Set 23 2009

Gianni Cantù intervista

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Gianni Cantù con una copia di “Marcherita Pusterla” che il suo avo Cesare scrisse in carcere sulla carta da bugliolo

 

Il  cronista de L’Arena di Verona che scoprì Ludwig: “So chi portò la bomba fino alla stazione di Bologna.”  Infiltrato nell’ultrasinistra, fu il primo a riconoscere Feltrinelli sotto il traliccio di Segrate. Smascherò anche  un serial killer peggiore di Stefanin.  Ora a 88 anni scrive libri su Egizi e Romani

Con questo «tipo italiano» ho avuto la fortuna di lavorare per un decennio. Lo conobbi nella redazione dell’Arena. Era l’estate del 1975. Lui aveva già 52 anni e veniva dall’agenzia Ansa di Milano, io solo 19 e spuntavo dal nulla di Verona. Il quotidiano locale mi aveva assunto per una sostituzione in cronaca. La prima sera stappò una bottiglia di champagne. Mica in mio onore, ovvio. Festeggiava con i colleghi i 10 anni dall’esame di Stato che lo aveva ammesso nell’Ordine dei giornalisti. In realtà esercitava la professione già da 30, dal 1945 o giù di lì.

Ho incontrato Gianni Cantù la scorsa settimana. Aveva da poco festeggiato il suo 86° compleanno. Stessa lucidità mentale, stessa passione per i fatti della vita. Anche la sordità, sempre la stessa, perlomeno non peggiorata rispetto alla fine degli Anni 80, quando dovemmo minacciare uno sciopero perché la società editrice dell’Arena si rifiutava di acquistare un amplificatore telefonico da poche migliaia di lire che gli avrebbe reso più agevole il lavoro. A un cronista di nera così, qualsiasi giornale avrebbe fatto ponti, e cimici, d’oro: il primo a riconoscere Giangiacomo Feltrinelli sventrato dalla bomba sotto il traliccio di Segrate; il primo a giungere davanti alla questura di Milano dove Gianfranco Bertoli aveva fatto esplodere un ordigno; il primo ad avvicinare il generale James Lee Dozier appena strappato alle grinfie dei brigatisti rossi. E l’unico a uscire in edizione straordinaria quando fu rilasciato dai rapitori il presidente del Verona Hellas, Saverio Garonzi, e quando fu liberata dai carabinieri la piccola Patrizia Tacchella, figlia del re dei jeans Carrera; l’unico a polemizzare a mezzo stampa con Ludwig, fino a tendere un trabocchetto mediatico che risultò decisivo per la cattura degli irreprensibili studenti Wolfgang Abel e Marco Furlan, poi condannati per 15 omicidi; l’unico ad aver capito che il duo era in realtà un trio; l’unico a conoscere una verità dirompente e mai scritta sulla strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna.

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