stampata a Roma sotto forma di Lettera apologetica; ed intende particolarmente eludere gli argomenti della Conferma.

 

Omettiamo altri opuscoletti minori.

 

Queste discussioni erano per sè di indole scientifica; giovarono a far luce le relazioni mandate alla Santa Sede dal vescovo e dai canonici, che Benedetto XIV dice “innumera documenta … copiosasque allegationes”.

Il Pontefice commise lo studio di questi documenti ed allegati ed anche delle discussioni scientifiche a distinti canonisti e teologi; e finalmente diede la soluzione autoritativa e definitiva con la celebre bolla Regis pacifici data il giorno Il maggio 1756(10). Essa riguarda, non solo il capitolo di Verona, ma anche il monastero degli Olivetani di S. Maria in Organo, che si teneva soggetto al patriarca di Aquileja, ed altri monasteri e chiese e persone, che si voleano soggetti esclusivamente al capitolo, ed a quel monastero o suo abbate commendatario. La bolla dovea avere effetto ed esecuzione soltanto dopo la morte del card. Dolfin, allora arcivescovo di Udine.

 

Anzitutto la bolla revoca ed annulla tutti gli indulti, privilegi, transazioni, … le quali «praesentibus litteris … quoquo modo adversentur»; Decreta «Episcopum Veronensem solum et unicum immediatum et universalem Ordinarium esse et haberi in tota Veronensi Civitate et Diocesi» il quale per conseguenza «poterit vel potius debebit visitare Capitulum Cathedralis Ecclesiae, singularesque personas. Dignitates, Canonicos … atque omnes et singulos admonere, corrigere et emendare».

Annullati tutti i privilegi, anche legalmente acquisiti, concede ai canonici l’uso della bugia, il diritto di aver parte col vescovo nella nomina degli accoliti e nell’ amministrazione della mensa Cornelia, un qualche diritto nella elezione dei sacerdoti ad alcune chiese della città e diocesi e la facoltà di visitarle, esenzione della chiesa di sant’Elena, la podestà di giudicare in alcune cause criminali, però sempre «sub ordinaria universali jurisdictione Episcopi pro tempore existentis».

La bolla contiene pure alcune disposizioni per il monastero di S. Maria in Organo ed altre particolari. L’esecuzione della bolla è affidata ai due vescovi di Vicenza e di Brescia.

 

Il card. Daniele Dolfin morì il giorno primo dell’anno 1762(11) e ben tosto il vescovo di Verona Nicolò Giustiniani, successo nel 1758 al vescovo Bragadino, chiese ai due vescovi di Vicenza e di Brescia che fosse pubblicata la bolla Regis Pacifici:    i due vescovi la pubblicarono; il vescovo di Vicenza card. Antonio Marino Prioli ne spedì al vescovo di Verona la comunicazione autentica con la data 27 marzo: quello di Brescia card. Giovanni Molino con la data 3 aprile. Così furono sciolte le controversie.

 

Chi più giubilò di questa soluzione fu il vescovo di Verona; il quale nel giorno 13 aprile dello stesso anno indirizzò una lettera entusiasta al clero ed al popolo della sua diocesi.  In essa annunzia: “Novum hodie gaudii argumentum una percipimus, adeo ut cum Propheta cantemus Domino canticum novum. Dominus fecit ut esset unum ovile et unus pastor …” (12).

Così dall’aprile 1762, terminate tutte le controversie, il capitolo della cattedrale ed il monastero di S. Maria in Organo furono assoggettati all’autorità del vescovo di Verona. (b)

 

 

NOTE

 

 

1 – SIMEONI, Ricerche Maffeiane, pag. 9 segg. (Torino 1909).

 

2 – BENEDETTO XIV al card. Tamburini 3 ottobre 1743 in, Archivio stor. della Soc. Rom. di storia patria, XXXIV,  pag. 41 (1911).

 

3 – FEDERICI, Elogi dei più illustri Ecclesiastici Veronesi, Tom. III, pagg. 217-234. App. 39.

 

4 – BENEDICTI XIV, Bullarium Num., CIII, 23-24, Tom. I, pag. 394-400 (Prati 1845).

 

5 – BENEDICTI XIV, Bullarium III, P. 1, Supplem. Num. IV, pag. 464, seg. (Prati 1846); CAPPELLETTI, Chiese d’Italia, X, P.  II,  pag. 782.

 

6 – BENEDICTI XIV, Bullarium III, P. I, pag. 300, P. II, 40.

 

7 – E chiaro che queste Notizie assai minuziose furono raccolte e scritte a Verona, forse da qualche canonico; e poi spedite a Roma, ed ivi stampate e dedicate al Pontefice. Bisognava salvare capra e cavoli.

 

8 – UCHELLI, Italia sacra, Tom. V, col. 667, 707, 1006, 1024.

 

9 – MAFFEI, Istoria teologica, App. pag. 95.

 

10 – BENEDICTI XIV, Bullarium III, P II, 361-370; BIANCO LINI, Chiese di Verona V, P. II, 270-289; CAPPELLETTI, Chiese d’Italia X, P. II, 786-802.

 

11 – Al pontefice Benedetto XIV defunto il 3 maggio 1758 era successo il card. Carlo Rezzonico col nome Clemente XIII; il quale era stato abbate Commendatario di S. Zeno.

 

12 – Presso BIANCOLINI, Chiese di Verona A. p. II., pag. 267, seg.; CAPPELLETTI, pag. 803, seg.

 

 

ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. XIX (a cura di Angelo Orlandi)

 

 

a) Girolamo Lombardi (1707-1792) era veronese, fratello di mons. Marcantonio Lombardi, vescovo di Crema (el. 1752). Girolamo, alla soppressione della Compagnia di Gesù tornò a Verona e nel sinodo del 1782 fu eletto tra gli esaminatori sinodali. A Roma aveva raccolto un numero ingente di reliquie, conservate tuttora nell’oratotorio di Cordevigo di Cavaion. Fu anche studioso di filologia e lasciò un vasto schedario di spogli lessicali italiani di cui si servì non poco il Cesari per l’edizione veronese del vocabolario della Crusca.

 

b) Su questa vicenda minutamente esposta dall’autore nelle sue varie fasi non resta che da aggiungere uno studio posteriore  O. VIVIANI, La fine delle controversie per l’esenzione giurisdizionale del Capitolo di Verona, in Atti e Memorie della Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona, V. CXXX (s. VI, vol. V, 1953-54), Verona 1955, pp. 239-309.

 

 

Fonte:  srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume II.

 

 

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